Ebrei e cristiani, in tutto il mondo, celebrano la festa di Pasqua: che è festa di passaggio, festa di liberazione. Per gli ebrei, passaggio dal regime della schiavitù egiziana alla difficile e impegnativa conquista di una libertà e di una terra su cui poter onorare il Nome di Dio. Per i cristiani, è passaggio dlla morte alla vita, dalla tenebra di questo mondo alla luce che non avrà più tramonto. Al cuore della Pasqua cristiana c'è un Crocifisso: che ha salvato gli altri proprio rinunciando a salvare se stesso. I vangeli ricordano quattro categorie di persone che, come in una tragedia greca, fanno da sfondo allo spettacolo di quel Crocifisso: la folla, la gente comune, incuriosita e attonita; i sommi sacerdoti e gli anziani, ossia i responsabili del culto, della dottrina e della vita amministrativa di Gerusalemme, che in nome di Dio mettono in croce Gesù; i ladroni, i rappresentanti della malavita di allora, crocifissi anch'essi insieme a Gesù; e le donne e i discepoli, che osservano quel dramma da lontano, forse incapaci di sostenerne il peso, forse delusi nelle loro speranze messianiche, forse impauriti di fronte a quel potere politico così sfacciatamente e goffamente forte davanti a un innocente.
Ci troviamo di fronte a un paradosso: da una parte l'amore di un Dio che non ha risparmiato la vita del proprio Figlio per liberare l'umanità dal non senso, dalla morte…., dal peccato; dall'altra un'intera società, accomunata nel non capire che cosa stava veramente avvenendo. Quel paradosso continua anche oggi e continuerà fino alla fine della storia umana. L'uomo non capirà mai fino in fondo quel che è successo sul Golgota di Gerusalemme. Gesù oppone perennemente la potenza disarmata del suo amore alla prepotenza ottusa del mondo e dei suoi rappresentanti.
Quella croce sul Golgota di Gerusalemme rimane il segno più grande e più sconvolgente - Paolo l'apostolo direbbe: più scandaloso - di Dio: da patibolo è diventato l'albero della vita. Da luogo di morte è diventato luogo di risurrezione. Quella croce è il luogo dove morte e vita si incontrano , in un duello destinato a durare per tutti i giorni della storia umana. E' il luogo dove la sofferenza di Dio - sì, perchà i cristiani non credono a un Dio impassibile - diventa amore sconfinato per questo nostro mondo, per ogni uomo e per ogni donna che vi abita. E' il luogo dove il dolore di Dio guarisce, assumendoli, i dolori del mondo. E' il luogo dove la morte stessa di Dio nella persona del Figlio vince, entrandovi, la nostra morte.
Quel Crocifisso ha voluto condividere in tutto la nostra umanità.E' nato come un figlio della nostra terra. Sio è messo in fila con i peccatori al Giordano per ricevere, lui, l'innocente e il giusto, il battesimo di penitenza. Si è seduto a mensa con i peccatori, scandalizzando i benpensanti del tempo. Ed è morto nella compagnia dei malfattori e dei briganti. Nessuno di noi, per quanto sia nel dolore o nella miseria anche morale, può sentirsi respinto o estraneo davanti a quel Figlio dell'uomo. Quel Crocifisso indica anche il luogo e la strada dove ogni persona apprende la verità sulla vita e sulla morte, sulla gioia e sul dolore, sulla fedeltà e sull'amore. Davanti a quella croce sappiamo chi veramente siamo, a quali esiti di amore e a quali traguardi di alto umanesimo siamo chiamati. In un tempo e in una cultura che paiono sbandierare, ogni giorno, una concezione del'esistenza umana sempre più percorsa dall'avvitamento su di sà, sempre più attratta dal fascino del narcisismo, personale e di gruppo, sempre più tentata dall'arroganza, la croce di Gerusalemme ci offre l'uomo come Dio da sempre l'ha pensato: un uomo capace di amore, di passione, di condivisione, di gratuità. Ma soprattutto quella croce ci ha squarciato per sempre il cuore di Dio.