Ridare alla famiglia e ai corpi sociali il diritto di educare e istruire i figli, garantito dalla Costituzione. La classe politica e i suoi deficit.
"Finché la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie, perché il cittadino non ha respirato da bambino e da giovane che l'aria di una scuola non libera (...). La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, non può germogliare nell'atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale". Questa profetica affermazione, del 1947, di don Luigi Sturzo nel pieno di uno dei più accesi dibattiti parlamentari del dopoguerra circa il valore legale dei titoli di studio, è di una importanza decisiva per le generazioni che verranno e quindi per il futuro del nostro Paese.
Il problema dell'istruzione e quindi dell'educazione ci sta troppo a cuore, per confinarlo nei dibattiti televisivi e parlamentari, quasi fosse un problema per addetti ai lavori e non invece un problema che investe l'intera società italiana, e in modo particolare la comunità cristiana. Né, il problema della libertà scolastica, può essere bloccato solo da quell'inciso "senza oneri per lo Stato" dell'art. 33 della Costituzione, inciso per altro già ampiamente chiarito in sede di assemblea costituente dagli stessi promotori: é inciso che va letto e collocato nell'insieme dell'art. 33 e degli altri articoli della nostra Costituzione riguardanti la famiglia e la scuola.
L'educazione dei ragazzi e dei giovani è questione decisiva. A chi spetta? Nel lessico della cultura dominante, influenzato da oltre un secolo di educazione statalista, la risposta appare scontata: allo Stato! Ed è proprio su questa risposta scontata che va aperto il dibattito e va fatta chiarezza.
Faccio mia un'espressione di Mario Mauro, responsabile nazionale dell'associazione professionale degli insegnanti della Compagnia delle Opere: " La scuola non è una risorsa dello Stato, ma è il frutto della speranza e della capacità di costruzione di un popolo. Anzi, se uno Stato è grande, è tale perché riconosce i suoi limiti, non si impone cioè come entità totalizzante. Uno Stato che pretenda di definire la felicità dei cittadini, di definire il senso della vita attraverso l'educazione, sarebbe un regime". Questo è il motivo per cui va respinta la pretesa, da parte dello Stato, di essere l'unica fonte della proposta scolastica. Se il fine dell'educazione è aiutare a maturare e a chiarire il senso della vita, sia pure attraverso il metodo dell'apprendimento, risulta evidente che la responsabilità educativa appartiene primariamente, nativamente alla famiglia. Essa é il luogo della accensione e della trasmissione della vita e dunque anche il luogo dove si vivono, si apprendono e si tramandano i significati fondamentali dell'esistenza. Inoltre: tale responsabilità appartiene ai corpi intermedi della società, alle confessioni religiose, alle istituzioni culturalmente significative. Lo Stato è chiamato ad assumere un ruolo di delega e di sussidiarietà, cioé è tenuto a colmare le eventuali lacune della famiglia e della società civile; ed è obbligato a favorire con tutti i mezzi l'esercizio della responsabilità educativa in quei soggetti che ne hanno il diritto nativo (famiglia e corpi sociali), non a sostituirsi ad essi. La stessa scuola statale non è la "scuola di Stato": in tal caso lo Stato cessa di essere "laico" e diventa uno Stato "etico". Non si dimentichi che la stessa Carta costituzionale, all'art. 30, afferma: "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli". Dunque, la titolarità dell'educazione e istruzione dei figli appartiene ai genitori, non allo Stato! Eppure l'Italia, con Cuba e poche altre nazioni nel mondo, rimane ottusamente chiusa a uno dei principi basilari delle democrazie più evolute: la libertà di educazione.
Anche lo stesso Giovanni Paolo II ha rimarcato in recenti interventi la "infelice anomalia" del nostro sistema educativo. Lo scorso 20 maggio ebbe a dire ai Vescovi italiani riuniti in assemblea: "Come non provare rammarico e preoccupazione nel costatare che, mentre si cerca di aggiornare e ridisegnare l'assetto complessivo della scuola italiana, non si riesce a trovare la strada per una effettiva parità di tutte le scuole? Non è forse questo il provvedimento più necessario e più significativo per adeguare ai livelli europei il sistema scolastico italiano?" Parole di una solare chiarezza e cariche di rimprovero per l'intera classe politica del nostro Paese, incapace di attuare il resto dell'articolo 33 della nostra Costituzione circa il dovere da parte dello Stato di "assicurare alle scuole non statali piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali".
Voglio aggiungere anche una citazione del cardinal Martini, generalmente considerato uno spirito aperto al dialogo con la modernità e rispettoso del pluralismo culturale. Parlando alle oltre 25 mila persone delle scuole cattoliche della diocesi di Milano (docenti, studenti e genitori) il 20 marzo scorso, l'arcivescovo rilevava: "L'Italia che ha mantenuto il passo con l'euro, non può perderlo ora con la scuola". Aggiungeva: "Non è pensabile che l'Italia sia un Paese europeo solo su alcuni standard, mentre su altri l'allineamento comunitario non funzioni, facendo prevalere, ancora una volta, logiche stataliste molto rigide" . Nel discorso alla Città di Milano in occasione della festa patronale di S. Ambrogio lo scorso anno, il card. Martini affermava: "La scuola costituisce una risorsa primaria della nazione e la sua qualità è specchio della maturità del Paese. E' proprio per questo che la Chiesa riconosce e proclama anche nel campo educativo quel primato della libertà e della coscienza che si esprime con la libertà scolastica e l'autonomia (...), coinvolgendo la responsabilità delle famiglie".
La libertà di scelta educativa comporta quindi il primato educativo della famiglia nella scuola, statale o non statale che sia. Ne va di mezzo il futuro delle giovani generazioni. Ne va di mezzo l'identità stessa della famiglia, continuamente espropriata - insieme ad altri soggetti - delle proprie funzioni educative e quindi svigorita nel suo diritto-dovere di trasmettere ai figli una originale e propria visione di vita e di valori. Ne va di mezzo il modello di società libera: rischia di essere soffocato dall'azione totalizzante di uno Stato che tende a occupare tutti gli spazi e a diventare gestore di tutti i servizi. Ne va di mezzo la persona stessa, resa sempre più incapace di proposte e di progetti autonomi e originali, sempre più governata e pilotata da un potere pubblico che tende a omologare tutti e tutto per conservare e ampliare se stesso.