Da "Ritrovarci":
Il Natale cristiano: è ancora "scandalo"? (Dic. 2001)
di don Alberto Franzini

E' ancora Natale. Natale di chi? Sussurriamolo sottovoce: è il Natale di Gesù. Perché non si può più gridarlo dai tetti: saremmo tacciati di essere poco rispettosi degli "altri", quindi intolleranti e fondamentalisti anche noi. Infatti, in non so quale scuola del nostro Stato laico e multiculturale, proprio "per rispettare le differenze" è stato proposto di "ribattezzare" il Natale così: festa della gioia universale, o dell'armonia cosmica, o del multiculturalismo, o di non so che altro. Ed è stato proposto di togliere ai canti natalizi ogni riferimento cristiano.

Ma toh, mi son detto: vuoi vedere che, per tutelare la laicità multiculturale dello Stato, fra poco avremo difficoltà a proporre la lingua italiana come lingua nazionale; a usare il nostro tricolore e a cantare il nostro inno nazionale (con buona pace del nostro Presidente Ciampi); ad osservare e a far osservare le nostre leggi patrie e a non punire più gli inadempienti; a non titolare più nessuna via o piazza a qualche nostro concittadino o connazionale? Insomma, a rinunciare alla nostra identità, sempre in nome della multiculturalità e della laicità, si intende, per rispettare coloro che, provenienti da altre culture, abitano sull'italico suolo. Certo, la religione è di altro genere. Ma sarà ancora possibile essere "cristiano-cattolici", in Italia, senza avvertire qualche disagio e qualche complesso di colpa? O senza sentirsi invitare a "lasciar perdere", a non insistere troppo sulle differenze, a ricercare solo ciò che unisce tutti, magari sognando e rispolverando la "religione laica" di illuministica memoria, nella quale tutte le differenze religiose vengono finalmente annullate, per fare spazio…non so immaginare a che cosa? Pensate se facessimo così anche nell'arte, nella pittura, nella musica, nella poesia, in medicina, in cucina…: un prodotto omologato e indistinto, uguale per tutti!

E allora, proprio in occasione del Natale - il Natale quale mi è stato trasmesso dai miei genitori e nonni, dai miei preti ed educatori - mi sono fatto una domanda semplice. Ma in che cosa consiste, alla fin fine, l'essere cristiani? E, dopo tanti anni di studio e di insegnamento della teologia, mi è venutlo in mente quel che diceva il vecchio catechismo - quale ho imparato da bambino - alla domanda: quali sono i misteri principali della fede? Risposta: "I misteri principali della fede sono due: unità e trinità di Dio; incarnazione, passione e morte (con il giusto aggiornamento postconciliare: e risurrezione) di nostro Signore Gesù Cristo". Quella antica risposta mi ha aperto uno scenario fantastico. Provo a comunicarlo a voi, miei parrocchiani.

Anzitutto mi ha aperto lo scenario su Dio, sul mistero intimo di quel che nel nostro povero linguaggio chiamiamo Dio. E mi sono accorto, una volta di più, della ricchezza sconvolgente, "scandalosa" (direbbe San Paolo) della rivelazione cristiana: Dio, al suo interno, non è un monarca solitario, non è un sovrano autoreferenziale, una specie di tiranno che implode dentro al suo assolutismo onnipotente. Dio, invece, è Amore: dunque è costituito al suo interno da relazioni vere, che rendono possibile l'amore, perché non si può amare se stessi. Si può amare solo l'altro distinto da sé. E tutto ciò esiste nella comunione di Dio: il Padre ama il Figlio e lo Spirito Santo, e i Tre vivono la circolarità dell'unico Amore. Il Padre è l'Amante, il Figlio è l'Amato, lo Spirito Santo è l'Amore. E proprio perché Dio - quale ci è stato rivelato da Gesù - è unitrinitario, diventa capace di comunicare al di fuori di sé la sua vita divina. Il cosmo e soprattutto l'uomo sono l'icona visibile e creata del Dio uno e trino. L'uomo è il riflesso, ossia l'immagine e la somiglianza, sul piano del tempo e dello spazio, del mistero stesso di Dio. La coppia umana, attraverso l'esperienza dell'amore sponsale, rivela la natura intima di Dio, che è relazione interpersonale e feconda. La stessa comunità umana, ogni società umana è chiamata ad essere specchio del Dio unitrinitario, attraverso l'esercizio di un'autorità che, nel mentre governa e unifica al bene di tutti, favorisce e dà spazio alle diverse realtà presenti nella società, evitando tentazioni monopolistiche e totalitarie, come pure derive anarcoidi e libertarie.

Questo Dio, poi, si è fatto carne, si è umanizzato, fino al punto da diventare uno di noi: un uomo concretissimo, Gesù di Nazaret, nato e vissuto in un tempo e in uno spazio ben precisi della nostra storia. Gesù è la narrazione umana di Dio. Certo, fino all'incarnazione del Verbo conservava tutto il suo valore il divieto, consegnato da Dio a Mosé sul monte Sinai, di tradurre in immagini l'invisibile Creatore (cf. Es 20,4), per il motivo che qualsiasi immagine e rappresentazione di Dio porta in sé il rischio di una deriva idolatrica, di una cattura ideologica del Dio trascendente da parte dell'uomo. A tale divieto era ed è rimasto fedele l'ebraismo. La stessa motivazione è presente nei seguaci dell'Islam. Ma il Verbo che si fatto carne rende visibile l'invisibile. A Filippo, che gli chiede di vedere il Padre, Gesù dona la grande risposta, che ha cambiato la nostra storia e la nostra vita: "Filippo, chi vede me, vede il Padre" (Gv 14,10). Gesù Cristo è la fine di ogni iconoclastia, di ogni impossibilità di raffigurare Dio. Gesù è la fine di ogni astrattezza su Dio. Dalla mangiatoia di Betlemme fino al grido morente sulla croce, Gesù mostra un Dio che è stato totalmente solidale con noi. Non solo: un Dio che è rientrato, da uomo glorificato, nel seno della Trinità santa, per restarvi per sempre, portando con sé per l'eternità i segni della nostra umanità sofferente. E così la Chiesa diventa il Corpo di Cristo. I sacramenti diventano segni efficaci della salvezza. L'arte cristiana diventa forma della Bellezza di Dio. Il volto di ogni persona umana diventa l'icona stessa del volto di Dio incarnato.

Questo - e dite poco? - ci annuncia il Natale cristiano, che auguro fecondo, insieme a don Guido, a don Davide e a don Carlo, ad ogni persona e ad ogni famiglia della nostra comunità parrocchiale.