"Come ti smonto il Faust"

La scienza dice che dietro la legge 40 ci sono fatti dimostrati e dubbi più che leciti sulla natura miracolosa delle tecniche di fecondazione assistita. Parla la dottoressa Patrizia Vergani



La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita viene definita antiscientifica e oscurantista ma, anche se la mia posizione non coincide con la legge, cercherò di fornire alcuni elementi scientifici che dicono di quanto comunque alcune scelte dei legislatori siano positive e da valorizzare. La mia relazione si suddivide in due punti: i benefici delle tecniche di procreazione assistita al di fuori del corpo umano e i loro rischi.

UNO SU QUATTRO CE LA FA
Cominciamo dal rapporto pubblicato nel dicembre 2003 dall’Istituto nazionale statunitense per la salute (Nih), che raccoglie i dati relativi al successo delle tecniche di fecondazione assistita in tutta l’America e in Portorico. Nell’anno dell’indagine (2001) sono stati avviati 80.864 cicli, dai quali sono stati ottenuti 69mila embrioni. Del totale di questi embrioni ricavati attraverso tecniche di fecondazione in vitro, un numero lievemente inferiore è stato trasferito in utero, e da questi ultimi è stato ottenuto circa un 30% di gravidanze. Infine sono nati bambini vivi nel 23-24% dei casi. Quindi, in termini di nati vivi, il beneficio delle tecniche di fecondazione assistita è un successo per il 27% circa delle donne che vi si sottopongono. Perciò possiamo dire che per un bambino nato vivo, globalmente, almeno 4-8 embrioni vanno perduti. Questa è la statistica. Mi ha molto colpito, a tal proposito, un libro pubblicato in Francia nel 2003 e non ancora tradotto in italiano, intitolato L’embrione sul divano. Psicopatologia della concezione umana, dove l’autore, Benoit Bayle, riscontra in alcuni di questi bambini nati grazie alla fecondazione assistita la sindrome del sopravvissuto, patologia caratteristica dei sopravvissuti ai campi di concentramento, a causa della quale l’individuo sviluppa inconsciamente un senso di colpa («tanti altri sono morti per farmi vivere») insieme ad un senso di onnipotenza («io ce l’ho fatta perché sono il più indistruttibile, sono il migliore»)…

MEGLIO UN UOVO OGGI...
Che cosa influisce sul successo di queste tecniche in termini di nati vivi? Prima di tutto, l’età. L’età influisce sia sulla probabilità che avvenga il concepimento, che sulla probabilità che il concepito nasca vivo. Secondo, il motivo per cui la coppia è sterile. Poi naturalmente, ma questo è collegato all’età, la diminuzione nel tempo della riserva ovarica della donna. Un altro fattore di influenza è la ripetizione dei cicli, perché spesso i secondi, terzi e quarti tentativi sono condotti con embrioni congelati, e la probabilità di ottenere gravidanze dall’impianto di embrioni congelati è del 23-24% contro il 33-34% che si registra con il trasferimento di embrioni per così dire freschi, cioè appena prodotti: il 10% in meno su un tasso di successo totale del 27%. Benché la legge 40 sia vista come antiscientifica anche proprio per come affronta la problematica relativa al congelamento dell’embrione, questi dati dimostrano che in realtà non lo è, perché un embrione congelato ha una possibilità di successo minore di un embrione appena prodotto. Questo perché gli embrioni congelati vanno incontro ad una morte progressiva nel tempo (si calcola che circa il 90% degli embrioni congelati muoia nel giro di 10 anni), rischiano la morte anche al momento dello scongelamento, ed hanno minore capacità di attecchire dentro l’utero quando vengono trasferiti. In più non abbiamo dati sufficienti per sapere se il processo di congelamento, a lungo termine, abbia conseguenze sull’individuo o meno.
Ma la legge 40 è ritenuta retrograda perché vieta sostanzialmente il congelamento degli embrioni anche se, per produrre embrioni, la donna deve subire ad ogni ciclo una stimolazione ovarica, che comporta dei rischi. In realtà però ci sono molti dati in letteratura che confermano che è possibile evitare i rischi della stimolazione ovarica pur non congelando gli embrioni: basta congelare gli ovociti soprannumerari. Durante ogni stimolazione vengono ottenute otto, dieci uova: è possibile fecondare tre embrioni e congelare le uova rimanenti per eventuali ulteriori tentativi. E perché mai però questa alternativa non prende piede? Perché se nei congelatori non ci fossero più embrioni, non ci sarebbe materiale umano disponibile per le ricerche.
Si dice anche che il tasso dei nati vivi grazie alle tecniche di procreazione assistita è correlato al numero di embrioni impiantati. Infatti se viene trasferito in utero un solo embrione, il tasso di successo è dell’11,3%; il tasso diventa del 37% con il trasferimento di due embrioni; ma tra l’impianto di due o di tre embrioni invece non c’è molta differenza per quanto riguarda il tasso di successo, e inoltre limitando a due il numero di embrioni impiantati si evita il problema della quota di gravidanze plurigemellari. Insomma, impiantare più di tre embrioni non è assolutamente utile, quindi dire che la legge è antiscientifica e oscurantista è anacronistico. Peraltro, mentre i giornali dicono che impiantare “soltanto” tre embrioni nell’utero materno riduce di gran lunga la possibilità di avere un figlio, la tendenza della ricerca stessa è quella di ottimizzare i risultati del trasferimento di un solo embrione.

