"La cura di Elena"

Malata di sclerosi amitrofica, come Coscioni, un'amica di Tempi racconta cosa vuol dire vivere il male con accettazione ma non con rassegnazione. E critica i referendum radicali.

Tratto da "Tempi" del 3 febbraio 2005


«Certo che parlo volentieri di queste cose. A Luca Coscioni ho anche scritto. Lui però non mi ha mai degnato di una risposta. Peccato». Elena Marchesi, coniugata Paino, professione medico anestesista, è sempre stata un tipo comunicativo, e anche oggi che il decorso della malattia le ha rubato il dono della parola non si arrende. Cinque anni di sclerosi laterale amiotrofica ti tolgono tante cose, ti annullano le funzioni motorie quasi completamente; a Elena non hanno tolto la voglia di essere se stessa e, dice lei, la possibilità di crescere umanamente dentro l’esperienza della malattia. Con l’aiuto di un computer e della posta elettronica mantiene i contatti col mondo intero: discute di cellule staminali e di fecondazione assistita, segnala agli amici articoli e link ai siti della rete sui temi più svariati, condivide le sempre nuove evidenze della sua vivissima vita spirituale. Grazie a un mouse-cerottino fissato sulla punta del naso, un francobollino argentato di pochi millimetri, che lei dirige con impercettibili movimenti sulle lettere di una tastiera virtuale posta dello schermo del computer. I movimenti diventano parole e frasi di senso compiuto, grazie ad un apposito programma, e imboccano le strade del mondo. Può essere una richiesta alla persona che l’assiste dentro casa, oppure un messaggio per un amico lontano. Ma quanta fatica. Ogni movimento può sbilanciare la testa, e allora chi assiste deve intervenire e cercare di nuovo il posizionamento corretto.

LA MALATTIA TI CAMBIA LA VITA
La sclerosi laterale amiotrofica (Sla, nel gergo dei medici) è fatta così. I cinque sensi continuano a percepire tutto come prima, la mente resta lucidissima, i sentimenti e i desideri sono quelli di tutti, ma progressivamente l’attività motoria si arresta. Più passa il tempo, e più tutto diventa complicato, anche funzioni come la deglutizione e la respirazione diventano problematiche. Alzarsi la mattina, fare toilette e vestirsi diventano azioni che occupano quasi due ore e richiedono naturalmente l’indispensabile aiuto di altri. Il posto dei tre pasti quotidiani viene preso da tanti spuntini minimi di alimenti facili da inghiottire, ma che pure richiedono tempo e fatica. Quando la sera viene il momento di andare a dormire, di nuovo si succedono interminabili operazioni di precisione: bisogna trovare la posizione giusta sul materassino ad aria, concepito per evitare schiacciamenti e sofferenza al corpo paralizzato, i gemiti di Elena vanno interpretati per capire qual è la posizione che provoca dolore e quale quella che porta sollievo. Da un anno e poco più Elena non esce quasi più dalla sua bella casa al sesto piano di un palazzo della periferia sud-ovest di Milano, a metà strada fra l’ospedale San Carlo e lo stadio di San Siro, dove vive col marito Roberto e tre figli maschi: troppo rischioso caricarla dentro ad un autoveicolo, impossibile dormire fuori casa senza il fido materasso gonfiabile, che è regolato da un gruppo di macchinari piuttosto ingombranti.
Come si fa a stare dentro ad una situazione così difficile senza perdere la voglia di vivere, anzi collezionando scoperte sempre nuove, che accumulano una crescita di senso dentro alle gioie e alle sofferenze del quotidiano? Nel caso di Elena la risposta, semplice semplice, è: con la forza che viene da una fede che cresce. Così descrive la cosa nelle mail agli amici: «Sono sempre più certa che Nostro Signore mi vuole bene, anche se a suo tempo avrò qualche domanda da fargli! Mi sto accorgendo che abbandonarmi al Suo volere mi toglie ansia e paura, ma questo è reso possibile anche dalla catena di amici che pregano per me». «Il Signore è stato molto paziente con me, avendomi aspettata per i lunghi anni in cui pensavo di poter fare da sola; non solo, ma mi ha anche donato un marito, figli e una compagnia che ora, stringendosi a me, mi rende evidente la Sua Presenza».

