"Gli avvocati del bambino"

BOLDRINI, BELLIENI, DE NISI, MACAGNO, PEDROTTI. CINQUE PRIMARI DI NEONATOLOGIA SPIEGANO COSA RISCHIANO I BAMBINI NATI DA FIV

da Tempi, n°12 - 17 Marzo 2005



Postulata l’ovvietà che un figlio è sempre un figlio, che nasca “naturalmente” o in vitro fa lo stesso, rimane da annotare come nel dibattito sulla procreazione medicalmente assistita, attualmente regolata dalla legge 40 su cui sono stai indetti quattro referendum, ci sia una categoria di medici la cui voce rischia di farsi poco sentire. Sono i neonatologi, «gli avvocati del bambino», come li definisce con pittoresca espressione l’ex primario di Trento, Dino Pedrotti. Mentre Giovanni Sartori e Umberto Eco discettano sul momento in cui viene infusa l’anima, mentre Giuliano Amato cronometra vanamente il momento in cui il pre-embrione diventa embrione, in pochi si interrogano su quali caratteristiche abbiano i nati da fecondazione in vitro (Fiv). A farlo, per mestiere, ci pensano i neonatologi, che quel bambino se lo ritrovano, di lì a pochi istanti dal momento della nascita, fra le braccia. Dice Pedrotti a Tempi: «Con la Fiv negli Stati Uniti si è assistito ad un aumento esponenziale di parti trigemini. Gli stessi dati li possiamo trasportare in Italia e constatare come i figli, risultanti da tali gravidanze, presentino in percentuale, rispetto ai nati non con Fiv, maggiori danni a livello neurologico. Per non parlare poi dei problemi psicologici che tali pratiche comportano anche per le madri». Secondo Pedrotti a mostrare l’evidenza ci pensano i numeri seondo i quali «di bambino in braccio si può parlare solo nel 15, 20 per cento dei casi. Sono gravidanze che comportano 3 fallimenti su 4 per ogni tentativo. C’è qualche carta nascosta nell’attuale dibattito, un certo non detto che mi inquieta. Ma allora, chiedo io, perché non allinearsi all’Olanda dove si eliminano i bambini che nascono malformati?» «Stiamo parlando di prevenire le malformazioni o di eliminare i malformati?», sbuffa provocatoriamente.
L’attuale primario di neonatologia a Trento, il dottor Giuseppe De Nisi, è sulla stessa linea del suo predecessore quando elenca per Tempi le caratteristiche dei bambini nati con Fiv: «Basso peso, infezioni, anomalie congenite, prematurità, problemi respiratori, cardiaci, metabolici, sensoriali». Per De Nisi, dunque, «le mie perplessità sulla Fiv sono legate a osservazioni sul campo. Il bambino nato da Fiv non è un classico pretermine. Le sue condizioni di salute sono generalmente peggiori e spesso necessita di essere seguito attentamente per i primi due anni di vita».

IL “SUCCESSO” DI VERONESI
La legge attuale prevede che il numero massimo di embrioni impiantabili sia tre. Nel periodo precendente la norma, spesso, a causa della sperimentazione selvaggia, se ne impiantavano in numero maggiore con la conseguente nascita di più gemelli. Otto ne nacquero a Napoli nel 1979, a Palermo nel 1989, a Trapani nel 2000. Francesco Agnoli nel suo pamphlet (La fecondazione artificale, quello che non vi vogliono dire, Segno, 2004) riporta il commento dell’ex ministro della Salute, Umberto Veronesi, di fronte a questi risultati: «Non è un dramma bensì un eccesso di successo». Enfasi faustiana che non tiene conto, oltre che del numero di embrioni prodotti e finiti nel cestino, anche delle gravi conseguenze per la salute sia della madre sia dei figli dopo parti di tale risma. Meno entusiasmo dell’illustre oncologo mostra, infatti, il direttore della unità operativa di Neonatologia dell’Università di Pisa, Antonio Boldrini, che conferma a Tempi che «con la Fiv si riscontra un numero circa doppio di nascite pretermine e/o di nati di basso peso e un consistente numero di gravidanze multiple. I neonati da Fiv non sono “diversi” dagli altri, ma, essendo la prematurità ed il basso peso fattori di rischio per la sopravvivenza e la “qualità” della vita (aumentano cioè la mortalità e la morbilità del neonato), credo che di ciò le coppie in procinto di affrontare tale esperienza dovrebbero essere ben edotte». Così non avviene, come constata De Nisi, secondo cui gli agognanti genitori «non sanno a quali rischi vanno incontro e quali fanno correre ai loro futuri figli. È singolare – prosegue il primario di Trento – che delle malformazioni dei nati da Fiv si parli poco. Ed è ancora più singolare che siamo di fronte all’unico caso in medicina dove la sperimentazione avviene senza un “caso-controllo”. Con la Fiv si prova e si vedono i risultati, senza aver mai prima condotto una lunga fase di sperimentazione sugli animali. Sicuri che anziché di fecondazione in vitro non si stia praticando la fecondazione in vivo?».

