"Difendere la legge per difendere la maternità"

da Tempi, n°20 del 12/05/2005

di Boffi Emanuele



Come ai personaggi shakespeariani del Sogno di una notte di mezza estate anche a Eleonora Porcu non basta parlare, le piace parlare seriamente. Intervistata da Radio24 sulla legge 40 e sui mille corollari che la discussione ha aperto intorno alla norma soggetta a referendum, è riuscita a buttare lì, ad accennare fra mille batti e ribatti, nell'interstizio spaziale che le discussioni lasciano alle battuta ma non all'approfondimento ragionato, che «il problema oggi della maternità è un possesso verginale che non violi il destino del figlio». Assieme al Foglio e a Tempi sarà lei ad intervenire il 4 giugno alla tappa bolognese del tour 'Fratello embrione, sorella verità'. Attualmente è responsabile del Centro di sterilità dell'ospedale Sant'Orsola Malpighi di Bologna. Suo maestro è stato Carlo Flamigni, bandiera progressista dei nemici della legge 40, il prototipo del 'biologo faustiano' per dirla con Giuliano Ferrara. Se per Flamigni l'embrione è «materiale», per la Porcu «è vita nascente». Da questa sua convinzione deriva la nuova strada che ha aperto in Italia e l'ha resa pioniera del congelamento degli ovociti materni, anziché degli embrioni. Oltre che per questo, la dottoressa va controcorrente rispetto alla vulgata che vorrebbe dipingere la legge come 'oscurantista', per aver più volte affermato che «è una buona legge e, dati alla mano, non ostacola le coppie che desiderano un figlio». Forte di 135 pubblicazioni internazionali (e di altre 137 in Italia) e di vari riconoscimenti per i suoi studi in materia riproduttiva, si batte per sfatare i luoghi comuni di cui il maestro è principale propagatore. Ma, appunto, la sua concezione di maternità non si fonda solo sulla forza dei numeri che oppone agli slogan dei sostenitori del sì, ma anche su una serie di parole che solo la ragione intesa come spot pubblicitario bolla come 'antiche e medioevali'.
«La mia impressione - dice a Tempi - è che oggi la concezione di maternità si fondi su una rimozione. Non si guarda il figlio come un accadimento gratuito, ma come esito di una proprietà. Per questo, insisto tanto sull'idea del possesso verginale, perché mi pare l'unica strada percorribile affinché la procreazione sia correttamente intesa». All'udito moderno l'aggettivo 'verginale' suona adeguato solo per gente cresciuta all'ombra del campanile; è singolare sentirla pronunciare da una dottoressa che quella maternità l'aiuta a nascere in un laboratorio. «Insisto: esiste un modo diverso di vivere i rapporti umani e, in particolare, il più complesso e più gratificante che è quello fra madre e figlio. C'è una modalità diversa che può mantenere integra la gioia di veder realizzato quel desiderio, in parte biologico in parte esistenziale, di trasmettere la propria felicità di vivere. Quando parlo di 'possesso verginale' intendo la conservazione di questo desiderio, ma, nello stesso tempo, propongo di evitare di trasformarlo in cristallino appagamento di sé, scrollandosi di dosso la questione principale». Cioè? «Nella maternità avviene l'incarnazione di un soggetto, di un essere diverso da sé e con un proprio destino».
SENTIMENTO SOFFOCANTE
Un chilometrico titolo di Tempi di qualche anno fa recitava: 'Con le budella dell'ultimo panda impiccheremo l'ultima mamma'. Oggi quel titolo non lo rifaremmo più. Non tanto per la macabra ironia, quanto perché necessiterebbe di un'ulteriore precisazione: il collo cui si sta allacciando il cappio è quello dell'embrione e le budella sono quelle della mamma. Con un senso solo meno splatter, Eleonora Porcu nota che il desiderio di maternità ha una doppia lama: «Da un lato ti spinge al possesso, dall'altro ti illude che puoi essere tu - genitore - l'artefice del destino di tuo figlio. Ma questo condizionamento che noi vorremmo imporre diventa troppo spesso una morsa attorno al collo delle nostre creature. Così finisce che le strozziamo, le fagocitiamo, le decomponiamo, le distruggiamo». La premessa serve per giungere alla conclusione che «solo l'idea di verginità è adeguata all'oggetto-figlio. Verginità è fare un passo indietro. è instaurare un rapporto più adeguato col figlio ed evitare la trappola del 'ti voglio tanto bene'».
Alla Porcu dà il voltastomaco la nebbia di sentimentalismo che avvolge gli esempi di chi vorrebbe presentare la maternità come un diritto del cuore. Solo poco tempo fa è giunta da Phoenix la notizia di una donna di 25 anni che aveva accettato un compenso di 15 mila dollari per affittare il proprio utero a una coppia sterile. Il fatto è entrato nelle cronache non solo per il record (primo parto pentagemellare con utero in affitto), ma anche perché la venti cinquenne ha rinunciato al compenso non volendo sminuire il proprio 'prestito'. Non è meraviglioso? «Il sentimento può diventare un soffocamento», chiosa la Porcu. I buoni propositi, 'le ragioni del cuore che la ragione non conosce' sono spesso la copertura nebbiosa con cui si copre «la mancanza di argomentazioni».

