E' andata crescendo in questi anni la difesa e la promozione della vita o no? A questa domanda non è facile dare una risposta, perché ci sono dei segnali contraddittori nella nostra cultura. Da una parte, infatti, è cresciuta la deplorazione della guerra, è cresciuta l'indignazione di fronte alla violenza sulle donne e sui bambini, è cresciuta la condanna della pena di morte. Dall'altra le centrali della cultura, dell'informazione e dello spettacolo propinano comportamenti e atteggiamenti che sono in netto contrasto con le affermazioni di difesa e di promozione della vita: la donna continua ad essere presentata nel suo volto spesso più volgare e utilitaristico; i programmi televisivi, e non solo nelle ore notturne (a proposito: le ore notturne sono forse una specie di "zona franca" dal punto di vista etico?), propongono violenze di ogni tipo, compresa la pornografia, che è una delle violenze più sottili e più subdole; i bambini e le bambine continuano ad essere oggetto di un turpe mercato. E ancora: è andata affermandosi nella nostra società una coscienza ecologica che induce un po' di sana diffidenza nei confronti di ogni intervento violento sulla natura e sulla sua intima costituzione. Si direbbe che l'ecologia è stata provvidenziale, perché ha bruscamente ridestato la nostra generazione da quella solenne sbornia che il culto del "progresso" a ogni prezzo aveva regalato ai nostri padri. Ma perché mai - ci possiamo, anzi ci dobbiamo chiedere - la "coscienza ecologica" - così preoccupata dell'aria, dell'acqua, del suolo, della vegetazione, degli animali - non dovrebbe estendere le sue preoccupazioni fino all'uomo? Perché la diffidenza verso la chimica e verso certi sfruttamenti del territorio non dovrebbe affiorare quando è in gioco la vita umana, nel suo sorgere, nel suo svilupparsi, nel suo tramontare? Da una parte assistiamo ad una ondata di indignazione delle associazioni animaliste nei confronti delle violenze sugli animali e sui cuccioli d'animale. Dall'altra non ci si indigna più di fronte a quella guerra che quotidianamente viene combattuta nei nostri ospedali contro il cucciolo umano che sta aspettando di venire al mondo nel grembo materno. "Questa è una guerra - dichiarava qualche tempo fa l'arcivescovo di Bologna, card. Biffi - combattuta non contro un nemico aggressore, ma contro un essere umano inerme e incolpevole; non a difesa della indipendenza del proprio Paese e delle libertà dei popoli, ma a tutela e a vantaggio di un egoismo individualistico che, pur di essere soddisfatto nelle sue pretese, non arretra di fronte a nessuna prevaricazione. E non conosce armistizi questa guerra, dichiarata da quello Stato che, per compito istituzionale, dovrebbe proteggere i più deboli dalle prepotenze dei forti; guerra che di regola non suscita più nessuna protesta da parte dei pacifismi multicolori che tanto spesso movimentano le nostre strade".
Abbiamo celebrato nella prima domenica di febbraio la Giornata per la Vita. E' tempo ormai che sul tema della vita si riapra il dialogo con tutti, al di là delle ideologie e delle convinzioni etiche e religiose di ciascuno: perché il tema della vita non è un tema "confessionale", "cattolico". E' un tema che riguarda la nostra civiltà, il nostro futuro e il futuro dell'umanità, la nostra cultura di persone umane. Il rispetto per la vita è solennemente affermato anche in non poche Dichiarazioni universali. Ma sarebbe ipocrisia delimitarne gli spazi e aprire una casistica, accettando dei "distinguo" di razzistica memoria: ad es. sì alla vita sana, no alla vita gravemente minacciata dalla morte; sì alla razza pura, no alla razza spuria; sì ai bianchi, no ai neri e ai gialli; si alla vita nata, no alla vita concepita...La vita umana ha valore, sempre e in ogni caso.
Mi hanno sempre fatto molta impressione alcune dichiarazioni di Giovanni Paolo II, del lontano 5 aprile 1981, e proprio per il loro carattere profetico, che si invera in questo tramonto di millennio: "Se si concede diritto di cittadinanza all'uccisione dell'uomo, quando è ancora nel seno della madre, allora ci si immette per ciò stesso sulla china di incalcolabili conseguenze di natura morale. Se accettassimo il diritto di togliere il dono della vita all'uomo non ancora nato, riusciremmo poi a difendere il diritto dell'uomo alla vita in ogni altra situazione? Riusciremmo a fermare il processo di distruzione delle coscienze umane?".
Come comunità cristiana, siamo chiamati a ribadire e cantare, in tutti i modi, la ricchezza e la bellezza della vita umana. E quindi - senza mai giudicare le persone, che vanno affidate alla misericordia di Dio e devono sempre meritare la nostra affettuosa vicinanza - non ci dobbiamo stancare di condannare con tutte le nostre forze, insieme agli altri attentati contro la vita umana, anche quello che il Concilio Vaticano II chiama "l'abominevole delitto dell'aborto".
Che nessuna generazione, in un domani più o meno lontano, ci possa accusare di silenzio, di latitanza, di correità, di connivenza con questo che è forse il più drammatico dei delitti, e proprio perché il più vile, in quanto non fa spazio ad alcuna "legittima difesa", e il più invisibile e il più nascosto, tanto da poter essere sbandierato perfino come "diritto della donna". Questa sì che è una bella, ossia tristissima e ingannevole "verità" della nostra pseudocultura. L'aborto come diritto: non lo abbiamo letto in nessun testo sacro delle grandi religioni mondiali, e nemmeno nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, in nessun documento internazionale. E crediamo che l'essere profondo di ogni uomo e di ogni donna, specie se mamma, reagisca salutarmente di fronte al presunto "diritto di uccisione" dell'embrione e del feto nel grembo materno, perché la natura umana, che sussiste sotto le coltri soffocanti di qualunque ideologia, sta sempre dalla parte della vita.
La menzogna, che ogni persona dotata di sana ragione non può non riconoscere come tale, è stata contrabbandata come verità. Non sarà anche per questo che nelle nostre società occidentali c'è in giro tanta tristezza e tanta desolazione e tanto buio interiore? Solo la forza e la luminosità della Verità, già lumeggiata nella regione della intelligenza e della coscienza umana, possono tornare a far splendere questo nostro mondo così crepuscolare.