...CHE UN EMBRIONE DOMANI
La legge 40 dunque non penalizza affatto le coppie che non possono avere figli, semmai penalizza la sperimentazione sugli embrioni umani, le ricerche sulla clonazione o sulle tecniche di diagnosi preimpianto con relativa selezione e correzione della specie. Si parla di “clonazione terapeutica” perché questa idea, “terapeutica”, apre tutte le porte, è una sorta di lasciapassare: la clonazione terapeutica si deve poter fare, perché altrimenti neghiamo a degli individui malati la possibilità di guarire. L’11 agosto del 2004 l’Autorità per l’embriologia e la fertilizzazione umana del Regno Unito ha permesso la sperimentazione della clonazione. Mi ha molto colpito in proposito che otto giorni dopo, il 19 agosto, su Nature, una delle riviste leader soprattutto sulla ricerca biologica in campo umano, i biologi hanno espresso la paura che il battage pubblicitario scatenato da questa notizia potesse causare loro dei problemi: i mass media creano nella gente aspettative eccessive sulle potenzialità di cura che sgorgano dalla clonazione terapeutica (ma non dicono questi biologi che le aspettative le hanno create loro per ottenere finanziamenti per la ricerca sulla clonazione), però chiarissimamente tali prospettive rimangono molto distanti, persino per malattie per le quali si suol dire che siamo vicini ad individuare una terapia, come il diabete e il Parkinson…
Ma che cos’è la clonazione? Dopo lo stadio in cui è composto da quattro cellule, l’embrione diventa una blastocisti. La blastocisti è fatta di un nucleo di cellule, dal quale si svilupperà il feto, e di una zona periferica, dalla quale si svilupperanno la placenta e le membrane. È possibile, portando alla morte l’embrione, recuperare il gruppo centrale di cellule che differenziandosi daranno origine a tutti i tessuti fetali (tessuto osseo, muscolare, nervoso…) per produrre ed utilizzare questi tessuti per i trapianti. La clonazione terapeutica prevede che nella cellula uovo il nucleo, che contiene 23 cromosomi con il corredo genetico della madre, venga sostituito con il nucleo di una cellula somatica mia, con i miei 46 cromosomi. Di qui si svilupperà un embrione in tutto simile a me. Questo è ciò che si vuol fare con la clonazione terapeutica, un embrione in tutto simile a me, che verrà poi fermato allo stato di blastocisti in modo da estrarne le cellule che daranno origine ai tessuti della mia copia che verranno utilizzati per il mio muscolo, per il mio osso, per il mio pancreas, per il mio cuore. (…)

BIMBI OGM? NO, GRAZIE
Per quanto riguarda la diagnosi preimpianto con relativa selezione e correzione della specie, il signor Watson, che insieme a Crick ha scoperto il Dna, è fautore di una corrente di pensiero biologico-scientifico che sostiene che la ricerca medica non debba più investire sui farmaci, così come l’agricoltura non investe più sui diserbanti perché ha deciso di investire sulla creazione di tipi di grano migliore, intervenendo sui geni del frumento. Gli Ogm umani saranno più resistenti dei soggetti con malattie croniche trattati con farmaci, questa è l’idea che sta dietro il desiderio di fare esperimenti sugli embrioni con diagnosi preimpianto e correzione del corredo cromosomico. Ma la diagnosi preimpianto è poi così sicura? Ed è innocua? Sulla sua efficacia, dobbiamo considerare che attraverso di essa è possibile diagnosticare solo alcune malattie su migliaia, e che si registra ancora un tasso non trascurabile di falsi positivi e di falsi negativi. In più la biopsia embrionaria non è nemmeno del tutto innocua, perché nel 5% dei casi l’embrione muore. Oltretutto non vi è alcuno studio intorno agli effetti di questa tecnica sulla crescita dell’individuo.