UNA RINUNCIA CHE NON è AMPUTAZIONE
Quando una coppia si rivolge a lei, la dottoressa spiega che «l'amore più profondo e puro per un figlio è rinunciare a condizionarne il destino». Rinuncia? Destino? «Nella biologia della riproduzione non si può mai essere sicuri di ciò che avverrà. Non si è certi perché le variabili sono molte e la nostra è una specie ad alta infertilità». Questo secondo natura, figurarsi nella riproduzione assistita, la tecnica che cerca di riproporre in laboratorio l'offerta del mondo. La Porcu vuole così sfatare il mito secondo cui un figlio basta desiderarlo per averlo, al resto ci pensa il medico. «Non è così - sentenzia -. è mia attenzione informare sempre le coppie che nessuno, né la natura né la riproduzione assistita, può garantire loro il bambino». Questa premessa la ripete fino alla nausea anche per salvaguardare l'equilibrio psichico di quelle coppie che troppe volte ha visto andare in crisi, litigare, lasciarsi perché deluse per un desiderio spasmodico rimasto insoddisfatto. «Ho visto troppi genitori passare da un medico all'altro, da una clinica all'altra, con l'ansia patologica di ottenere quel che cercavano. Senza aver mai, magari, pensato che proprio la rinuncia a quel possesso poteva essere la chiave di volta per rendere la vita più gioiosa e piena». Meglio sin da subito essere chiari e proporre i numeri e quell'esperienza personale «che mi fanno dire che ci può essere una pienezza anche nella rinuncia. Una rinuncia non vissuta come amputazione di sé ma come spazio lasciato affinché emerga una nuova consapevolezza».
Consapevolezza di che cosa? Qui Porcu introduce il suo secondo, scomodo, vocabolo: destino. «Quando alla radio e in un intervista ad Avvenire ho parlato di destino del figlio ho cercato di definire con una sola parola quella che è l'interezza unica, irripetibile e non violabile della vita. La chiamo destino e penso a quel progetto che ci ha fatto venire al mondo e ci conduce verso un compimento che, per chi crede, si conforma a quello divino. Ma anche per il laico questo progetto è pieno di mistero e ognuno, credente o meno, dovrebbe avere un sacro rispetto di questo legame con un oltre. Rispetto innanzitutto per se stessi e ancor più per gli altri perché - per tornare alla questione della maternità - con quale diritto determiniamo il fine di chi è cresciuto imprevedibilmente nella nostra carne?». è un terreno su cui muoversi «in punta di piedi» captando quei suggerimenti che, a volte in modo lampante agli occhi, a volte come sussurrati all'orecchio, «ci vengono dalla vita».
IL BAMBINO è QUALCOSA CHE ACCADE
Recentemente una donna che si era rivolta alla sua clinica, e che aveva già condotto un ciclo di terapia per avere dei figli, le ha confidato: «Dottoressa, ho deciso di smettere. Ci sono nella vita delle priorità e mi devo liberare di quella zavorra che non mi permette di vederle e apprezzarle». Un altro medico della riproduzione avrebbe letto l'abdicazione come un fallimento professionale. Per Eleonora Porcu, «è stata una delle maggiori soddisfazioni della mia carriera». Perché? «Perché questa donna ha capito che il figlio è un evento gratuito, non l'oggetto di una pretesa».
E a proposito di questo evento la dottoressa ha usato un'altra delle sue frasi antiche quando, sempre nell'intervista ad Avvenire, ha definito la nascita un «accadimento stupefacente». «Io credo - spiega cercando di sciogliere la sintetica definizione - che il figlio è qualcosa che accade, è qualcuno che incontri. Non puoi pianificarlo. Un figlio può accadere per un accidente, anche per una violenza, per un giusto desiderio. Può nascere in tanti modi, ma rimane sempre un evento indipendente dalla volontà. Quindi bisogna essere educati a riconoscere questo incontro improvviso e incondizionato che lascia sempre con il fiato sospeso. Questa è la chiave di lettura per scardinare alla radice quella concezione della riproduzione che è alla base della nostra società e che la intende quasi fosse solo una tessera da incasellare nel puzzle delle variabili previste».

'SANTA' FERILLI E IL Sì DI MARIA
L'espresso ha messo in copertina il suo «sex symbol felice», Sabrina Ferilli, immaginetta devozionale laica dei quattro sì. Il Diario, ancor più pio, ha posto sotto la testata la domanda 'Fecondazione eterologa?' e una Madonna con scritto 'Maria disse sì'. Per la Porcu è tutto il contrario. Quando rovista fra i mille discorsi che si potrebbero fare sull''accadimento stupefacente' sceglie come immagine sintetica «il sì di Maria. L'accadimento stupefacente è quel momento in cui l'angelo le annuncia la maternità». è curioso che una donna che fa fecondazione in vitro, pratica al di fuori della morale cattolica, usi proprio questo esempio, ma per la Porcu è l'immagine più adeguata per far intendere che un figlio è qualcuno che sta in agguato come un imprevisto. «è una sorpresa anche nella riproduzione assistita, sa? Noi lavoriamo in laboratorio, in ospedale, in una sala operatoria, cerchiamo di avvicinare i gameti, gli spermatozoi, di aumentare la percentuale di successo, ma rimane sempre un margine ampio di imprevedibilità». Lei cerca solo di avere rispetto per questa «misteriosa imprevedibilità. La donna è l'incarnazione dell'accoglienza, è la casa dove cresce l'ospite. Serva una cultura che le insegni a dire sì a questo evento, senza pensare che ne sia lei l'artefice».

di Boffi Emanuele