DON ALBERTO FRANZINI
IL SANTO CURATO DARS
E LA CURA DELLE ANIME
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2009
66
Il prossimo 4 agosto 2009 ricorre il 150.mo anniversario della morte di Giovanni
Maria Vianney, curato di Ars. Papa Benedetto XVI, per loccasione, ha
indetto un anno sacerdotale, durante il quale proclamerà San Giovanni
Maria Vianney patrono di tutti i sacerdoti.
Nato l8 maggio 1786 a Dardilly, vicino a Lyon, in una famiglia di agricoltori,
Giovanni-Maria Vianney ebbe uninfanzia segnata dal fervore e dallamore
dei suoi genitori. La Rivoluzione francese influenzerà ben presto,
tuttavia, la sua fanciullezza e adolescenza : farà la prima confessione
ai piedi del grande orologio, nella sala comune della sua casa natale e non
nella chiesa del villaggio, e ad impartire lassoluzione sarà
un prete « clandestino ».
Due anni più tardi arriverà il momento della prima comunione,
questa volta in un granaio, durante una Messa clandestina, celebrata da un
prete « refrattario » (che non aveva giurato fedeltà alla
Rivoluzione, ma si era conservato fedele alla Chiesa e al Papa). A 17 anni
Giovanni-Maria decide di rispondere alla chiamata di Dio: « Vorrei guadagnare
delle anime al Buon Dio », confiderà alla madre, Maria Béluze.
Ma per due anni suo padre si oppone a questo progetto : cè bisogno
di braccia per mandare avanti il lavoro dei campi.
Così è a 20 anni che Giovanni-Maria comincia a prepararsi al
sacerdozio, presso l'abbé Balley, parroco d'Écully. Le difficoltà
che incontra contribuiscono a farlo crescere: passa dallo scoraggiamento alla
speranza, si reca in pellegrinaggio a la Louvesc, sulla tomba di san Francesco
Régis. È anche obbligato a disertare quando gli giunge la chiamata
alle armi, per combattere nella guerra di Spagna. E tuttavia labbé
Balley non manca costantemente di sostenerlo in tutti quegli anni di prove.
Ordinato prete nel 1815, viene inviato come vicario ad Écully.
Nel 1818 viene mandato ad Ars. Là risveglia la fede dei parrocchiani
con la sua predicazione, ma soprattutto attraverso la preghiera e il suo stile
di vita. Si sente povero di fronte alla missione da compiere, ma si lascia
afferrare dalla misericordia di Dio. Restaura ed abbellisce la chiesa, fonda
un orfanotrofio (La Provvidenza) e si prende cura dei più
poveri.
Molto presto la sua fama di confessore attira da lui numerosi pellegrini che
cercano il perdono di Dio e la pace del cuore. Assalito da molte prove e combattimenti
spirituali, conserva il suo cuore ben radicato nellamore di Dio e dei
fratelli. La sua unica preoccupazione è la salvezza delle anime. Le
sue lezioni di catechismo e le sue omelie parlano soprattutto della bontà
e della misericordia di Dio. Sacerdote che si consuma damore davanti
al Santissimo Sacramento, si dona interamente a Dio, ai suoi parrocchiani
e ai pellegrini. Muore il 4 agosto 1859, dopo essersi votato fino in fondo
allAmore. La sua povertà era sincera e reale. Sapeva che un giorno
sarebbe morto come prigioniero del confessionale. Per tre volte
aveva tentato di fuggire dalla sua parrocchia, ritenendosi indegno della missione
di parroco e pensando di essere più un impedimento alla Bontà
di Dio che uno strumento del suo Amore. Lultima volta fu meno di sei
anni prima della morte. Fu ripreso nel mezzo della notte dai suoi parrocchiani
che avevano fatto suonare le campane a martello. Ritornò allora alla
sua chiesa e riprese a confessare, fin dalluna del mattino. Dirà
il giorno dopo: sono stato un bambino. Alle sue esequie cerano
più di mille persone e tra esse il vescovo e tutti i preti della diocesi,
venuti ad onorare colui che consideravano già il loro modello.
