Da "Ritrovarci": Europa, ritrova le tue radici! (Apr. 2002)
di don Alberto Franzini

Un vento di protesta sembra essersi abbattuto sull'Europa delle cancellerie che contano, dei poteri forti e dei funzionari e tecnocrati di Bruxelles. Al di là dei mutamenti politici di questi mesi e di quelli che con molta probabilità vedremo nei prossimi, i popoli europei appaiono stanchi delle vecchie logiche delle oligarchie del Palazzo e manifestano con l'ultimo strumento reale di democrazia, quello dell'urna, che ancora rimane (quello della protesta di piazza e dei girotondi non cambia più di tanto la mappa del potere), un profondo malessere. I popoli europei vogliono più democrazia e meno tecnocrazia, più partecipazione e meno burocrazia, più economia e meno finanza. Ma forse il malessere è ancora più radicale. Non riguarda tanto e solo gli strumenti, l'organizzazione e le strutture della Unione Europea, cose tutte che vanno rimodulate e ridefinite. Il malessere riguarda il senso del vivere. E' un malessere che appartiene all'ordine spirituale. L'Europa sta smarrendo, o forse rinnegando le sue secolari radici, che le provengono dall'incontro della cultura dell'antichità classica, greca e romana e delle culture dei popoli germanici e celtici con il seme fecondo del Vangelo. Questa felice sintesi ha prodotto una civiltà che ha posto al centro la persona umana, la sua dignità, la sua apertura ai valori trascendenti, la costruzione di una città terrena basata sulla libertà e sul bene comune, sulla solidarietà e sulla sussidiarietà.

Il Papa di Roma non ha cessato, durante tutti gli anni del suo ormai lungo ministero, di ricordare e di ribadire la fecondità di queste radici, soprattutto di fronte ai totalitarismi che hanno insanguinato e imbarbarito il secolo scorso e di fronte al secolarismo agnostico e al relativismo scettico che sembrano imperversare in questi primi anni del nuovo millennio. Le dittature del secolo scorso, che hanno provocato milioni di vittime, non sono meno gravi delle dittature del pensiero oggi dominante, che, spargendo menzogne e offuscando la verità sull'uomo e sugli eventi storici, provoca altre vittime. Sono le vittime del pensiero debole, le vittime delle ideologie, le vittime dei poteri forti, le vittime del qualunquismo e del cinismo, le vittime del laicismo, le vittime del politically correct, le vittime della violenza mediatica e della realtà virtuale.

Vorremmo, con l'umiltà coraggiosa che ci deriva dall'essere, noi, semplici "preti sul campo", una "rivoluzione educativa" a tutto campo, a partire dalla scuola e dai luoghi di formazione. Vorremmo una scuola che sia in grado di affrontare le sfide dell'oggi proprio rinvenendo, senza paure e senza censure, le radici di quella cultura che ha fatto grande l'Europa. Vorremmo che i nostri ragazzi, a scuola, non imparassero solo a maneggiare il computer e a parlare un corretto inglese, francese, spagnolo e tedesco, ma anche a leggere e a gustare qualche scritto di Seneca e di Cicerone, qualche riflessione di Socrate, di Platone e di Aristotele; che imparassero a capire e a gustare l'arte di Giotto e del Beato Angelico, di Michelangelo e di Caravaggio; che imparassero, viaggiando per l'Europa, ad apprezzare quell'unità che è diventata pietra solida, ancor oggi visibile e godibile, nelle chiese romaniche e gotiche e nei monasteri medievali, splendidi centri di fede, di cultura e di civiltà; che imparassero, anche a memoria, qualche poesia di Leopardi e di Ungaretti; che fossero iniziati ad inebriarsi della musica di Mozart e di Bach, di Monteverdi e di Beethoven; che imparassero, finalmente, a leggere - con l'aiuto di maestri competenti - quell'impareggiabile "Libro dei libri" che è la Bibbia, con il suo sconvolgente e rivoluzionario messaggio di sapienza, di salvezza, di redenzione, di misericordia, senza del quale è difficile costruire un senso al vivere e dunque progettare e affrontare il futuro.

Vorremmo, con l'esperienza che ci deriva dall'essere, noi, "preti sul campo", anche una Chiesa meno burocratizzata e più "confessante", meno sociologica e più testimoniante; una Chiesa che fosse meno preoccupata delle blandizie della cultura dominante e più coraggiosamente libera di annunciare e testimoniare la totale verità su Dio e sull'uomo che le proviene dall'unico Signore che merita la nostra adorazione e per il quale hanno dato la vita, in modo cruento e incruento, molti santi e molti martiri di ieri e di oggi.

Il vento della secolarizzazione, anzi del secolarismo, ha coperto di polvere, nell'arco di pochi decenni, una delle linfe più vive della nostra storia europea: ossia la tradizione cristiana. A tale tradizione è urgente ritornare, perché, come ha denunciato più volte Giovanni Paolo II, "non si può dimenticare che fu la negazione di Dio e dei suoi comandamenti a creare, nel secolo passato, la tirannide degli idoli, espressa nella glorificazione di una razza, di una classe, dello stato, del nazione, del partito, in luogo del Dio vivo e vero" (14 dicembre 2000). Nello stesso discorso il Papa aggiungeva: "Non si può non rilevare come le ideologie, che hanno causato fiumi di lacrime e di sangue nel corso del XX secolo, siano uscite da un'Europa che aveva voluto dimenticare le sue fondamenta cristiane".

Un impegno appassionante, carico di fede e di sacrificio, è affidato alle generazioni cristiane dell'oggi e del domani. Un impegno non delegabile a nessun altro. Un impegno che può costare anche "lacrime e sangue", incomprensioni e persecuzioni. Ma quando mai la Chiesa non ha dovuto lottare contro la tentazione di seguire il fascino delle seduzioni idolatriche e contro la tentazione di essere ammaliata dal canto satanico delle tante sirene della mentalità dominante?