E' ciò che vogliamo noi cattolici italiani. Le polemiche sui crocifissi e sui presepi nelle scuole e negli ospedali e le proteste degli studenti (ampiamente amplificate dalle TV) in occasione della presentazione della riforma scolastica durante gli Stati Generali voluti dal ministro Moratti hanno avuto al centro proprio la questione della "laicità" dello Stato. Siamo in uno Stato "laico", si è detto e urlato. E fin qui nulla da eccepire. Dunque: via i crocifissi dagli ambienti pubblici, via i riferimenti cristiani dai canti natalizi nelle scuole pubbliche, nessun sovvenzionamento alle scuole "private" ("se le paghino i cittadini che le vogliono!"). E qui c'è molto da eccepire.
Che cosa vuol dire, infatti, "laicità" dello Stato? Vuol dire che lo Stato moderno non può essere "confessionale" in nessun senso: ossia non può far propria nessuna religione (non solo quella cristiano-cattolica, ma nemmeno quella musulmana, quella ebraica, quella buddista…); e non può far propria nessuna particolare ideologia, né quella materialistica e atea, e nemmeno quella laicistica, se per laicismo si intende una particolare concezione del mondo e dell'uomo di ispirazione immanentistica e illuministica, che nega cioè i valori trascendenti o li confina e li tollera solo nel segreto della coscienza individuale. Lo Stato non è un Moloch, dotato di un suo pensiero e di una sua etica. Lo Stato è lo strumento che la società civile si dà per il governo della Città terrena. La fonte di legittimazione dello Stato non è…lo Stato: altrimenti saremmo in un regime totalitario, dove lo Stato si autoproclama padrone delle coscienze, fonte di moralità, sorgente della verità (sono sempre attualissime, su questo tema, le grandi encicliche di Pio XI: la "Mit brennender Sorge" contro il nazismo e la "Divini Redemptoris" contro il comunismo ateo, uscite nel marzo del 1937 a pochi giorni una dall'altra). E' la società civile, è la comunità dei cittadini, è il popolo la fonte legittima della sovranità: lo ricorda solennemente la nostra Costituzione proprio nel primo articolo.
Ogni popolo è costituito da una storia, da una cultura, da un'arte, da una tradizione, che, nel caso dell'Italia - lo ricorda perfino la atea Fallaci nel suo ormai famoso "La rabbia e l'orgoglio" - trovano nel cattolicesimo una fra le radici più vive e feconde anche nell'oggi. Gli stessi Accordi di revisione del Concordato fra l'Italia e la Santa Sede (che, votati a grandissima maggioranza dal Parlamento italiano, sono a pieno titolo patrimonio legislativo, costituzionalmente garantito, del nostro Stato "laico") affermano, nell'art. 9, che la Repubblica italiana non solo riconosce il valore della cultura religiosa, ma tiene conto - dunque riconosce come dato di fatto incontrovertibile - che "i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano".
Allo Stato si deve chiedere, negativamente, che non faccia propria nessuna particolare ideologia, che non imponga dogmi di nessuna cultura, che non si identifichi con nessun partito e con nessuna religione. Altrimenti, molti cittadini, a motivo della loro particolare scelta ideologica o religiosa o partitica, sarebbero costretti a sentirsi stranieri in patria. Ma positivamente allo Stato si deve chiedere che riconosca la realtà di fatto esistente nella società civile, assicurando ai cittadini, singoli e associati: la libertà di esistere nella propria identità culturale e religiosa; la possibilità di far esperienza di vita associata in coerenza con il proprio credo culturale e religioso; la libertà di proporre agli altri le proprie convinzioni, nell'ambito del bene comune e nel rispetto della libertà altrui. Le leggi dello Stato sono chiamate ad esprimersi entro questa logica, altrimenti diventerebbero prevaricazioni. Lo Stato è laico non tanto quando prescinde da ogni cultura, da ogni religione e da ogni moralità (in tali casi tenderebbe a diventare "laicista"), ma proprio quando prende atto delle identità religiose, morali e culturali di fatto esistenti nella società.
Applichiamo questo principio ai crocifissi. Lo Stato è laico, quando riconosce i simboli religiosi presenti nel popolo italiano: di qualunque religione, certo, ma tenendo ovviamente conto della consistenza storica e della tradizione culturale di ogni religione. Lo Stato diventa laicista, e dunque travalica il proprio ruolo e abusa delle sue funzioni, quando, in nome di una pretestuosa concezione della "laicità", sposa una sorta di agnosticismo e di indifferentismo che arriva a censurare qualsivoglia espressione religiosa dai luoghi pubblici, ossia dai luoghi dove di fatto vivono i cittadini, dove di fatto vive e opera la società civile.
Applichiamo questo principio alla scuola. Lo Stato è laico, quando riconosce a chiunque (compresi i cittadini cattolici) il diritto - costituzionalmente affermato - di istituire scuole ed istituti di educazione, assicurando ad essi "piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali" (art. 33 della Costituzione italiana). Lo Stato diventa laicista, quando pretendesse per sé il monopolio educativo e scolastico, emarginando e avvilendo le istituzioni scolastiche non statali, ritenendole addirittura un attentato alla uguaglianza dei cittadini. Non si dimentichi, per altro, che la titolarità educativa e perfino istruttiva, secondo la nostra Costituzione, spetta ai genitori, i quali affidano allo Stato o ad Enti non statali un diritto-dovere che non riescono di fatto ad esercitare, ma che rimane comunque loro proprio. Val la pena citare dall'art. 30 della Costituzione italiana: "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli". Proprio per questo, i genitori devono poter esercitare - e perché non anche grazie all'aiuto dello Stato? - la libertà di mandare i propri figli nelle scuole che meglio rispondono alle loro convinzioni culturali, etiche e religiose. Questo principio, attuato in tante nazioni, è solennemente ribadito dalle Carte internazionali ed è oggetto anche di una Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 1984: ma è fortemente disatteso nella nostra laicissima Italia, che in questo caso si dimostra culturalmente arretrata, e soprattutto affetta dal morbo statalista. Perché confonde laicità con laicismo. Perché confonde laicità con agnosticismo e indifferentismo religioso. Perché confonde società con stato. Perché continua a identificare le scuole pubbliche con le scuole a gestione statale (Una annotazione, a margine: si abbandoni, finalmente, la dizione "scuola pubblica-scuola privata" e si adotti quella, più corretta, di "scuola statale- scuola non statale" o di "scuola statale-scuola libera", per il fatto che ogni scuola, una volta che sia riconosciuta dalla legislazione vigente, svolge una funzione pubblica: forse che la scuola materna delle nostre suore a Casalmaggiore o l'Università Cattolica di Milano-Roma-Piacenza-Cremona non svolgono una funzione di rilevanza pubblica?).
Una società democratica vive di identità e di esperienze concretamente operanti, che lo Stato è chiamato a "riconoscere", e non semplicemente a tollerare, o, peggio ancora, a mortificare.
Questo vuol dire "laicità". Diversamente siamo al dogma laicista.