Beatificato l8 gennaio 1905, nello stesso anno viene dichiarato patrono
dei preti francesi. canonizzato nel 1925 da Pio XI, nel 1929 sarà
proclamato patrono di tutti i parroci del mondo. Il papa Giovanni
Paolo II si è recato ad Ars nel 1986.
Oggi Ars accoglie ogni anno 450.000 pellegrini e il Santuario propone diverse
attività. Nel 1986 è stato aperto un seminario, che forma i
futuri preti alla scuola di Giovanni-Maria Vianney. Perché là
dove passano i santi, Dio passa assieme a loro!
Abbiamo avuto la gioia, insieme a un gruppo di parrocchiani, di celebrare
leucaristia proprio sulla tomba del santo curato ad Ars, il 18 aprile
di questanno. Offro queste mie riflessioni ai fedeli della mia parrocchia
di Santo Stefano in Casalmaggiore: nella speranza che, non vedendo nel loro
attuale parroco brillare la santità del curato dArs, siano essi
stessi per primi oggi che i laici cristiani sono stati riabilitati
dal Concilio Vaticano II esempi di vita santa per i loro preti e comunque
si ricordino di pregare per i loro fratelli sacerdoti e chiedano ai loro preti
non solo il pane della terra (divertimenti, gite, sport, soggiorni estivi,
settimane bianche, incontri conviviali, sale per i compleanni, certificati
di buona condotta
: tutte cose belle, intendiamoci), ma anche il Pane
del cielo, ossia di conoscere sempre più la persona e linsegnamento
di Gesù, vivo nel suo Corpo che è la Chiesa, per poterLo testimoniare
con gioia nellavventura della vita umana, nellattesa di vivere
in pienezza la comunione con Lui in Paradiso.
Don Alberto Franzini
Ars, 18 aprile 2009
Introduzione
La salus animarum è da sempre non soltanto il principio
ispiratore dellintero ordinamento canonico della Chiesa, ma il fine
stesso della evangelizzazione e della cura pastorale della Chiesa. Conseguentemente,
la cura animarum rimane una delle attività fondamentali
attorno alla quale ruota la complessa e variegata vita ecclesiale, nella molteplicità
delle sue istituzioni e delle sue strutture. E fuor di dubbio che, sotto
a questo aspetto, la parrocchia rappresenta tuttora, sia pure nella novità
della stagione ecclesiale in cui viviamo caratterizzata dal diffondersi
di molteplici forme aggregative, che in certo modo sono la continuazione delle
confraternite, dei terzordini e dei diversi sodalizi del passato
la cellula fondamentale della vita della Chiesa: sia per il suo
radicamento territoriale, che ne fa lultima localizzazione della
Chiesa e, in un certo senso, la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case
dei suoi figli e delle sue figlie (GIOVANNI PAOLO II, Christifideles
laici, n. 26); sia per la sua qualità teologica, in quanto la parrocchia
è dotata di tutti quegli strumenti che ne fanno una vera comunità
di fede (il ministero ordinato del presbitero che rappresenta il vescovo
la celebrazione dei sacramenti, la catechesi e la formazione permanente
dei cristiani, la testimonianza della carità); sia per la sua apertura
missionaria, che ne fa una casa aperta a tutti coloro che vivono sullo stesso
territorio, posta al servizio di tutti, come la fontana del villaggio,
secondo una celebre espressione di Papa Giovanni XXIII, a cui tutti si rivolgono
quando hanno sete.
E su questa premessa che può essere interessante riflettere su
una figura che, pur appartenendo al passato, parla ancora a noi, nelloggi
della nostra storia e delle nostre mutate condizioni culturali, sociali ed
ecclesiali: Giovanni Maria Vianney, il santo Curato dArs (1786-1859),
una figura daltri tempi, ma che diventa profetica e provocatoria nellora
presente.