LA PAZIENZA DI DIO E QUELLA DEGLI UOMINI
All’inizio della malattia l’umore non era certamente questo. Elena è medico e conosceva bene la patologia in questione. Da anestesista ha lavorato per anni al reparto di neurochirurgia dell’ospedale Niguarda, e ha partecipato a interventi chirurgici su malati di Sla che avevano bisogno di una digiunostomia o di una tracheotomia perché non più in grado di mangiare o di respirare per le vie consuete. Ai primi sintomi, mentre tutti la rassicuravano lei già temeva il peggio. A un’amica che la chiamava alla vigilia del responso che avrebbe confermato trattarsi del male temuto, confidava: «Sono quasi sicura che si tratti di Sla, purtroppo. Se domani mi dicessero: “Signora, lei ha un brutto tumore”, beh, brinderei per la gioia». Ma Elena non è una maratoneta solitaria, e da subito ha cercato aiuto nella compagnia della sua famiglia e della sua comunità cristiana. Da alcuni anni fa parte di un gruppetto della Fraternità di Comunione e Liberazione, movimento a cui si è avvicinata una quindicina di anni fa, ai tempi della scuola elementare del primo figlio, Stefano. «Ho fatto amicizia con Elena quando due nostri figli si sono trovati in classe insieme alla scuola elementare La Zolla» racconta Maria Pia Moscato, che oggi fa fraternità con lei. «L’ho invitata agli incontri di un gruppo di mamme del mio quartiere che si ritrovavano a raccontarsi i problemi della vita quotidiana e a fare catechesi con le encicliche del Papa e i suoi discorsi del mercoledì. Elena è un tipo brillante sia umanamente che intellettualmente, ed è arrivata a incontrare Cl prima di me, a partire da alcune persone del gruppo di mamme che io le avevo presentato». Ancora oggi una decina di signore del gruppo delle mamme si ritrova a casa di Elena tutti i lunedì mattina; fra loro c’è Patrizia Rivera, un ministro dell’Eucarestia che si incarica di portare ad Elena il sacramento. «Sono spesso a casa sua, non solo per dare una mano ma perché la nostra è una lunga amicizia», dice Maria Pia, che è anche madre di Paolo, un ragazzo portatore di handicap. «All’inizio ha fatto fatica ad accettare la malattia, ma poi c’è stata una vera trasformazione. Lei dice sempre che “è stata opera della Grazia”».

“SIGNORE, TI CHIEDO 10 ANNI”
«Ho conosciuto Elena e suo marito trent’anni fa, quando eravamo studenti di medicina e ci siamo ritrovati insieme a fare i volontari nelle ambulanze della Croce Verde. Loro si sono fidanzati in quel periodo. Poi ci siamo persi di vista», racconta Laura Bianchi, anche lei medico rianimatore e oggi compagna di fraternità. «L’ho rincontrata cinque anni fa ad una Scuola di Comunità, poco prima che venisse fatta la diagnosi della sua malattia. Io cercavo di convincerla che forse si trattava di una patologia modesta, ma lei aveva già capito come stavano le cose. Da allora non ci siamo più allontanate. Quando si sono completamente arrestate le funzioni motorie mi ha detto: “Laura, io ho bisogno di comunicare, di parlare con gli altri dell’eternità”». Ad aiutare Elena in casa ci sono Roberto e i tre figli, Stefano (25 anni), Daniele (18) e Tommaso (12). Ci sono due donne che si alternano a fare le notti e soprattutto c’è Feli, una domestica filippina che è davvero l’angelo della casa. Lavorava presso i Paino prima della malattia, ed è rimasta anche in questi ultimi cinque anni anche se ciò ha significato un aggravio molto forte del lavoro. Feli arriva la mattina alle 8 e se ne va alle 18. Aiuta Elena in tutte le sue cose, soprattutto i faticosi spostamenti, organizza gli orari della giornata e cucina i tanti piccoli pasti quotidiani. Se ne va ogni sera con la schiena rotta, ma decisissima a tornare la mattina seguente per ricominciare daccapo.
«Elena comunica cose meravigliose», dice Laura. «Attraverso la malattia ha fatto un cammino di santificazione di sé e delle persone che la conoscono. Quando esci da casa sua pensi sempre: “Andarla a trovare è giovato più a me che a lei”». Due anni fa gli amici di Elena hanno chiesto ad un amico sacerdote di officiare una Messa di guarigione per l’amica. Hanno invocato l’intercessione di padre Innocenzo da Berzo, un beato della Val Camonica, frate cappuccino. Elena, più modestamente, prega Dio di concederle dieci anni di vita a partire dal giorno della diagnosi della malattia «per la mia famiglia, perché questo è il tempo di cui abbiamo bisogno per arrivare ad appartenere a Cristo». Nei giorni della scorsa Epifania gli amici si sono ritrovati ad un’altra Messa, e insieme hanno ringraziato del dono dell’amicizia con Elena, del fatto che lei è in mezzo a loro e che così com’è, con la sua malattia, contribuisce alla comune santificazione.