SEMI DI DUBBIO
A proposito dell’incertezza di tutte queste tecniche, sempre su Nature del 2003, è apparso un articolo del quale già il titolo è abbastanza eloquente, “Trattamenti per la fertilità: semi di dubbio”, nel quale un ricercatore si chiede: «Ma non è che stiamo usando gli esseri umani come cavie?». La preoccupazione negli ambienti scientifici negli ultimi anni sta lievitando: in un commento pubblicato recentissimamente, la rivista dell’Accademia americana degli ostetrici e dei ginecologi cerca di rispondere alla domanda se i bambini nati grazie alla fecondazione medicalmente assistita corrano davvero più rischi di subire danni alla salute; e dal 2002 al 2004, ben 19 articoli, di cui 3 su Lancet e 2 sul New England Journal of Medicine, hanno segnalato i rischi della fecondazione assistita. Ma quali sono questi rischi? Le gravidanze multiple comportano dei rischi per la prole, soprattutto per i gemelli monozigoti (che con il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita nascono con frequenza doppia rispetto al normale). Il basso peso alla nascita è due volte superiore nei bambini nati tramite fecondazione assistita, vuoi per l’incidenza dei parti prematuri, vuoi per effetto della riduzione sulla crescita fetale dentro l’utero. Aumentano anche le complicanze e la mortalità perinatali: l’emorragia cerebrale intraventricolare fra i bambini prematuri nati grazie a queste tecniche è quattro volte più frequente che fra i nati da concepimenti spontanei. La paralisi cerebrale infantile, che a sua volta può essere esito di un’emorragia cerebrale intraventricolare, è anch’essa quattro volte più frequente fra i nati da tecniche extracorporee. Poi c’è un alto rischio di anomalie congenite, c’è il rischio di importanti disordini dell’imprinting genetico (quando i geni di un genitore non sono espressi e sono espressi solo i geni dell’altro genitore), c’è il rischio di cancro nell’infanzia...

LA CARNE E IL VETRO
Da cosa dipendono questi dati negativi? Dalla malattia, dall’infertilità della coppia, o piuttosto dalle tecniche stesse? Questa è la questione più importante e l’ultimo punto che voglio trattare: può darsi che dipendano dalla sterilità della coppia, però ci dobbiamo domandare se trascorrere i primi giorni della vita nella salpinge della mamma sia la stessa cosa che trascorrerli in una provetta. Io direi di no, e ci sono una serie di dati sperimentali che dimostrano che avviene un cross-talk, un discorso incrociato tra i geni della madre e i geni dell’embrione. Tutta una linea di ricerca canadese dimostra che nei giorni in cui l’embrione sta nella tuba di Falloppio, i suoi geni, che sono già il frutto dell’interazione fra il patrimonio genetico materno e quello paterno, stimolano le cellule della tuba a produrre dei fattori di crescita fondamentali per l’embrione stesso. Ed è proprio dall’interazione tra i geni dell’embrione e l’epitelio tubarico che è possibile che lo sviluppo dell’embrione avvenga in modo corretto. Il medium in cui l’embrione è immerso dentro la provetta, invece, per quanto arricchito di fattori, non permette questa interazione, perché non contiene i geni della mamma. Pertanto io ritengo possibile che sia la sterilità, la malattia, a determinare l’alta probabilità di disabilità che caratterizza i nati da fecondazione medicalmente assistita, ma sono assolutamente sicura che in gran parte essa dipenda dal concepimento al di fuori della tuba umana. Grazie.

*Intervento all’incontro “Il bambino: figlio o prodotto?” organizzato dal Centro culturale di Milano e da Medicina e Persona l’11/11/2004 a Milano
di Vergani Patrizia