Si può dire, senza essere smentiti, che il ministero pastorale è
stata lunica preoccupazione del Curato di Ars: anche quando ne era spaventato,
anche quando non se se sentiva degno, anche quando aveva maturato propositi
di fuga da Ars, il curato Vianney si è totalmente identificato con
il suo essere pastore del gregge che la Chiesa gli aveva affidato, si è
identificato, insomma, con la sua vocazione. Vediamo alcuni tratti essenziali
della sua vita, che parlano ancora a noi, preti di oggi.
1. La gioiosa fatica
Risulta sempre impressionante rileggere la vita del Curato dArs. Fin
dai suoi primi anni, si può dire che lintera sua esistenza è
stata contrassegnata dalle difficoltà più diverse. A partire
dalle sue umili origini, che gli hanno consegnato una vita povera, semplice,
dura e laboriosa. La vita di famiglia, dove il lavoro dei campi era il pane
quotidiano, è stata il suo primo e vero seminario, che ha educato il
suo temperamento a vivere le difficoltà senza esserne travolto. La
sua vocazione al sacerdozio, tra laltro, nasce in un contesto culturale
e storico dove lodio contro la religione, scatenato dalla Rivoluzione
francese, fu legalizzato con la Costituzione civile del clero(luglio
1790) e poi con la destituzione, da parte dello Stato, dei preti refrattari,
ossia di coloro che si rifiutavano di fare giuramento di fedeltà allo
Stato per rimanere fedeli alla Chiesa. Il piccolo Giovanni Maria non poteva
dimenticare le messe notturne che si celebravano di nascosto in qualche casolare
sperduto del suo paese natale dai preti rimasti fedeli al Papa. Lui stesso
dovette ricevere la prima comunione in segreto. Per non parlare delle sue
difficoltà intellettuali. Fece gli anni della scuola e, in seguito,
del seminario, a strappi, tra continui fallimenti e umiliazioni, umiliazioni
che durarono lungo il corso di tutta la sua vita, anche ad opera dei suoi
confratelli, che lo accusavano di impreparazione e di ignoranza nelle discipline
teologiche. Nei primi anni ad Ars sperimentò anche la solitudine e
linattività: e per lui, portato allazione, la mancanza
di attività gli procurò, insieme allo scoraggiamento e allangoscia
di non essere allaltezza del ministero, quello che lui chiamò
la prova della disperazione. Tanto da desiderare, da chiedere,
da meditare e da tentare la fuga da Ars. Se aggiungiamo anche le invidie,
le gelosie, le penitenze volontarie che lo portarono alla estenuazione anche
fisica, gli interventi diabolici che lo hanno spesso disturbato, allora possiamo
concludere che ha portato sulle sue spalle prove tra le più dure. Eppure,
affermano i biografi, questo prete ha saputo affrontare le tribolazioni del
suo ministero non solo con una densa vita interiore fatta di preghiera costante
e di fiducia in Dio, ma addirittura sapeva cogliere con facilità
il lato umoristico di una situazione. Giovanni Maria era portato alla gioia,
allo humor. Aveva la battuta pronta. Alcune delle sue uscite sono rimaste
celebri. Esse rivelano un uomo cordiale, allegro, sempre attento però
a non urtare la suscettibilità, quando prendeva maliziosamente in giro
qualche suo penitente o confratello (G.ROSSE, a cura di, Importunate
il buon Dio, Città Nuova, 2008,p. 20). Il che significa che le prove
della vita non gli hanno mai tolto quellequilibrio umano e quella salute
mentale, che ne fanno una personalità matura.
