Il Natale ritorna ogni anno. A ricordarci l'evento di gran lunga più
significativo e più innovatore della storia: Dio si è fatto
uomo. Ha vissuto come noi, ha incontrato la gioia, la sofferenza e la morte
come ogni figlio di Adamo. Per entrare e per dischiudere a tutta l'umanità
la vita che non ha più fine. In quel Bambino nato a Betlemme è
apparso lo splendore della Verità, il fulgore della Bellezza, la potenza
della Bontà. Quel Bambino, nato in una grotta, morirà su una
croce. A significare che Dio, volendo diventare uomo, ha scelto di condividere
la nostra natura umana anche e perfino in quegli anfratti dell'esistenza che
parrebbero i più lontani dalla luce di Dio: proprio per annunciare
che non esiste esperienza umana, anche la più povera e la più
vergognosa - e la morte è la più radicalmente povera e vergognosa
- che non sia stata già raggiunta, perché già vissuta,
dalla "condiscendenza di Dio" apparsa nel Verbo che si è
fatto carne nel grembo di Maria.
Quanta lontananza, eppure quanta nostalgia, vive l'uomo contemporaneo del
nostro occidente rispetto alla straripante ricchezza del Natale di Gesù!
Perché mai questa lontananza? E poi, quale tipo di lontananza? Lontananza
di pratica liturgica, dovuta ad una disaffezione certamente sempre più
marcata del "popolo dei battezzati" dalla comunità cristiana
e dai riti della Chiesa? Lontananza etica, ossia frutto di una prassi morale
deviata che finisce per sentire come ostile e fastidiosa la presenza di un
Dio giudice nel cuore del peccatore? Lontananza "religiosa", tipica
dell'uomo occidentale, che vive "come se Dio non ci fosse"? Lontananza
culturale, figlia di una visione secolarizzata, anzi secolaristica dell'esistenza,
esaltata come il frutto più maturo di quell'illuminismo, che, in nome
della ragione e della libertà, ha rifiutato la fede, la fede cristiana
in particolare, come oscurantista, infantile, totalitaria? Lontananza come
indifferenza al cristianesimo? Lontananza come rifiuto del cristianesimo?
O come rifiuto della Chiesa storica e dei cristiani? Forse un po' tutto insieme.
Tale lontananza appare quanto meno strana. Perché si accompagna spesso
alla seduzione nei confronti di altre forme religiose (l'islam, le religioni
orientali, le nuove religioni), che appaiono più cariche di spiritualità,
quando non degenera - perché si tratta di una vera e propria degenerazione
- verso forme superstiziose che, più che mostrare i connotati della
idolatria, presentano piuttosto quelli dell'ingenuità, se non della
stupidità.
Ma è poi vero che il nostro Occidente sembra così voglioso di
prendere le distanze dal Cristianesimo, che pure - come ebbe a dire anche
il Papa nella sua visita al Parlamento italiano - costituisce il "cemento"
della sua grandezza e del suo sviluppo anche culturale? Perché si ha
l'impressione che qualcosa si stia muovendo, che l'insistenza sulla cultura
dell'effimero e la presenza del "pensiero debole", così prepotentemente
invasiva, stia generando - come ha sottolineato il presidente della Conferenza
episcopale italiana, card. Ruini, nell'ultima Assemblea Generale - "una
reazione di stanchezza e anche di rigetto, per cui sono largamente diffuse
le richieste di un cambiamento di rotta".
Il Natale è lì a dirci, in tutta la sua nuda e semplice bellezza,
che il Cristianesimo non consiste solo in qualche gesto di bontà, in
qualche sentimento umanitario, in qualche affanno etico, in qualche rito liturgico.
Il Cristianesimo è il "Verbo che si fa carne". Dunque, è
Dio che ha deciso di entrare nella nostra tenda umana, per riempirla della
sua misericordia, del suo splendore, della sua gloria.
Sono ancora tanti, forse troppi, i cristiani che giocano tutto - tutta l'esperienza
di fede - sulla propria coerenza, comunque sempre altalenante, e sulla propria
"giustizia", come direbbe san Paolo. Oppure che vanno a rimorchio
dei grandi temi della pace, dell'ecologia, dell'aiuto ai poveri, dell'accoglienza
dell'immigrato e di quant'altro: più per non perdere un posto sulla
ribalta politica o per tentare di sconfiggere sudditanze psicologiche che
non per amore e testimonianza quotidiana al Verbo che si è fatto carne.
Il Natale è la sconfessione dei nostri tentativi umani di salvezza
e di redenzione. E' la sconfitta dei tanti messianismi che invadono il mercato
mondiale e che, facendo leva sull'eterna illusione prometeica dell'uomo, provocano
delusioni e lacerazioni nel cuore dell'uomo come nella vicenda storica di
intere popolazioni.
Il Natale è lì a dirci che l'esperienza della fede - almeno
di quella cristiana - non ha origine nelle nostre energie e nei nostri progetti
di liberazione, ma in Dio che si fa dono nel nostro mondo umano; e che tale
esperienza cresce e si sviluppa nell'accoglienza, libera e responsabile, dell'abbraccio
misericordioso di Gesù sulla croce, che ci viene donato e riproposto
nei sacramenti, nell'ascolto della Parola di Dio, nella partecipazione umile
e gioiosa alla vita della comunità cristiana, nell'incontro con ogni
persona, bisognosa e povera eppure grande e fonte di stupore in quanto persona
umana, come ciascuno di noi: perché creata ad immagine di Dio, redenta
da Gesù Cristo, abitata dallo Spirito Santo.
Che il Natale 2002 porti nel nostro cuore, come nella vita delle nostre famiglie
e della nostra comunità, lo splendore dell'abbraccio misericordioso
del Signore Gesù, unico Salvatore di tutti e di tutto. Questo è
il mio fraterno augurio che rivolgo a ciascuno di voi, insieme a don Guido
e a don Davide.