Da "Ritrovarci": Senza gioia, ma che cristiani siamo? (Feb. 1998)
di don Alberto Franzini

E' ancora una senzazione, ma che, dopo quattro mesi di servizio pastorale mi rinasce spesso nel cuore e nella mente. E che non posso non comunicare ai fratelli e alle sorelle di questa nostra comunità di Santo Stefano: la senzazione che in noi cristiani sia abbastanza difficile riscontrare i segni della gioia. Intendo la gioia vera, quella che proviene dal dono ricevuto da Dio, il dono dello Spirito che è stato effuso nei nostri cuori; quella che proviene dall'essere membri di una comunità che, per grazia di Dio, è il Corpo storico del Signore risorto, la Chiesa; quella che proviene dall'essere innestati in una storia che parte da molto lontano e che è storia di salvezza, dunque storia di gioia, di splendore, di pienezza di senso, nonostante tutto. E mi sono domandato: perché noi cristiani siamo così spesso tristi, angosciati, infelici? Perché sembriamo "come coloro che non hanno speranza"? Perché siamo così spesso "rassegnati"? Il Vangelo non porta forse in testa il significato di "buona e gioiosa notizia"?

E mi sono ricordato di un documento di Paolo VI, del 1975, che mi aveva fortemente impressionato: "Gaudete in Domino", "Rallegratevi nel Signore". Papa Montini, che aveva la fama di essere un uomo e un credente angosciato e non lo era affatto, scriveva: "Non è forse normale che la gioia abiti in noi allorché i nostri cuori ne contemplano o ne riscoprono, nella fede, i motivi fondamentali? Sì, sarebbe molto strano se questa Buona Novella, che suscita l'alleluia della Chiesa, non ci desse un aspetto di salvati". E quali testimoni esemplari della fede Paolo VI ci proponeva tre campioni di sorprendente attualità, tornati alla ribalta anche durante il pontificato dell'attuale Papa: Francesco d'Assisi, Teresa di Lisieux, Massimiliano Kolbe.

Certo, la gioia cristiana non è una semplice ed effimera emozione, che riposa su stati d'animo passeggeri. Né la gioia cristiana è rimozione delle difficoltà, del peso del vivere, della "croce". Non è utopia che chiude gli occhi di fronte alle tribolazioni che contrassegnano inevitabilmente i passi del camminare umano. Non è cecità di fronte alle ingiustizie e alle povertà che affliggono tanta parte dell'umanità. La gioia cristiana è, piuttosto, accoglienza di un dono. Scaturisce dalla presa d'atto di essere amati da Dio: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv 4,10). E' consapevolezza che, qualunque cosa ci rimproveri il nostro cuore, "Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (1 Gv 3,20).

La gioia cristiana, accogliendo il primato dell'azione misericordiosa e salvifica di Dio nella nostra vita, è anche invito a "gustare semplicemente - è ancora papa Paolo VI che scrive - le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle; non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capece di gioie naturali".

Questa è la sapienza cristiana! E' una sapienza che deriva da lontano: dalla decisione di Dio di diventare uomo. Gesù è venuto, perché noi abbiamo la vita, e l'abbiamo in pienezza.

Il tempo quaresimale è alle porte. Il rito austero delle ceneri ci riporta alla serietà del nostro cammino cristiano e all'impegno dell'autentica conversione, che è cambiamento profondo della nostra vita, dovuto al fatto che Dio ci ha visitato: un cambiamento che va dal dolore alla gioia, dalla tenebra alla luce, dal peccato alla grazia.

Viviamola questa gioia! Senza questa gioia, che cristiani siamo? E come annunceremmo agli altri una gioiosa notizia, se abbiamo il cuore e il volto triste?