La cura delle anime comincia dalla cura di se stessi,
anzi dallaccettazione di se stessi, anche delle proprie manchevolezze
e delle proprie debolezze, dallaccettazione della propria storia personale,
familiare, sociale, ecclesiale. La nostra vocazione di presbiteri è
intrinsecamente intrecciata, in nome del principio dellincarnazione
che regge lintero Cristianesimo, con la realtà anche dura delle
nostre condizioni personali e storiche, che dobbiamo imparare ad accogliere,
a vivere e ad integrare nel nostro ministero e nella nostra storia umana,
senza rapidi sconti, senza sbrigative rimozioni, senza facili rese, a cui
più difficilmente il contesto culturale contemporaneo riesce ad opporre
la necessaria attrezzatura difensiva e propulsiva. Con le difficoltà
dobbiamo fare i conti ogni giorno, se vogliamo portare a maturazione la nostra
personalità: difficoltà che ci vengono da noi stessi, dal nostro
temperamento, dalla nostra salute, dai nostri piccoli o grandi tradimenti
(è successo perfino allapostolo Pietro di tradire il Signore
);
difficoltà che ci vengono dalla solitudine, dalla nostra affettività
sempre esigente, dallo scoraggiamento, dalla stanchezza, dalle incomprensioni
degli altri, dei nostri confratelli, dei nostri stessi superiori; difficoltà
che riguardano la fede, la speranza, lamore; difficoltà che ci
provengono dal nostro ruolo, dagli affanni continui a cui siamo sollecitati
anche dalle situazioni più disparate dei nostri fedeli; difficoltà
che sono il frutto dei nostri tempi di secolarizzazione, di indifferenza e
di pluralismo religioso, di complessità di tematiche culturali ed etiche
che mettono in crisi o al margine il pensiero e linsegnamento della
Chiesa, che ci potrebbero apparire talvolta inadeguati o eccessivamente rigidi,
non in linea con il clima di dialogo e di bon ton che dovrebbero caratterizzare
la presenza dei cristiani nella società odierna. La lista delle difficoltà
sembra non avere termine. La cura delle anime esige la nostra
capacità di saper reggere alle tante tensioni e alle tante prove, da
trasformare sullesempio del Curato dArs e di tanti altri
santi da ostacolo che rischia il nostro affossamento umano e ministeriale
in un itinerario di purificazione e in una risorsa di maturazione: tanto da
poter vivere nel buon umore, nonostante tutto. Valga per tutti lesperienza
dellapostolo Paolo: Mi vanterò ben volentieri delle mie
debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò
mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità,
nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole,
è allora che sono forte (2 Cor 12, 9b-10).
2. Una vita di preghiera
Se il Curato dArs ha saputo, con equilibrio, affrontare tutte le drammatiche
prove della sua vita, è perché ha fatto ruotare tutta la sua
azione ministeriale attorno alleucaristia, al tabernacolo, alla chiesa.
In un suo sermone ebbe a dire: La preghiera è per la nostra anima
ciò che la pioggia è per la terra. Concimate una terra quanto
volete, se manca la pioggia, tutto ciò che farete non servirà
a nulla. Così, fate opere buone quanto volete, se non pregate spesso
e come si deve, non sarete mai salvati; perché la preghiera apre gli
occhi della nostra anima, le fa sentire la grandezza della sua miseria, la
necessità di fare ricorso a Dio; le fa temere la sua debolezza
(G. ROSSE, op.cit. , p. 87). In un corso di esercizi spirituali sul
Curato dArs, il card. Ballestrero annota: Questuomo, per
non sbagliarsi non usciva nemmeno di chiesa: era la chiesa il domicilio del
suo ministero e del suo pregare. Era sempre là giorno e notte. Era
spettacoloso questuomo che armonizzava il suo ministero e la preghiera,
riducendo tutto il resto della vita a brevi parentesi quasi insignificanti
(ANASTASIO BALLESTRERO, Alla scuola del Curato dArs, Piemme 1995,p.
41).
