E' tempo di ripresa per la nostra comunità parrocchiale. Dopo le intense attività dei mesi scorsi e dopo la pausa estiva - che vede anche la partenza di don Giampaolo per la sua nuova missione e l'arrivo del nuovo vicario, don Davide - stiamo per iniziare un nuovo anno pastorale, con la fatica e la gioia di ogni ripresa. Ma una comunità cristiana non è una azienda, una scuola, una associazione o quant'altro. E' una comunità di famiglie, di uomini e di donne, di ragazzi e di bambini, di giovani e di anziani, che hanno accolto l'invito del Signore Gesù a vivere la vita secondo il Vangelo, ossia nella prospettiva di un senso globale che viene anzitutto donato, perché non è frutto dei nostri sforzi.
Oggi siamo chiamati più che mai a uscire dai nostri narcisismi e dalle nostre lamentele, dalle nostre solitudini e dalle nostre paure. E', il nostro, un tempo di testimonianza della singolarità e originalità della nostra fede cristiana. Siamo chiamati a superare complessi di colpa che la cultura dominante è riuscita, negli scorsi decenni, a inoculare nelle comunità cristiane in nome di una presunta modernità che predicava tramonti ineludibili del cristianesimo, eclissi inarrestabili della fede, fallimento storico della Chiesa, vista solo come fattore residuale di una civiltà ormai tramontata.
Non siamo buddisti, né musulmani, né ebrei, né persone vagamente religiose (con profondo rispetto per ciascuno di loro, come per ogni persona umana): siamo cristiani e intendiamo esserlo fino in fondo, in sincero e aperto dialogo con tutti, ma senza rinunciare alla nostra identità. Anche nella povertà delle nostre forze e perfino nella altalenanza della nostra vita morale. E' successo anche a Pietro di "tradire" il Signore, ma non ha mai abbandonato il fascino di seguirlo e non è stato mai sedotto da nessun altro maestro: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna".
Nella situazione culturale attuale il rischio di noi cristiani, come singoli e come comunità, è quello del nascondimento, della paura di apparire fuori moda, della difficoltà a respingere le seduzioni e le critiche del pensiero dominante, che è quasi infastidito della presenza cristiana, quando questa veste i panni della propria identità e annuncia la verità evangelica sull'uomo e sulla storia. In quest'anno giubilare la Chiesa, attraverso la voce del Papa e dei Vescovi, più volte ha coraggiosamente ribadito tale verità. Si tratti di fecondazione eterologa o di Gay Pride, di bambini consumatori nel Nord opulento o di bambini venduti nel Sud affamato, di azzeramento del debito del Terzo Mondo o di accoglimento degli immigrati, di droga o di bioetica, di aborto o di eutanasia, di ingerenza umanitaria o di alternative alla detenzione, di richiesta di perdono e di riconoscimento della forza del martirio, quale altra realtà, se non la Chiesa - alla quale ci gloriamo di appartenere, non per i nostri meriti, ma unicamente per la sovrabbondante e misteriosa grazia di Dio - ha saputo offrire una visione di insieme, chiara e ferma, capace di orientare le coscienze, sempre più incerte nel marasma di posizioni impazzite, perché prive di una seria e robusta antropologia (che non può fare a meno di una seria e robusta teologia)?
Nel vuoto di una cultura che ha smantellato la roccia dei valori fondamentali del vivere personale e comunitario, l'unico punto di riferimento, sul piano storico e culturale, è rimasta la nostra Chiesa. Il paradosso è che a gridare contro le sue "intromissioni" sono spesso gli stessi che, sulle grandi questioni sopra ricordate, ne blandiscono l'assenso e si stracciano le vesti se questo manca. Come se la Chiesa debba esser tenuta ad obbedire alla logica massmediatica, alla pressione del "politically correct", per divenire anch'essa un'agenzia di marketing.
Che ne sarebbe della Chiesa, se essa dicesse le stesse cose che dice il mondo? Il criterio della predicazione e dell'azione della Chiesa non è e non può essere quello di assecondare quello che la gente ama sentirsi dire. Il criterio della Chiesa è la fedeltà alla piena verità di Dio, l'unica in grado di liberare l'uomo dalle ideologie di turno, dalle idolatrie circolanti, dalla demagogia dominante, dal buonismo e dal debolismo à la page, mettendo nel conto anche impopolarità e derisione.
Qualcuno dovrà pur spiegare perché le giovani generazioni, incuranti delle lezioni di laicità (cioè di laicismo) propinate da maestri saccenti e dagli ideologi del potere, sono accorse a Roma per incontrare il "polacco reazionario". Il desiderio di verità e di libertà diventa sempre più forte e autentico nei giovani, a dispetto di frettolose e interessate analisi sociologiche. Il Vangelo di Gesù Cristo, all'alba del terzo millennio, appare ancora come il manifesto ineguagliabile della verità piena sul mistero e sul senso della vita umana. Di fronte agli inganni di una cultura atea, i cui frutti - l'egolatria di massa, l'indifferentismo etico e la disperazione nichilista - sono sotto gli occhi di tutti e stanno rendendo irrespirabile l'aria del nostro occidente, i giovani, alla Giornata Mondiale celebrata a Roma insieme al Papa nello scorso agosto, sono apparsi più saggi di tanti adulti andati alla deriva: perché sono tornati ad essere, con l'umile coraggio dei discepoli del Signore, pellegrini della Verità e l'hanno gioiosamente ritrovata nel "Verbo che si è fatto carne": fatto carne nell'uomo Gesù, nella sua Parola intramontabile, nell'Eucaristia, nella vicenda dei martiri e dei testimoni della fede, nella vita della Chiesa, nella storia dell'umanità.
Questa è l'unica, vera, insopprimibile e appassionante vocazione dell'uomo.