E' presente nei testi della Sacra Scrittura - soprattutto veterostestamentari - una tensione salutare. Da una parte il divieto, consegnato da Dio a Mosè sul monte Sinai, di tradurre in immagini l'invisibile Creatore (cf. Es 20,4), per il motivo che qualsiasi immagine e rappresentazione di Dio porta in sé il rischio di una deriva idolatrica, di una cattura ideologica del Dio trascendente da parte dell'uomo. A tale divieto era ed è rimasto fedele l'ebraismo. La stessa motivazione è presente nei seguaci dell'Islam. Dall'altra parte, tutta la Bibbia registra il desiderio dell'uomo di contemplare il volto di Dio, di poterlo vedere e toccare, di poter entrare in una relazione piena e definitiva con Lui.
I salmi sono il documento più ricco di questo struggente desiderio di ogni uomo, che vede nella contemplazione del volto di Dio il senso profondo della vita ("L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?" sal 42,3), la pienezza della felicità e della salvezza ("Fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi! sal 80, 20) e, viceversa, vede nella sottrazione e nell'offuscamento del volto di Dio la fonte di ogni male, di ogni affanno e tristezza ("Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando nell'anima mia proverò affanni, tristezza nel cuore ogni momento?"sal 13,2-3), la radice stessa della morte e dell'annientamento totale ("Non nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa", sal 143, 7).
Dio stesso risolve questa tensione, venendo incontro al desiderio dell'uomo di poterlo vedere e contemplare. Abramo non incontrò forse il Dio invisibile nella visita dei tre misteriosi personaggi (cf Gen 18, 1-14)? Quell'incontro, mirabilmente raffigurato da Andrej Rublev nella sua ineguagliabile icona, diventa la radice della raffigurabilità di Dio. E' Dio stesso che, nel suo cammino di autorivelazione all'uomo, gli dona anche la capacità di rappresentarlo in modo visibile. E' Dio che decide di diventare di casa fra gli uomini. E' Dio che pone la sua tenda fra le nostre tende, perché noi abbiamo ad incontrarlo e a riconoscerlo.
L'incarnazione del Verbo costituisce il culmine e la pienezza di questo processo. A Filippo, che nel cenacolo, prima della passione, chiede a Gesù di mostrargli il volto del Padre, Gesù risponde: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (cf. Gv 14, 10). Ormai la gloria di Dio "rifulge sul volto di Cristo" (2Cor 4,6). Non solo. La luce del volto di Dio si riflette - analogamente alla Gloria divina che si posava in forma di nube sul tempio di Gerusalemme - anche sulla Chiesa, sul volto stesso dei credenti: "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2Cor 3, 18).
La tensione tra la invisibilità di Dio e la sua raffigurabilità, tra il divieto di ogni immagine, contenuto nel Decalogo biblico, e la legittimità dell'arte cristiana di poter rappresentare Dio è stata avvertita anche nella Chiesa dei primi secoli e fu teologicamente risolta soltanto nel secondo Concilio di Nicea (747 d.C.), che respinse la posizione iconoclasta e confermò la legittimità della consuetudine di esprimere la fede cristiana mediante raffigurazioni artistiche.
Il Verbo che si è fatto carne rende visibile l'invisibile. Da quella pienezza, da quel santo volto di Gesù - trasfigurato sul Tabor, sfigurato sulla croce, luminoso nella risurrezione - il volto di ogni figlio d' Adamo è stato reso partecipe del mistero di Dio e trova nel volto stesso di Dio la sua misura adeguata e il compimento di ogni sua ricerca, di ogni suo incontro, di ogni suo abbandono, di ogni suo sguardo, di ogni sua relazione, di ogni suo respiro, di ogni suo bacio. Il volto di ogni uomo, rischiarato e illuminato dallo sguardo salvifico di Cristo - che artisticamente domina nei catini delle absidi o nei portali romanici e gotici di tante cattedrali e pievi sparse sulla nostra Terra o in tantissimi capolavori pittorici, frutto non solo della genio, ma della fede di tutto un popolo - è l'immagine stessa, è l'icona terrena, il sacramento stesso del volto di Dio.
L'incontro con lo sguardo di Dio - apparso così tenero e così forte sul volto di Gesù - genera fecondità esistenziali di enorme portata. L'uomo è definitivamente strappato da una solitudine drammatica: non il caso è la sua placenta originaria, ma il seno di Dio, nel quale ciascuno di noi è stato concepito; non la morte è il suo destino finale, ma la comunione beata con Dio; non la tristezza della solitudine è la condizione delle sue giornate, ma la ricchezza dell'amore preveniente e provvidente di Dio; non il volto opaco di una persona anonima o il volto bieco di una persona malvagia è ciò egli desidera incontrare e contemplare, ma il volto luminoso di Dio. L'uomo è fatto per la relazione, perché costituito originariamente da una relazione e destinato esistenzialmente ad una relazione che non lo inganni con abbagli effimeri, non lo deluda, non lo illuda, non lo strumentalizzi. L'uomo è costitutivamente fatto per una Bellezza lucente che lo illumini senza seduzioni ingannevoli e idolatriche, per una Bontà gratuita che lo responsabilizzi senza affogarlo in affanni moralistici o in affondi volontaristici, per una Verità piena che apra la sua ragione al mistero, senza perimetrarla e rinchiuderla negli angusti spazi di una ratio puramente logica, funzionalistica, strumentale e calcolatrice.
La storia della nostra vita, intessuta dall'incontro con tanti volti, è chiamata all'incontro con il Prototipo: perché "ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia" (1Cor 13,12).