"Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!" (Is 21, 11-12). Il celebre dialogo di Isaia rivela l'atteggiamento profondo del credente: vegliare nella notte della vita, nel buio della storia, in attesa dell'ultimo mattino di un giorno senza tramonto.
L'Avvento non è solo un tempo liturgico. E' l'intera vita dell'uomo, è l'intera storia umana ad essere "avvento", ossia tempo di veglia per l'imminente venuta di Dio, che si è fatto carne in Gesù di Nazaret. Questo è il tratto peculiare della fede cristiana: la luce è già presente nel mondo ed è quella di Cristo (risentiremo questo annuncio di gioia nella messa natalizia della notte: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce", Is 9,1), ma le tenebre non sono ancora del tutto scomparse dalla scena della storia.
Come, allora, vivere dentro al nostro tempo, con lo sguardo del cuore e della vita rivolto alla venuta finale del Signore? La tradizione cristiana, a partire dalle parole evangeliche di Gesù, ha sempre parlato di "veglia", di "attesa vigile". Ma l'attendere non equivale semplicemente all'aspettare ciò che accadrà nel futuro: la fede sarebbe, in tal caso, una fuga alienante nel domani, che produrrebbe disinteresse nei confronti dell'oggi. L'attesa cristiana è, più profondamente, prendersi a cuore qualcosa - o qualcuno - nel presente, è dedicarsi ad un compito preciso lungo la strada della vita. La veglia, così intesa, coincide con una presa di responsabilità diretta e continua sul presente, evitando quell'apatia esistenziale - a volta peggiorata dal morbo del cinismo - che costituisce lo stato d'animo di non pochi nostri contemporanei.
In particolare, il rischio più grande del nostro Occidente è la dimenticanza del problema di Dio, e dunque la irrilevanza della fede, che si traduce poi in un'afasia circa il senso del vivere. L'esito è che la vita venga vissuta o nella forma della pretesa - che produce continui e deludenti affanni - anziché nella forma dell'accoglienza riconoscente di un dono; oppure come un peso di difficile sopportazione, che, avendo il nulla come prospettiva, genera la seducente tentazione di anticiparne la fine, anziché essere vissuta come un avventura da presentare, come una consegna carica di frutti, a Colui che ne è il principio e il fine; oppure, più semplicisticamente, che venga vissuta nella forma di una ingenua e infantile banalizzazione o di un rassegnato qualunquismo, anziché nella forma di un appassionato e costruttivo esercizio di responsabilità di fronte ai compiti che Dio ci assegna. Il cristiano è chiamato, oggi più che mai, a farsi sentinella umile e coraggiosa del mistero e della rivelazione di Dio, a sentirsi custode di un tesoro prezioso che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità: è il tesoro della fede in un Dio che è diventato uomo, affinché l'uomo fosse preservato dallo smarrire il senso del suo camminare in questo mondo.
E, per entrare ancor più nell'attualità, il cristiano, nella notte che la cultura occidentale sta vivendo circa il valore sommo della vita umana, è chiamato a gridare forte il progetto di Dio sull'uomo. Di fronte allo scempio di vite innocenti e indifese al loro albore, ancorché permesso da una legge dello Stato, siamo chiamati a testimoniare la preziosità e la unicità del dono di ogni vita. Di fronte all'uso di esistenze embrionali, trattate come materiale di esperimenti genetici, siamo chiamati a denunciare la terribile deriva a cui si è spinta una scienza priva di valori etici. Di fronte all'irrisione e al degrado in cui viene lasciata la famiglia, non senza colpevoli omissioni da parte delle pubbliche autorità, dimentiche del dettato costituzionale, siamo chiamati a testimoniare il progetto di Dio sull'amore fra l'uomo e la donna. Di fronte ad una concezione monopolistica ed egemonica della cultura, che diventa sempre più pesante nei settori della informazione, della scuola, degli spettacoli, della educazione, siamo chiamati a testimoniare il valore della libertà e il rispetto del compito primario dei genitori e degli educatori, il rispetto delle identità originarie dei gruppi sociali, delle aggregazioni intermedie, delle comunità religiose. Di fronte alla legalizzazione e alla cultura dell'eutanasia - espressione del titanismo dell'uomo - siamo chiamati a testimoniare che non l'uomo, ma Dio, e solo Dio, è la fonte e il Signore della vita. Di fronte allo strapotere delle oligarchie finanziarie, siamo chiamati a testimoniare il valore di un impegno politico che ritrovi la ragion d'essere nel perseguimento di una reale giustizia per tutti, nella costruzione di una democrazia non solo formale, ma sostanziale, nella difesa e nella promozione dei ceti più deboli, nel rinvenimento delle competenze e delle professionalità richieste a chi svolge una funzione dirigente.
Il Natale - che ogni anno torna nella liturgia della Chiesa con il linguaggio semplice e forte di un Bambino diventato potente sulla croce, perché è rimasto fedele alla Parola di Dio e non si è lasciato sedurre dal canto di altre sirene - ci aiuti ad uscire dall'accidia in cui ci troviamo anche come cristiani. La presenza di altre culture non ci deve né spaventare, né intimorire: ci deve, più semplicemente, provocare a ripensare e a testimoniare, con rinnovato vigore, la nostra fede in Gesù Cristo, nato a Betlemme due mila anni fa, crocifisso sotto Ponzio Pilato, risorto da morte, unico Signore della storia e del cosmo.
Con l'augurio di un Natale cristiano, insieme a don Guido e a don Davide.