"In memoria Johanni Pauli II"
"In memoria Johanni Pauli II"
"Non abbiate paura. Cristo sa che cosa è dentro l'uomo. Solo
Lui lo sa!". Queste parole, pronunciate in piazza San Pietro durante
la messa di inaugurazione del suo ministero papale il 22 ottobre 1978, costituiscono
la chiave di volta della testimonianza e dell'insegnamento di Giovanni Paolo
II. Sono parole che vengono da lontano. Vengono dalla sua vocazione al sacerdozio,
dai suoi studi di filosofia e di teologia, dalla sua attività di professore
di etica, dal suo ministero fra i giovani, soprattutto dalla sua partecipazione
ai lavori del Concilio Vaticano II, dove il giovane arcivescovo di Cracovia
contribuì, in misura determinante, alla stesura della Gaudium et spes,
la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. In questo importante
documento del Concilio, al n. 22, c'è un passo, continuamente citato
in tanti testi e in tanti discorsi del suo pontificato, a partire dalla sua
prima enciclica, la Redemptor Hominis (del marzo 1979), che contiene il programma
e lo stile dell'intero suo ministero successivo: "Solamente nel mistero
del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo
Cristo, rivelando
il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo
e gli fa nota la sua altissima vocazione". Questa è la "forte
antropologia" di Giovanni Paolo II, la quale spiega tutti i suoi gesti,
tutto il suo prezioso insegnamento, tutta la sua coraggiosa testimonianza,
tutto il suo "non aver paura" di alcuna sfida.
La Chiesa, quando il giovane cardinale di Cracovia fu eletto Papa, era impigliata
in una preoccupante crisi spirituale e culturale del mondo occidentale, che
Paolo VI aveva avuto l'ardire di denunciare, con toni perfino drammatici,
ma che non era riuscito ad affrontare. Il Concilio aveva certamente riportato
successi significativi, ma il clima della Chiesa postconciliare era diventato
"aspro e aggressivo", secondo una lucida analisi dell'allora arcivescovo
di Monaco, il card. Ratzinger, diventato poi uno dei collaboratori più
stretti e più fidati di Giovanni Paolo II. Sul piano culturale - si
era negli anni sessanta e settanta - si era passati dall'euforia circa le
illimitate prospettive di progresso alla disillusione e agli entusiasmi rivoluzionari.
Si stava passando dalla "stagione dei valori tradizionali" a quella
del pensiero debole, dell'individualismo radicale, del pensiero debole e del
nichilismo. E la Chiesa? Il concilio l'aveva spinta, coraggiosamente, sulle
strade evangeliche del dialogo col mondo. Ma o il dialogo con la modernità
- appassionatamente e sinceramente voluto e vissuto da papa Montini - riprendeva
la strada della radicazione nella santità e nella identità cattolica,
oppure la Chiesa era destinata a diventare lo specchio del mondo, risucchiata
essa stessa dallo Zeitgeist, dallo spirito dei tempi che in quel momento era
costruito su un umanesimo autodistruttivo e senza speranza. E fu proprio l'intesa
fra il cinquantunenne bavarese e il cinquantottenne polacco, , a dare il via
alla elezione del card. Wojtyla, nel conclave che seguì alla morte
di Paolo VI. I due si trovarono istintivamente in sintonia: occorreva ritrovare
- furono le parole stesse di Ratzinger - "l'audacia di accettare, con
cuore gioioso e senza tema di sminuirsi, la follia della verità".
La parola "verità" - che costituisce il titolo di un'importante
enciclica, Veritatis splendor - è un'altra chiave per capire il ministero
di Giovanni Paolo II, o meglio è una dimensione essenziale della sua
"forte antropologia". La persona umana è fatta per la verità,
non per le opinioni. E solo l'accesso alla verità, che si è
fatta splendore nel Verbo incarnato, può dare all'uomo quella felicità
e quella libertà dalle ideologie e dalle ideolatrie che conducono l'uomo
alla sua pienezza. Questa "verità" piena sull'uomo il Papa
l'ha predicata ai quattro venti, ai potenti e ai semplici, a Roma e sulle
tante contrade del mondo. E' una verità che riguarda tutto l'uomo:
dal suo venire al mondo al suo tramonto, nella famiglia, nella scuola e negli
ospedali, nella Chiesa e nella società. Il suo magistero sulla vita,
sulla famiglia, sulla donna è un prezioso patrimonio che lascia a tutta
la Chiesa e che porterà frutti negli anni a venire. E' difficile trovare,
nell'insegnamento di Giovanni Paolo II, qualche "ramo scoperto".
Ogni dimensione della vita umana è affrontata secondo l'ottica della
"verità". Il suo insegnamento spazia dai problemi sociali
e politici, a quelli - attualissimi - delle frontiere della bioetica; dai
problemi filosofici e culturali - da qui una delle sue encicliche più
forti, la Fides et ratio, che è un canto alla dignità e alla
capacità dell'uomo di guardare al mistero trascendente - a quelli del
rinnovamento della vita della Chiesa, che hanno visto negli anni del suo pontificato
alcune pietre miliari, come il nuovo Codice di Diritto Canonico e il Catechismo
della Chiesa cattolica.
La sua lotta contro ogni forma di totalitarismo, di sopraffazione e di degrado
morale, la sua ostinata predicazione sulle radici cristiane dell'Europa, il
suo amore alla Tradizione vivente del deposito apostolico come alla fonte
autentica di ogni progresso e di ogni riforma nella Chiesa non provengono
da alcuna ideologia politica, non sono ascrivibili a nessuna bottega culturale,
non nascondono alcuna strumentalizzazione di parte, ma sgorgano dal suo amore
appassionato all'uomo, nel quale risplende l'immagine di Dio e sul quale si
riflette lo splendore di Cristo.
Se ci chiediamo - e tanti in questi giorni se lo stanno chiedendo - da dove
Papa Wojtyla ha attinto la forza e il coraggio per un lavoro così immane,
io credo che la risposta sia una sola: dalla sua profonda fede, che quotidianamente
alimentava in una preghiera intensa e perseverante. A me è capitata
la grande fortuna di poter concelebrare la messa con il Papa nella cappella
privata del suo appartamento, insieme al Vescovo Nicolini e ai miei compagni
di ordinazione: e lì ho scoperto il segreto della personalità
di Giovanni Paolo II. E' stata una lezione indimenticabile di preghiera e
di vita spirituale. Il testamento che ci lascia è che non dobbiamo
mai vergognarci di essere cristiani, perché solo così siamo
veramente liberi di dialogare con ogni persona. C'è, piuttosto, da
vergognarci di essere troppo poco cristiani. Questo è il dramma del
nostro tempo. E questa è forse anche la malattia più oscura
e più grave, anche perché è la meno percettibile, della
cristianità attuale.
Don Alberto Franzini