“A COSCIONI DICO: SONO PIÙ PROMETTENTI LE STAMINALI ADULTE”
Ed ecco le sue risposte alle nostre domande sulla questione dei prossimi referendum.
Elena, la difficile situazione dei malati di Sla è spesso portata come argomento a favore dei referendum per l’abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita e la manipolazione degli embrioni, in quanto ciò sarebbe necessario per individuare in tempi brevi una terapia. Tu cosa pensi dei referendum e dell’argomento manipolazione degli embrioni?
Quando è stata approvata l’attuale legge ho pensato che finalmente era stato fatto un passo in avanti nella protezione dell’embrione. Embrione che, come tutti gli studenti di medicina sanno, è uomo fin dal concepimento! Tutte le distinzioni che vengono fatte sono capziose e mirate ad un unico scopo: darsi giustificazioni per procedere senza remore morali.
Tu sei medico, dunque scienziato. Cosa pensi dell’idea secondo cui la ricerca scientifica dovrebbe essere assolutamente libera e non frenata da alcuna considerazione etica quando si tratta di scoprire qualcosa che potrebbe essere utile terapeuticamente?
L’utilizzo della scusa dei “poveri malati” privati di un’importante possibilità di cura nasconde interessi economici ingenti e nessun interesse per i malati, perché esistono altre ricerche su cellule staminali adulte, anche prelevate dallo stesso paziente, molto più promettenti e in tempi più brevi. La ricerca deve fermarsi quando per arrivare ad uno scopo, anche buono, interviene manipolando l’uomo.
“Corriere della Sera magazine” ha dedicato una copertina a Luca Coscioni, il presidente del Partito Radicale che conduce la battaglia per il sì nei referendum. Vorresti dire qualcosa a Coscioni e al Corriere, che si è schierato ufficialmente per il sì nel referendum?
A Coscioni, malato come me, voglio dire che non è con l’omicidio (parola forte, ma di questo si tratta) che ci saranno benefici per noi.
Elena, come stai vivendo la tua esperienza di vita nella malattia? Quali sono le cose più importanti di questa fase della tua vita?
Dopo una prima fase, antecedente alla diagnosi, di puro terrore – mi ero fatta da sola la diagnosi, e cercavo di dimostrare a me stessa che mi ero sbagliata – è seguita un’accettazione della malattia, consapevole fin dal primo momento di quale sarebbe stato l’evolversi delle mie condizioni con l’unica incognita dei tempi di evoluzione. Accettazione, non rassegnazione! Da qui il voler continuare ad essere partecipe della vita della famiglia e della comunità e il desiderio sempre vivo di essere informata di tutte le nuove ricerche sulla Sla, per quanto mi è possibile con il lento peggiorare delle mie condizioni. Non mi ha mai lasciata la certezza della compagnia di Nostro Signore che in questi anni si è reso tangibile attraverso i volti di mio marito, dei miei figli e di tutti gli amici che ci hanno aiutato.


