Il nostro vecchio Papa non cessa di sorprendere. Dopo averci regalato un testo profondo sui rapporti fra la fede e la ragione, ecco ora un altro documento, destinato a lasciare il segno: una Lettera agli artisti. Dopo quasi trentacinque dal Messaggio agli artisti dei Padri conciliari alla fine del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), e dopo oltre trent'anni da un celebre di discorso di Paolo VI agli artisti, Giovanni Paolo II torna a farsi la domanda: la Chiesa ha bisogno dell'arte? e l'arte ha bisogno della Chiesa?
In un mondo crepuscolare come il nostro, il Papa parla dell'arte come apertura al mistero. Si tratta di riflessioni personalissime, nate nel corso della sua vita, con le sue esperienze artistiche, da poeta, drammaturgo e scrittore, egli stesso artista oltre che Papa e Vescovo di Roma, e che vengono offerte "a quanti con appassionata dedizione cercano nuove epifanie della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica".
Non sembri fuori luogo l'accenno a questo documento su un foglio parrocchiale: come se una comunità parrocchiale non potesse aspirare a diventare essa stessa un "luogo di bellezza"; come se le nostre famiglie, le nostre case, le nostre stesse persone non siano chiamate anch'esse ad essere le "cose belle" che Dio va compiendo nel suo atto creatore e redentore. Ci siamo lasciati troppo sedurre, anche noi cristiani, dai discorsi sociologici (necessari per guardare in faccia alla realtà), dalle analisi sui disagi (necessarie, perché non viviamo ancora in Paradiso), dalla organizzazione dei servizi (necessaria, perché anche la comunità cristiana ha bisogno di ordine e di razionalità). Ma forse abbiamo dimenticato il senso del mistero. Abbiamo talmente abbassato il nostro sguardo alle cose di questo mondo, che l'orizzonte del nostro sguardo si è fermato al nostro ombelico, e da lì siamo scesi alle ginocchia e ai piedi, riducendo l'uomo a un'essenza molto abbruttita e noiosa. E siamo implosi. Nella nostra cultura, così affascinata dalla tecnica che tutto omologa e tutto ripete, chi parla ancora di arte, di poesia, di bellezza? L'artista è diventata una figura d'altri tempi. La cultura è ridotta a informazione, quasi a sistemazione computerizzata di notizie. L'educazione è acquiescenza ai modelli dominanti. L'ordinamento legislativo, ormai staccato da ogni prospettiva etica, è semplice ratificazione dei comportamenti in atto. Il lavoro e la professione sono in balia di logiche economicistiche e consumistiche. L'amore è abbandono a qualsivoglia pulsione. Forse che, nel paesaggio desolato di oggi, manchi proprio la bellezza? Non tanto la bellezza estetizzante ed estenuante di tanti effimeri spettacoli di oggi. Quanto la bellezza che deriva dall'opera d'arte: dalla poesia, dalla musica, dalla pittura, dalla letteratura, dall'architettura... Roba d'altri tempi? Lascio la parola al Papa: "Chi averte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica - di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di attore...- avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a a servizio del prossimo e di tutta l'umanità" (n.3). E continua il Papa: "La società ha bisogno di artisti, come ha bisogno di scienziati, di tecnici, di lavoratori, di professionisti, di testimoni della fede, di maestri, di padri e di madri, che garantiscano la crescita della persona e lo sviluppo della comunità attraverso quell'altissima forma di arte che è l'arte educativa".
Sì, gli artisti come educatori, come lo sono il padre e la madre. L'arte come educazione alla vita, al senso di ciò che è bello e di ciò che è buono. Come a dire: senza l'arte, in tutte le sue variegate espressioni, l'uomo è menomato nel suo cammino formativo, nel suo processo di sviluppo e di crescita. Chissà che cosa ne pensano i burocrati della scuola, i professionisti della cultura, i sacerdoti dei mass-media? Forse nel cuore di tanti genitori, di tanti insegnanti, di tanti educatori c'è una grande nostalgia dell'arte autentica, perché i nostri ragazzi - pur sensibili alle cose belle - sono costretti a vivere in un mondo che non solo è brutto, ma che si è autocensurato nella sua aspirazione alla bellezza. La "bruttezza programmata" sembra essere la meta della cultura dominante: perché in questo modo la gente si ripiega su se stessa ed è molto più facilmente dominabile e manipolabile.
Viviamo in un Paese - la nostra Italia - che è stata la patria di tanti artisti, che tutto il mondo ci invidia. Le nostre chiese, i nostri palazzi, i nostri musei sono ricchi di capolavori incalcolabili, ma difficilmente leggibili dalla maggioranza della popolazione. Che cosa ha fatto e che cosa intende fare la scuola italiana per riconsegnare alle "genti italiche" un patrimonio unico al mondo? Quando si parla di riforme scolastiche - come quando si parla di riforme istituzionali e politiche - si ha il coraggio di rivedere i contenuti? O ci si limita a ingegnerie alchimistiche, che richiedono la moltiplicazione dei timbri e delle carte, occultando la "bellezza creativa" dell'arte educativa, l'unica che può riscaldare il cuore e attivare la mente dei nostri studenti, oltre che rimotivare il senso e la passione degli insegnanti?
"La bellezza salverà il mondo" scrisse già Dostoevskij. E conclude il Papa: "La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. E' invito a gustare la vita e a sognare il futuro. Per questo la bellezza delle cose create non può appagare e suscita quell'arcana nostalgia di Dio che un innamorato del bello come Sant'Agostino ha saputo interpretare con accenti ineguagliabili: "Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato"(n. 16).