"La catastrofe non è solo naturale"

Tra le riflessioni e i commenti suscitati dallo scritto di don Alberto Franzini pubblicato su “La Cronaca” sul tema della presenza di Dio nonostante i disastri come il recente maremoto interviene Angelo Angiolini

da "Cronaca" di mercoledì, 5 gennaio 2005 - di Angelo Angiolini


Caro don Alberto,
nello sforzo di capire la dimensione della tragedia, il Suo recente messaggio alla stampa sulla catastrofe del Sud Est asiatico (“Strage in Asia. Ma dov’è Dio?”) mi genera angoscia, preoccupazione, disorientamento. In questo momento dovremmo tutti meditare sull’organizzazione degli aiuti e sostenere quanti vicino a noi si danno da fare (penso ad Amurt, ai Cappuccini della Fontana). Ma poiché Lei ha deciso di intervenire sulle responsabilità del genere umano su un giornale laico (“La Cronaca”, ndr) Le propongo in modo molto aperto le mie riflessioni.
Le Sue parole mi appaiono oscure e a tratti incomprensibili; si nutrono soprattutto di dogmi, addebitano le origini del dolore e della morte, in ogni caso, al macigno del peccato originale. Forse daranno consolazione a tutti i credenti che si chiedono dov’è Dio di fronte a tali disgrazie, li aiuteranno a darsi una risposta, ma non parlano agli uomini, almeno a quelli di buona volontà, della loro capacità di capire e di agire per impedirle, o limitarle, o alleviarne le sofferenze. La preghiamo, faccia uno sforzo in più, da uomo oltre che da religioso, per ammettere che questa catastrofe non è solo "naturale” e nemmeno misteriosa, almeno nelle sue dimensioni e nei suoi effetti.

Abbiamo tutti imparato in questi giorni, in interventi altrettanto acuti quanto quello di Cossiga, che il fenomeno degli tsunami è ben conosciuto in tutto il mondo e si ripresenta ciclicamente in alcune zone del Pianeta. Ma non ha notato, don Alberto, la contraddizione tra paradiso e povertà in quei Paesi sconvolti? Che gli uomini non sono uguali nemmeno di fronte ai maremoti? Non ci dica che anche la povertà e l’aumento delle diseguaglianze nel mondo negli ultimi 30 anni, tra Paesi e Paesi e all’interno di ogni Paese, sono un male inesplorabile e ineluttabile. Centocinquantamila, forse trecentomila, anime di bambini, donne e uomini senza nome, senza futuro, senza carta di identità, che avevano lasciato terre fertili e foreste ricchissime per sopravvivere all’ombra degli alberghi, spinti dalla povertà e dalle guerre, ora saranno sicuramente in cielo. Pietà per loro. Ma Dio, entrando anche nel loro male e nel loro buio li ha così redenti? Con la morte, con l’ingiustizia di questa strage di innocenti? Oppure avrebbe condannato il peccato, per nulla originale, di chi ha distrutto la rigogliosa vegetazione di isole di sogno per costruire resort e villaggi turistici, in mano a multinazionali del turismo di massa, senza etica e senza scrupoli. Lo faccia anche la Chiesa! Venti anni fa a Madras, là dove oggi c’è una distesa indistinta di fango, lamiere e cadaveri, c’erano foreste di mangrovie sulla spiaggia. C’erano meno hotel e meno baracche. Il fitto bosco avrebbe salvato molte vite. Dio non metterebbe in vendita il Paradiso terrestre. Invece noi abbiamo lasciato che le lobbies dei ricchi del Pianeta, con le loro banche e le loro truffe che chiamano “libero mercato”, con l’aiuto di governi dispotici, si appropriassero, distruggendoli molto prima del maremoto, dei paradisi, delle vite, delle braccia e dei corpi dei poveri della Terra. Una parola di condanna, Don Franzini, per chi mette in vendita il Paradiso!

E che direbbe Dio a chi costruisce e manda satelliti in cielo, a chi vende miliardi di cellulari, a chi entra nelle case di tutto il mondo con le sue TV? Il miracolo tecnologico è certo un gran bene per l’Umanità. Ma non si dovrebbe usare la tecnologia anche al servizio di quei popoli là dove l’Oceano Indiano, con impressionante regolarità, si riversa sulla terra e trascina con sé tutto quanto nei suoi abissi? Ci viene detto che non è difficile e non costa nemmeno molto, rispetto agli enormi profitti del turismo. Solo adesso si comincia a parlare di cancellazione del debito dei Paesi poveri. Forse anche i potenti vivono il pentimento. Dica qualcosa la Chiesa!

Non sappiamo se faccia parte della giustizia divina nemmeno la morte di tanti di noi, italiani, europei, vittime al pari degli indonesiani, degli indiani, dei tailandesi. Forse questa volta il perdono e la misericordia divina non basteranno a placare l’ira delle loro madri, che ora capiscono perché alle Hawaii, sulla costa, non si costruisce nemmeno una baracca se non a 15 metri sopra il livello del mare o perché in Giappone un sofisticato sistema informa le popolazioni del pericolo maremoti. Se l’unica risposta degli uomini di Chiesa alle minacce naturali del Pianeta è l’invito ai fedeli a rifugiarsi nella divina Misericordia, io mi appello a questi uomini, alla Loro grande responsabilità e al grande ascolto che hanno presso milioni di donne e uomini in tutto il mondo, affinché sappiano indicare anche le cause terrene delle ingiustizie. Il giorno che ci metteremo a pensare, insieme a Lei, a come proteggere noi stessi dalle catastrofi possibili, compresa la furia del nostro Grande Fiume, vorremmo, Don Alberto, che i suoi richiami alla fede inducano gli uomini che governano, a studiare e a dare il meglio di sé per la prosecuzione della vita, a dare speranze ai nostri figli affinché non accada mai nulla di simile a quello che da giorni e giorni stiamo vedendo. Tutti, credenti e non, abbiamo bisogno della Chiesa, delle Sue parole e delle Sue opere, Don Alberto. C’è tanto lavoro da fare.

Angelo Angiolini, Casalmaggiore