Da "Ritrovarci": "Adamo, dove sei?"(Marzo 2003)
di don Alberto Franzini

Da qualche tempo ritorna, anche e soprattutto nei dibattiti culturali, la domanda delle domande, che l'autore di Genesi colloca ai primordi della vicenda umana e che significativamente mette in bocca a Dio: "Adamo, dove sei?" (Genesi 3,9). Che equivale: "Adamo, chi sei?". E' la domanda genialmente espressa da Leopardi nel Canto notturno del pastore errante dell'Asia: "Ed io che sono?". Alle soglie dell'epoca moderna, Pascal aveva felicemente formulato una risposta, alla luce di tutta la tradizione biblica e del pensiero agostiniano: "L'uomo supera infinitamente l'uomo". Ossia l'uomo, che porta dentro di sé la domanda delle domande, non è in grado di bastare a se stesso, semplicemente per il motivo che non si è costruito da sé, e dunque non trova e non può trovare in sé la risposta adeguata al proprio mistero. La rivelazione giudaico-cristiana ha preso drammaticamente sul serio tale domanda e ha prodotto, con l'ausilio dello Spirito di verità, le grandi e affascinanti risposte.
Una prima: l'uomo è immagine e somiglianza di Dio, e non viceversa. Ciò significa che l'uomo scopre e vive la sua grandezza nel riconoscere e nell'adorare Dio, perché, se non si inginocchia davanti a Dio, si prostra inevitabilmente davanti agli idoli, che, come le sirene di Ulisse, lo ammaliano e lo seducono fino ad annientarlo. Nulla è più tirannico di un potere totalizzante che, sostituendosi a Dio, schiavizza l'uomo con l'illusione di liberarlo. Nulla è più liberatorio, secondo la Bibbia, del riconoscimento di Dio creatore, che ha costruito l'uomo sulla misura di sé. La storia, anche quella recente del secolo scorso, documenta abbondantemente e tragicamente questa verità, più volta portata alla ribalta - in netta controtendenza con il pensiero dominante - dal Papa: "l'uomo non è cosciente della sua dignità se non quando riconosce in se stesso e negli altri l'impronta di Dio che lo ha creato a sua immagine" (Al Corpo Diplomatico, 10 gennaio 2002).
Una seconda verità: la libertà dell'uomo, conseguentemente, consiste nel riconoscimento fattivo dell'amore creatore e redentore di Dio, nella responsabile risposta all'iniziativa gratuita di Dio. L'epoca moderna si è mossa, in prevalenza, in direzione opposta. Ha ritenuto, infatti, soprattutto a partire dall'illuminismo, di potenziare il soggetto umano esasperandone a tal punto l'autonomia da affrancarlo dalla comunione con il Creatore e con il Redentore. La libertà è stata vista in termini di liberazione da ogni vincolo, compresa la sua fonte trascendente, e non come risposta e abbandono ad un amore più grande. L'autonomia, che è andata degenerando nell'ideologia dell'autonomismo, è diventata la grande bandiera dei tempi moderni ed ha pervasivamente segnato ogni esperienza dell'uomo: non solo nel campo strettamente religioso, dove l'illuminismo ha prodotto l'aberrazione del razionalismo prima e dell'ateismo poi, ma anche nel campo etico, dove la scienza e la tecnica la fanno da padroni, trasformandosi la scienza in scientismo e la tecnologia in tecnocrazia; nel campo matrimoniale, dove il patto coniugale subisce il ricatto e le bizze di tutte le spinte individualistiche; nel campo educativo, dove i valori oggettivi sono stati mortificati dagli spontaneismi e dai desideri soggettivi; nel campo legislativo, dove le leggi, affrancate dal diritto naturale, non sono, il più delle volte, che pura presa d'atto della realtà fattuale: non indicano più un ideale cui ispirarsi, ossia un "dover essere", ma si limitano a regolamentare quel che c'è; nel vasto campo delle relazioni umane e sociali, dove l'altro non è più il "tu" che manifesta e porta a compimento l'"io", ma è diventato "un inferno", come ebbe a dire Sartre: un fastidio da eliminare, o un avversario da vincere, o un soggetto da possedere e da sfruttare. E si potrebbe continuare. Una libertà senza meta, cioè senza orientamenti e senza finalità, è come un sentiero interrotto nel bosco: lascia senza respiro.
Una terza verità: il cammino dell'uomo sulla terra è pellegrinaggio, dunque itinerario verso un traguardo. La vita è da vivere come una splendida e appassionante vigilia per l'arrivo dello sposo nel cuore della notte, come attesa di un incontro con la Bellezza, la Verità e la Bontà a cui l'uomo da sempre aspira e a cui è costitutivamente orientato. Anche questa verità è stata occultata o estenuata dalla cultura moderna e contemporanea, la quale, contestando l'aldilà come fiaba e come fuga nell'irreale, ha finito per produrre due soluzioni, in contrasto fra loro: o il miraggio dell'utopia, che è una forma idealizzata e disincarnata - essa sì irreale! e dunque ingannatrice - della speranza cristiana (l'utopia è la secolarizzazione della speranza cristiana: la vediamo all'opera, ad esempio, ogniqualvolta si pretenda di far coincidere la pienezza finale del regno di Dio con un determinato progetto politico, o lo "shalom" biblico con un trattato di pace); o la riduzione del tutto nel frammento del presente, dunque una idolatria dell'attimo fuggente, che produce da una parte ottundimenti e ubriacature e dall'altra apatie esistenziali e angosce disperanti: perché l'uomo, privato di una prospettiva di compimento e spodestato della speranza in una pienezza futura, fa estrema fatica a rinvenire e a reggere il senso del quotidiano.
E così, le principali proposte del pensiero moderno hanno condotto a trasformare la risposta di Pascal nel suo contrario, come ha scritto Nietzsche: "L'uomo è qualcosa che deve essere superato".
Il tempo quaresimale cade propizio nel cammino della nostra vita cristiana per operare il disincanto, per riaprire gli occhi sulla realtà. Come ha fatto Gesù nel deserto, dove ha lottato contro il tentatore di sempre, che proponeva al Figlio di Dio, come ha proposto ad Adamo ed Eva, e come propone a ciascuno di noi, la seduzione e l'inganno di sempre: fare a meno di Dio, eliminare Dio come l'avversario per liberare il nostro delirio di onnipotenza. Ma la nostra onnipotenza sta nel riconoscerci creature, modellate ad immagine di Dio. La nostra libertà si attua nell'accogliere il progetto amoroso di Dio su di noi. Il nostro camminare sulle strade di questo mondo ha senso, perché la "nostra patria è nei cieli" (Filippesi 3,20). Ogni altra antropologia ha il sapore della illusione, della delusione e dell'inganno. Come la storia abbondantemente documenta. E come il nostro cuore, se ci apriamo alla sincerità dell'ascolto, ogni giorno ci suggerisce.
Buona Quaresima a tutti!


Don Alberto