Da "Ritrovarci": Nella Croce l'amore e la vita (Apr. 2001)
di don Alberto Franzini

"Noi predichiamo Cristo crocifisso" (1 Cor 1,23). E' il Crocifisso risorto il cuore, il senso, l'originalità del Cristianesimo. E ogni anno la Pasqua ce lo ripresenta, in tutta la sua sconvolgente lezione. Noi avremmo voluto un Dio diverso: potente come lo Zeus degli antichi greci, o splendente d'oro come gli imperatori bizantini. E invece Colui per mezzo del quale e in vista del quale il mondo è stato creato, ce lo ritroviamo nella vergogna di un patibolo: "scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani" (1Cor 1,23). "Quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce" (Mt 27, 39-40). Se fosse disceso, l'amore di Dio sarebbe stato sconfitto dalle tenebre del nostro peccato e tutti i crocifissi della storia sarebbero drammaticamente soli: anzi, tutta la storia dell'uomo sarebbe senza speranza, chiusa e avvitata su se stessa.

La cultura mondana greco-romana ha disprezzato il cristianesimo come una follia irrazionale e inaccettabile: uno scavo romano presenta il crocifisso con le orecchie d'asino. La cultura mondana di sempre, anche quella che abita nella parte pagana del nostro cuore, continua a non capire, a ridicolizzare, a rifiutare, a censurare. Ma Cristo crocifisso, per chi apre il cuore alla fede, è potenza e sapienza di Dio, "perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Cor 1, 25). In questo modo viene umiliata e sconfitta l'arroganza e la saccenza del mondo: nel suo riso c'è la disperazione, nella sua sazietà il fallimento, nella sua potenza la desolazione.

Volere un Dio senza croce è condannarsi a non incontrare mai la tenerezza di Dio, è respingere la consolazione di averlo con noi, sofferente insieme a noi nei nostri dolori.

Il Crocifisso è davvero tutto e spiega tutto.

Ci dice chi è Dio: la croce è il posto più lontano da Dio, il posto più basso fra quelli possibili e pensabili. Cristo lì è morto, affinché nessun uomo, per quanto sia nella vergogna e nella miseria anche morale, si possa sentire escluso dalla misericordia di Dio. Il Figlio di Dio, per amore nostro, è disceso fino agli inferi, per liberare l'uomo dal suo peccato e dalla sua tenebra. E' quanto ha intuito la Chiesa orientale, nell'icona che adotta nel giorno di Pasqua: il Cristo risorto solleva Adamo ed Eva dal buio dell'inferno e li trascina con sé in Paradiso.

Il Crocifisso ci dice chi è l'uomo: è il perennemente cercato, è il perennemente amato da Dio. Nulla ostacola l'amore di Dio, se non un ostinato e libero atto dell'uomo. Il Cristo risorto è andato all'inferno, là dove l'uomo è nel posto più lontano da Dio, per liberarlo e "per farlo sedere nei cieli" (Ef 2,6). Sì, nel Crocifisso noi siamo amati, anche nel nostro peccato: anzi, amati proprio perché peccatori: "Noi non siamo stati comprati a prezzo d'oro e d'argento, ma con il sangue prezioso di Cristo" (cf. 1 Pt 1, 18-19). Dio non ci ama, se e quando noi cominciamo a diventare buoni, ma ci ama proprio quando disprezziamo, con il peccato, la sua offerta di amarci. Dio ci ama, non quando cominciamo ad avvicinarci a Lui, ma proprio quando siamo nella condizione di massima lontanza da Lui, nella condizione di inimicizia con Dio. Lo dice l'apostolo Paolo con la sua consueta concisione: "A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rom 5, 7-8).

Qui siamo al cuore di tutto il Nuovo Testamento. Gesù aveva proprio su questo punto scandalizzato scribi e farisei, che non riuscivano ad accogliere un Dio così, ma lo volevano bilaterale, ossia giusto secondo il nostro criterio di giustizia: buono con i buoni, e cattivo con i cattivi. Ma questo sarebbe un dio pagano! "Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?" (Mt 5, 46-47). Il Dio di Gesù Cristo è invece un Dio "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5,45).

Il Crocifisso non è il segno di una sconfitta senza ritorno: è il segno più potente dell'amore di Dio, di un Dio che non poteva amare più di come ha amato. Il Crocifisso è il "giudizio" supremo di Dio sul mondo: un giudizio di radicale condanna del nostro peccato, e insieme di radicale misericordia per la salvezza dei peccatori.

Nel Crocifisso tutto riceve senso. Lo scacco, il peccato, la morte, che sembrano radicalmente opporsi allo sviluppo della vita, sono trascinati anch'essi in una corrente di vita. Non dobbiamo buttar via nulla della nostra vita, nemmeno la sofferenza, il peccato e la morte, che non trovano certo posto fra le soluzioni, le ideologie e nemmeno le filosofie elaborate dall'uomo lungo i millenni per rendere felice e piena la vita. Non ci sono più avvenimenti privi di senso, da quando il Figlio dell'uomo ha assunto su di sé la potenza della morte, costringendola a produrre il suo frutto di vita nella risurrezione.

Il patibolo della morte si trasforma così in albero della vita. Riconsegnato alla terra, Cristo, in quanto "fatto peccato per noi" (cf. 2Cor 5,21), è sconfitto radicalmente dall'amore di Dio, è svuotato della sua stessa divinità per amore nostro, per stare nella nostra compagnia di peccatori, destinati alla morte. "Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Fil 2, 9).

La morte di Gesù è la beffa più grande a Satana, è lo sberleffo più sonoro di Dio alle potenze di questo mondo, che sono state vinte proprio là dove apparivano vincitrici.

Mai, come guardando al Crocifisso risorto, la sapienza di questo mondo si rivela così goffamente e tragicamente insipiente.

E allora: buona Pasqua, a tutti! Insieme a don Guido e a don Davide.