Tocchiamo qui un punto fondamentale dellesser preti. La vita odierna,
con i suoi ritmi incalzanti ma anche con le sue ore spesso vuote perché
banalmente riempite, non favorisce una autentica vita di preghiera. Il presbitero
oggi è spesso ributtato in una pastorale dellaffanno, sedotto
anche dalle nuove condizioni sociali di giovani disagiati, di coniugi in crisi
matrimoniale, di adulti in cerca di lavoro, di migranti che chiedono casa
e pane. La stessa Chiesa oggi viene richiesta soprattutto per supportare i
mali sociali del nostro tempo, rischiando così di perdere il senso
della sua presenza nel mondo. Come ebbe a dire il card. Biffi in una intervista:
Il Figlio di Dio non si è incarnato per fondare la Croce Rossa
Internazionale con due mila anni di anticipo. Si è incarnato per insegnarci
e per darci un nuovo modo di essere uomini. E perciò lazione
della Chiesa non può limitarsi a fare il pronto soccorso di tutti i
guai del mondo. Pur senza dimenticare che se un mio fratello è in qualche
difficoltà io sono tenuto, in forza della mia fede, a trattarlo da
fratello e ad aiutarlo, non può essere questa lottica primaria,
altrimenti si riduce la Chiesa soltanto a unazione di solidarietà
(GIACOMO BIFFI, Ripartire dalla verità, Mondadori 1997, p. 34). Questo
non toglie valore ai tanti preti e laici cristiani che sono diventati santi
ai crocicchi delle strade, anche con il sacrificio della propria vita, nellesercizio
eroico della carità. Ma la carità cristiana si nutre di preghiera
e di fede. Può invece capitare anche a noi preti di smarrire per strada
non solo labitudine della preghiera, ma la preghiera stessa. Può
capitare di continuare a celebrare messe, di leggere il breviario, di presiedere
liturgie della Parola, di predicare e di catechizzare, di battezzare e di
confessare, ma di rifuggire dalla preghiera personale, silenziosa, adorante.
Soprattutto verso i quaranta-cinquantanni, può succedere anche
a noi preti di percepire un senso di inutilità e di sterilità
nellesercizio del nostro ministero. E la crisi dellaccidia,
uno dei peccati capitali, che blocca il nostro spirito in uno stato di torpore
e di pigrizia, per cui tutti gli sforzi di ascesi e di miglioramento spirituale
appaiono infruttuosi e dunque inutili. Il tempo riservato alla preghiera può
essere percepito come tempo perso, come tempo sterile, quasi come un tempo
di morte. E talvolta si reagisce a questa crisi del pregare e del credere
alienandosi nelliperattivismo e nella nevrosi pastorale, moltiplicando
il lavoro e buttandosi nelle tante iniziative che contrassegnano la vita delle
nostre parrocchie e che in qualche modo potrebbero essere prese a giustificazione
della nostra diserzione dalla preghiera e dalla vita spirituale, soprattutto
quando le iniziative pastorali hanno successo. Ma non sempre i successi pastorali
coincidono con i successi evangelici. Cè una pagina del card.
Ratzinger che colpisce sempre ogni volta che la si legge:
Il sacerdote deve essere un uomo che conosce Gesù nellintimo,
che lo ha incontrato e ha imparato ad amarlo. Perciò deve essere soprattutto
un uomo di preghiera, un uomo veramente religioso. Senza una robusta
base spirituale non può resistere a lungo nel suo ministero. Da Cristo
deve anche imparare che nella sua vita ciò che conta non è lautorealizzazione
e non è il successo. Al contrario deve imparare che il suo scopo non
è quello di costruirsi unesistenza interessante o una vita comoda,
né di crearsi una comunità di ammiratori o di sostenitori, ma
che si tratta propriamente di agire in favore dellaltro. Sulle prime
ciò contrasta con il naturale baricentro della nostra esistenza, ma
col tempo diventa palese che proprio questa perdita di rilevanza del proprio
io è il fattore veramente liberante. Chi opera per Cristo sa che è
sempre uno a seminare e un altro a raccogliere. Non ha bisogno di interrogarsi
continuamente: affida al Signore ogni risultato e fa serenamente il suo dovere,
libero e lieto di sentirsi al sicuro nel tutto. Se oggi i sacerdoti tante
volte si sentono ipertesi, stanchi e frustrati, ciò è dovuto
a una ricerca esasperata del rendimento. La fede diviene un pesante fardello
che si trascina a fatica, mentre dovrebbe essere unala da cui farsi
portare (La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Paoline 1991,
pp. 91-92).