IL CONTESTO FA TESTO
Franco Macagno, primario ad Udine, past-president della Società italiana di Neonatologia, premette a Tempi che «l’atto procreativo non si esaurisce certo con l’incontro in un annesso uterino o in una provetta di un uovo e di uno spermatozoo. Va sottolineata la differenza tra una fecondazione naturale che avvenga nell’organismo materno e quella ottenuta in laboratorio». Pensare che l’incontro di un uovo e di uno spermatozoo configuri la fusione pura e semplice del Dna materno e paterno, senza tener conto dell’ambiente in cui tale incontro avviene «ci porta a sottovalutare – prosegue il medico – i fenomeni epigenetici, cioè quel complesso di elementi ambientali così diversi in una tuba umana rispetto ad una provetta». Questi «rappresentano il primo condizionamento ambientale per lo sviluppo del nuovo embrione. E ciò sarebbe già sufficiente, al di là degli ottimi risultati attualmente ottenuti attraverso le varie tecniche, a far capire che il destino di quell’embrione è differente – senza assolutamente volere esprimere giudizi di “qualità” – a seconda delle influenze ambientali che accompagnano la fecondazione fin dai primi esordi».
Macagno conferma, in linea con i suoi colleghi, che «la maggior parte dei soggetti ottenuti attraverso queste tecniche sono gemelli, nati pretermine e talora sopravvissuti tra una fratria in partenza multigemellare, che nel corso della gravidanza ha registrato il decesso, spontaneo o per riduzione numerica, di uno o più embrioni». Per osservare poi che «la gemellarità, di per se stessa, e anche nelle condizioni in cui essa si presenti secondo le leggi naturali, si accompagna ad una frequenza significativamente maggiore di nascite pretermine (particolarmente grave quando si tratti di trigemini), di anomalie malformative e di distocie al momento del parto, queste ultime oggetto di alte percentuali di ricorso al taglio cesareo».

L’EMBRIONE SUL LETTINO
Che i nati da Fiv corrano dei rischi non lo dicono solo i neonatologi italiani, ma anche autorevoli studiosi stranieri (vedi box), come fa notare Carlo Bellieni, dirigente medico della neonatologia di Siena, che cita il prof Jean-Pierre Relier, ex direttore della Neonatologia di Parigi: «L’importanza fondamentale della tuba di Falloppio nel concepimento è essenziale per i primi passi dello sviluppo ma quasi del tutto assente durante la Fiv, riducendo l’efficacia di questa tecnica con possibili effetti a lungo termine dopo la nascita». Per Bellieni non va sottovalutato un importante aspetto rilevato in recente libro pubblicato da un famoso psichiatra francese, Benoît Bayle, dal titolo L’embryon sur le divan. Psychopathologie de la conception humaine (Parigi, 2003). Nel testo si riflette sui rischi a lungo termine e sulla serenità dei bambini nati da Fiv: «Viene avanzato anche il rischio della cosiddetta “sindrome del sopravvissuto” per i nati da Fiv», spiega Bellieni. «Questa patologia si manifesterebbe con senso di colpa (“Altri sono morti per farmi vivere”) e senso di onnipotenza (“Io ce l’ho fatta perché sono indistruttibile”)».
Constata Macagno che «purtroppo siamo in un momento storico in cui apparentemente l’infanzia sembrerebbe godere di massima protezione e tutela rispetto al passato anche recente», e invece «il mondo degli adulti, procedendo secondo categorie di pensiero inaridite da razionali contrapposti e contrari, amplificando componenti emotive dominate dal sentimento e dall’emozione maturata in età quasi senile, tentando risposte a dei bisogni esistenziali compressi per decenni e non rinunciabili, ottiene risultati opposti». Si chiede il primario friulano chi possa arrogarsi il diritto di «prendere decisioni pesantemente condizionanti il destino delle generazioni future, trascurando del tutto il “pensiero” dei soggetti oggetto di tali scelte». È questo che ci chiedono i futuri nati? Si chiede Macagno. Forse, celandosi dietro atti «mascherati da prese di posizione collocate sul fronte del “voler loro tanto bene” – conclude – i bambini non dispongono di buoni avvocati per difenderli dalle condizioni in cui gli adulti li espongono a particolari rischi aggiuntivi, rispetto a quelli che a loro riserva la natura».


di Boffi Emanuele