Sta per iniziare un altro anno pastorale. Tutti noi - dal Vescovo, ai parroci e vicari, ai Consigli pastorali delle parrocchie - stiamo mettendo a punto il calendario delle iniziative e delle attività della nostra comunità cristiana, perché il cammino comunitario di una parrocchia è fatto anche di date, scadenze, impegni. Quest'anno il nostro Vescovo, in linea con gli orientamenti dei vescovi italiani, ha già espresso l'obiettivo di "recuperare la verità dell'iniziazione cristiana nella celebrazione dei sacramenti e nella proposta di una seria esperienza di fede", anche dando "rilievo ai percorsi di preparazione al matrimonio come percorsi di fede".
Rispunta, prepotente, la domanda: ma oggi, il cristianesimo è conosciuto nelle sue fonti originarie, nella sua figura centrale (Gesù di Nazareth), nelle sue espressioni più significative (la liturgia, l'arte cristiana, i santi, la Chiesa…)? Come si potrebbe infatti essere attratti da ciò che non si conosce o da ciò che si conosce male? Già vent'anni fa, un grande teologo ortodosso, Olivier Clement, tuttora vivente, ebbe a scrivere: "Per i più oggi il cristianesimo è uno sconosciuto, e uno sconosciuto che non ha neppure il fascino dell'inconsueto, poiché si continua ad ammannirne deformazioni e caricature".
Molti nostri contemporanei sono convinti che essere cristiani sia fare della morale, compiere qualche rito o gesto religioso, dare qualche elemosina a chi è nel bisogno, osservare qualche regola di "buona creanza". Non meravigliamoci, poi, se le nostre chiese si stanno sempre più desertificando, se i nostri oratori si riempiono solo in occasione di proposte sportive o di incontri conviviali (necessari, certo, ma non risolutivi del problema), se la vita delle nostre parrocchie procede "senza lode e senza infamia".
E allora? Bisogna tornare alle radici vive del cristianesimo, al fiume carsico della nostra più genuina umanità. Bisogna comprendere che il cristianesimo è la più perfetta tra le religioni, anzitutto perché non è una religione, ma una rivelazione: la rivelazione delle nostre origini e del nostro destino, del nostro oggi e del nostro domani. Soprattutto è la rivelazione di Dio. Perché il segreto della vita non sta nella ricerca scientifica e razionale, anche se il progresso nella conoscenza è un fattore entusiasmante e necessario; non si trova nell'azione, anche se il pane è indispensabile, e non ci possiamo sottrarre all'impegno per ridurre lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, così come non possiamo lasciare che la nostra terra diventi un immondezzaio. L'uomo non è solo un ricercatore, un politico, un consumatore: è un mistico. Le sue radici, in realtà, sono religiose, e dunque irrazionali, o meglio sovrarazionali. Una volta soddisfatti i suoi bisogni materiali, si scoprono ben altri bisogni. Gesù già lo diceva venti secoli fa: "non di solo pane vive l'uomo". L'uomo ha bisogno di pane, di acqua, di luce, di sale…: ma ha soprattutto bisogno di senso, di amore, di gioia, di vita eterna. Ha bisogno di Dio.
Oggi siamo in grado di affermare, dopo decenni di psicanalisi, che l'essere umano non è guarito dalle sue angosce fondamentali, non è al riparo dal naufragio del dolore e della morte. Non basta un'economia più giusta, non basta una ennesima rivoluzione sociale per risolvere i desideri più profondi dell'uomo. Perché l'uomo ha sete di infinito: di una libertà infinita, di una gioia infinita, di una bellezza infinita, di un amore infinito. La storia delle rivoluzioni degli ultimi due secoli si spiega solo così. La droga si spiega solo così. L'uomo non si accontenta di soluzioni che siano sotto il livello della divinizzazione. L'uomo è costruito per incontrare il tesoro nascosto del regno di Dio, e non altro. E' creato sulla misura di Dio e dunque non può essere riempito da nulla che sia meno di Dio stesso. L'uomo è desiderio dell'impossibile, perché è fatto per l'impossibile, unico cibo che lo appaga: un impossibile reso possibile da Dio stesso. Ecco perché tutte le strade offerte dal "serpente" (cf Gen 3,5), ossia dalla sapienza mondana, falliscono. L'unica strada è la comunione con Dio, che ci viene offerta da Gesù. E questa comunione non è praticabile attraverso la moralità, l'ascesi, la scienza…: è praticabile solo attraverso la nostra risposta al dono di Dio, che ci viene comunicato nella fede e nei sacramenti. Il cristianesimo è un'iniziazione "misterica", non una nostra conquista. Non è il risultato dei nostri sforzi etici: altrimenti Dio non sarebbe altro che la proiezione dei nostri limiti e l'ingrandimento goffo delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti. E' grazia, da accogliere con riconoscenza nella nostra esistenza umana. Che grazia sarebbe, quella di Dio, se fosse solo una ricompensa per le nostre opere buone?
Solo così il cristianesimo può fruttificare e fondare una morale: ma la morale cristiana è una morale di risposta a Dio che si è donato a noi, non una morale di conquista. Amare Dio è accettare lo scandalo di essere amati da Lui: e di essere amati, non quando e perché siamo bravi e buoni, ma di essere amati proprio nel bel mezzo del nostro pantano. Gesù aveva scandalizzato scribi e farisei, perché non ha annunciato un Dio bilaterale, ossia buono con i buoni e cattivo con i cattivi, ma un Dio unilaterale, "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5, 45). E' quanto annuncia anche l'apostolo Paolo, con una delle espressioni più incisive del suo epistolario: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rom 5,8).
Forse la causa di tanta incredulità, nel nostro cuore come nel nostro mondo, non sta solo nell'illuminismo, nella rivoluzione francese, nella rivoluzione bolscevica, nei totalitarismi atei, nella secolarizzazione o nel consumismo: sta, più semplicemente e più tragicamente, nella incapacità di noi cristiani di offrire e di vivere il cristianesimo; sta nella paura e nella debolezza di noi cristiani di annunciare, in nome di una falsa idea di tolleranza, la singolarità e l'originalità del Verbo che si è fatto carne, unico Salvatore di tutti gli uomini.