LA NAGASAKI DELL’EUGENETICA
Disabled People’s International (Dpi) è un’organizzazione per i Diritti Umani impegnata nella difesa dei disabili e per la promozione della loro piena e pari partecipazione alla vita sociale. Fondata nel 1981, Dpi è rappresentata grazie all’adesione attiva di Organizzazioni nazionali di disabili in più di 130 paesi, di cui 29 in Europa. Nella “Dichiarazione di orientamento su bioetica e diritti umani” si può leggere: «L’obiettivo genetico della prevenzione delle malattie e delle disabilità, eliminando le vite giudicate “anormali”, è una minaccia alla originalità/diversità umana. è una potenziale Nagasaki per tutti, non solo per le persone con disabilità. La minaccia è potente e imminente».
Più volte anche il padre della prima bambina concepita in vitro, Jacques Testart, che oggi è un fiero oppositore di tali pratiche, ha parlato di «pratiche eugenetiche» e del rischio di arrendersi a una mentalità che, sotto mentite spoglie, si propone come benevola, ma che poi, nei fatti, elimina i diversi e i tarati. Non sono certo paure da bambini quelle di Testart se sempre di più si moltiplicano voci come quelle dell’embriologo di fama mondiale Bob Edwards («Sarà presto una colpa dei genitori avere un bambino che rechi il pesante fardello di una malattia genetica»).
Dpi è nata per dire che «la nostra esperienza arricchisce la società» e per dire che «le persone con disabilità non si oppongono alla ricerca medica quando lo scopo è una cura o il lenimento del dolore. Ma ci opponiamo invece alla pulizia genetica». E, tanto per non rimanere sul vago, Dpi vede il rischio o la messa in pratica dell’eugenetica nella fecondazione in vitro, l’eutanasia, lo screening prenatale, l’amniocentesi, la terapia genetica.
Emanuele Boffi

CONSIGLI DI LETTURA
E' vero che non è sempre semplice comprendere quali questioni, da un punto di vista scientifico, siano in ballo, nella discussione sulla fecondazione medicalmente assistita. Ma è altrettanto vero che esistono dei buoni strumenti per avvicinare chiunque a queste tematiche. è fresca di stampa la rivista Emmeciquadro che propone una vivace intervista ad Angelo Vescovi, condirettore dell’Istituto Cellule Staminali del San Raffaele di Milano, che illustra le ricerche in atto e mostra tutte le potenzialità terapeutiche dell’impiego delle cellule staminali adulte.
Altri testi utili: “L’alba dell’io. Dolore, desideri, sogno, memoria del feto” del neonatologo Carlo Bellieni (Società editrice fiorentina). “Procreazione assistita” di Carlo Casini (edizioni San Paolo). E il paperback di Tempi, “La vita umana nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (www.itacalibri.it).

