Da "Ritrovarci": Gesù morente sulla croce vera sconfitta dell'eutanasia (Mar. 1999)
di don Alberto Franzini

Di fronte alla morte di Gesù in croce, alla quale ci riportano ogni anno il tempo liturgico della quaresima e la celebrazione della Pasqua - una morte vissuta come atto di abbandono al Padre e quindi di compimento pieno della propria esistenza ("Tutto è compiuto") - non possiamo non interrogarci sulla stagione culturale che stiamo vivendo: una stagione di "diritti" ad oltranza - diritto al divorzio, diritto all'aborto, diritto del figlio ad ogni costo, diritto alle coppie di fatto - ed ora diritto all'eutanasia. E' una stagione di desideri, che le possibilità di una Tecnica sempre più invadente e prepotente trasformano in bisogni da soddisfare, e quindi anche da riconoscere e da proteggere giuridicamente. Ormai l'attività legislativa ha perso il proprio intrinseco rapporto con l'etica, che ne costituiva la fonte suprema, e sta diventando sempre più acquiescente sanatoria di qualsivoglia comportamento. Non solo l'etica cristiana, non solo l'etica cattolica hanno perso il primato di punto di riferimento nel nostro Paese: ma l'etica tout court, ossia il sistema naturale di valori su cui si fonda ogni autentica convivenza umana in quanto umana. Fra gli ultimi diritti ad essere conclamati c'è appunto quello alla "buona morte". Perché mai - si argomenta - lo Stato dovrebbe intromettersi nella gestione personale della vita? Perché si dovrebbe impedire all'individuo di disporre della propria vita e della propria morte?

La Pontificia Accademia della vita ha incentrato, nell'ultima settimana dello scorso febbraio, i propri lavori sulla Dignità del morente. E il Papa, chiudendo la settimana, ha fatto un appello molto forte per combattere un fenomeno che rappresenta una "grave violazione della legge di Dio". La battaglia contro l'eutanasia e il suicidio assistito - ha affermato Giovanni Paolo II - va combattuta su un duplice fronte. Non solo nei Parlamenti, ma, dato il tempo in viviamo, occorre anche "una mobilitazione di tutte le forze della carità cristiana e della solidarietà umana". Nel discorso del Papa non c'è solo la condanna della "buona morte", ma anche la richiesta di un impegno più convinto contro quella cultura che "emerge pure in altri fenomeni: le morti per fame, per violenza, per la guerra, per mancanza di controllo sul traffico, per scarsa attenzione alle norme di sicurezza sul lavoro".

Contro questa tendenza di morte è tempo di "impegnare la società e le strutture stesse della Chiesa in una degna assistenza al morente". Se la Chiesa "difende la sacralità della vita", non lo fa per obbedire a "forme di assolutizzazione della vita fisica, ma per il rispetto della dignità vera della persona".

Per questo il Papa ribadisce anzitutto che l'eutanasia "è una grave violazione della legge di Dio". Così come il suicidio, comportando il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, "costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte". Purtroppo, denuncia ancora il Papa, queste due forme di pseudo-assistenza ai malati sono favorite dal clima culturale odierno. L'"abbandono del morente, infatti, si sta estendendo nella società sviluppata" per un serie di cause collegate tra loro e riconducibili, in genere, al "contesto ideologico" delle "sempre più frequenti campagne di opinioni miranti all'instaurazione di leggi a favore dell'eutanasia e del suicidio assistito". A livello culturale le società contemporanee sono sempre più in preda al fenomeno del cosiddetto "occultamento della morte". Infatti, organizzate come sono attorno al benessere materiale, annullano l'interrogativo sul senso della vita, che la morte porta con sé, e a volte "ne propongono l'anticipazione indolore". A livello filosofico, poi, fanno "appello all'autonomia assoluta dell'uomo" e alla "autodeterminazione", fino al suicidio, quasi che l'uomo fosse "autore della propria vita". C'è inoltre anche la "dimensione medica e assistenziale" del problema, che si esprime, sottolinea ancora Giovanni Paolo II, "in una tendenza a limitare la cura dei malati gravi, inviati in strutture sanitarie non sempre capaci di fornire un'assistenza personalizzata e umanizzante". La conseguenza è che "la persona ospedalizzata si trova non di rado fuori del contatto con la famiglia ed esposta ad una sorta di invadenza tecnologica che ne umilia la dignità". Infine il papa denuncia anche "l'etica utilitaristica che regola molte società avanzate sulla base di criteri di produttività ed efficienza". Succede in tal modo che i malati gravi e i morenti vengano avvertiti, "alla luce del rapporto costi-benefici, come un peso e una passività".

Il tema dell'eutanasia, come quello dell'aborto e delle coppie di fatto, è il sintomo di un profondo malessere spirituale e di un drammatico disorientamento esistenziale. La vita viene trattata come oggetto, come possesso, come qualcosa di cui l'uomo può disporre a proprio piacimento. Si perde di vista l'identità creaturale - e dunque il rimando liberante e fecondo a un Creatore - dell'esistenza umana. Se ne smarrisce la radice: è un dono che ci vien fatto da Dio. E quindi non si riesce più a percepirne il fine: è un dono che va riconsegnato a Dio, quando giunge a quel compimento che Dio, nei suoi imperscrutabili disegni, certamente più fantasiosi e creativi dei nostri, predispone per ciascuno dei suoi figli. Anche l'albero della vita - alla cui custodia Dio pose i cherubini nel paradiso terrestre - sembra non essere più accostato secondo la logica della gioia, dello stupore e del dono, ma secondo quella della pretesa e del possesso. Dove è annullata e recisa la relazione fondamentale con Dio e con il suo mistero, anche la vita umana subisce un'implosione narcisistica, non solo nell'affermazione di un titanismo di supremazia sugli altri, ma financo nel titanismo tragico di annullamento di se stessi.

In fondo, il diritto all'eutanasia è indizio della grande solitudine in cui si trova l'uomo contemporaneo. La terra, questa nostra terra, diventa così una landa desolata. Tragico epilogo di un cammino di insipienza, da cui solo la forza della Pasqua - di una vita accolta e spesa fino alla fine e consegnata a Dio nel tempo della vendemmia - può liberarci.