“IL RICHIAMO AL REALISMO E'OSCURANTISMO?” CHIEDE DON ROBERTO COLOMBO
Sempre più spesso chi cerca di difendere la legge 40, la norma attuale che regola la fecondazione medicalmente assistita, si trova a essere bollato come oscurantista, medioevale e integralista. Accade a chi si professa cattolico, ma anche a chi, da posizioni laiche come Giuliano Ferrara o Marcello Pera, non si vuole arrendere a trattare – per usare una colorita espressione del presidente del Senato – «l’embrione come una muffa». Come raccontato nel numero precendente di Tempi, don Roberto Colombo, docente di neurobiologia e genetica umana all’Università Cattolica di Milano dove dirige il Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana, ha vissuto su di sé tali accuse durante un convegno. Il professor Carlo Flamigni, grande sponsor della “crudeltà” della legge 40, ha accusato il sacerdote di «dogmatismo».
«Questa posizione – dice Colombo a Tempi – affiora da un pregiudizio radicale, sorto con il pensiero moderno ed esaltato in quello post-moderno: la realtà non esiste o, se anche esiste, non c’entra con la vita dell’uomo e della società, con la politica. Ciò che vale è solo quello che “fa tornare i conti” dell’interesse o del potere, che sistema le cose secondo un progetto costruito a tavolino, che fa tacere la coscienza della realtà di cui solo l’uomo è portatore nel cosmo. Costi quel che costi (la vita dell’uomo non ha prezzo: solo la Grazia vale più della vita), c’è chi non è disposto a guardare in faccia la realtà del generare e dell’essere generati e a fare un passo indietro nella pratica della fecondazione artificiale umana, come la legge ha stabilito dopo oltre due decenni di completo arbitrio. Coloro che difendono questa legge non impongono ai ricercatori e ai medici di fermarsi, ma chiedono di fare un passo indietro per ricominciare a camminare in una direzione diversa, secondo un metodo che tenga presente tutti i fattori della realtà della vita umana, senza censurarne alcuni. Non si possono fare i conti solo con il desiderio di due sposi di procreare, senza considerare il concepito così come egli è, un soggetto, uno di noi perché ciascuno di noi è stato uno come lui. Il richiamo al realismo e alla ragionevolezza è oscurantismo, integralismo?».
Emanuele Boffi

CHI DI NOI E'UNA PERSONA PER “CONVENZIONE”?
Edoardo Boncinelli ha scritto sul Corriere della Sera (“Embrioni, non esiste l’ora X”, 26 gennaio) che ci sono diversi momenti per individuare quando inizia la vita umana. Pur ammettendo che «non c’è alcun dubbio che la vita di un organismo specifico – ranocchio, gatto o uomo – inizia con la fecondazione» ha poi però elencato diversi criteri per individuare quando si può iniziare a parlare di persona. Dunque? «Dunque – ha scritto Boncinelli – occorre prenderci le nostre responsabilità e fissare dei limiti, che non potranno che avere una componente di convenzionalità». Come a dire: fissiamo il criterio da adottare e poi ci regoleremo. Ma un criterio vale l’altro?
Padre Giorgio Maria Carbone, docente di Bioetica presso la facoltà teologica dell’Emilia Romagna, non è d’accordo con le argomentazioni del commentatore del Corriere, e spiega il perché a Tempi: «Non è una questione di convenzioni, di mettersi d’accordo, è un problema di prendere atto della realtà dei fatti così come si prende atto delle leggi della fisica».
Padre Carbone ha di recente pubblicato un bel libro (Fecondazione extracorporea, edizioni Esd) in cui spiega, da un punto di vista scientifico e morale, quali siano i processi implicati in quei primi, delicati, attimi. «La fecondazione è un’attività finalistica e orientata alla formazione dell’essere umano. Fissare delle tappe e dei passaggi, come fa Boncinelli, è giusto da un punto di vista descrittivo e di esemplificazione didattica. Ma la realtà non è questa. Boncinelli descrive per tappe un processo che in realtà è continuo e senza interruzioni». Sull’articolo del Corriere si legge: «Si devono porre degli spartiacque, come quando si è deciso che a 18 anni una persona è maggiorenne». «Va bene – ribatte Carbone – ma l’esempio è fuorviante. A 18 anni noi, per convenzione, assumiamo dei diritti e dei doveri nei confronti dello Stato, ma non è che modifichiamo la nostra natura. Così, per il processo fecondativo, dal momento dell’unione tra il citoplasma dello spermatozoo e il citoplasma dell’ovocita, si crea un’entità nuova che, se non è ostacolata da agenti esterni, diventa un essere umano».
Se è lo Stato a poterci dire quando si fissa la maggiore età, «non può essere lo Stato a imporci quando una persona è tale o meno. Quando questa tentazione è avvenuta in passato, abbiamo ben presente tutti quali conseguenze ha comportato: discriminazioni per ritardati, malati, ebrei, persone affette da handicap».

di Casadei Rodolfo