3. Il ministero del confessionale
Come è noto, S. Giovanni Maria Vianney passò gran parte della
sua vita di parroco nel confessionale. I biografi ci documentano che negli
ultimi anni il Curato dArs rimaneva nel confessionale in media 17 ore
al giorno e che negli ultimi anni della sua vita passavano da lui da ottantamila
a centomila penitenti allanno, tanto che fu necessario istituire un
servizio giornaliero di trasporti da Lione ad Ars e i biglietti di andata
e ritorno erano stati eccezionalmente resi validi per 8 giorni, perché
era noto che per confessarsi ad Ars occorreva una settimana di attesa. Era
la sua fama di santità che attirava i peccatori. Il santo Curato non
poteva sopportare il peccato. In modo particolare denunciò con forza
la cattiva abitudine di bestemmiare, così come lottò per chiudere
le bettole e per frenare la passione del ballo. La bettola diceva
il Curato dArs è la bottega del diavolo, la scuola in
cui linferno propone e insegna la sua dottrina, il luogo in cui si vendono
le anime, dove le famiglie si distruggono, dove la salute si altera, dove
iniziano i litigi e dove si commettono gli assassini (cit. in ANTONIO
MARIA SICARI, Ritratti di santi, Jaca Book 2001, p. 422). Un altro fronte
che lo vide impegnato fu la lotta contro il lavoro festivo e per la difesa
della domenica. Insomma, il Curato dArs fece della lotta al male e al
peccato una delle ragioni fondamentali del suo ministero, così come
gli appariva chiaro da Cristo stesso, che lottò, a partire dalle tentazioni
nel deserto, contro Satana e contro ogni peccato. E uno dei modi per condurre
a vittoria questa lotta era il sacramento della penitenza, lamministrazione
della misericordia di Dio verso luomo peccatore e disposto a convertirsi.
Nella nostra situazione culturale costatiamo il forte affievolimento della
pratica della confessione, conseguenza di un affievolimento del senso del
male e del peccato, e soprattutto del senso di Dio. Il prete stesso oggi sta
perdendo la pratica ministeriale del confessionale e forse anche la pratica
personale della confessione, perché come si diceva preferisce
buttarsi in una operosità anche buona, ma carica di affanni sociologici
e lontana dalla conversione evangelica. Il card. Ballestrero, nella citata
predicazione degli esercizi spirituali sul Curato dArs, poneva una domanda
formidabile: Si dice che il sacramento della penitenza è in crisi,
ma è in crisi perché coloro che debbono essere perdonati non
se ne danno pensiero o è in crisi perché i ministri non vivono
più la passione e la morte del Signore che perdona? (op. cit,
pp. 46-47). Il curato Vianney partecipava interiormente alla redenzione del
peccato, anche imponendo a se stesso quelle soddisfazioni vicarie che non
gli riusciva di far compiere ai peccatori, perché troppo impegnative.
Oggi abbiamo perso il senso della drammaticità del peccato che
forse nel Santo Curato dArs poteva anche creare scrupoli eccessivi,
anche a causa del rigore giansenistico del suo tempo e quindi abbiamo
appannato anche la grandezza, la bellezza e il mistero della misericordia
di Dio, di cui ha comunque bisogno luomo di oggi, come luomo di
sempre. Siamo chiamati a diventare sempre più ministri del perdono
e della misericordia di Dio, in una società che rischia di diventare
sempre più povera di valori spirituali, e soprattutto sempre più
orfana di Dio e della sua Parola di luce e di speranza. Nelle nostre comunità
parrocchiali tornano attuali e anche provocatorie le domande che Giovanni
Paolo II rivolgeva nella cripta ad Ars ai sacerdoti il 6 ottobre 1986. Parlando
del ministero infaticabile del confessionale del Santo Curato, il Papa si
domandava: Accordiamo noi la stessa importanza al sacramento della riconciliazione?
Siamo pronti a dedicarvi del tempo? Formiamo abbastanza i fedeli a desiderarlo,
a prepararsi ad esso? Cerchiamo a sufficienza i mezzi pratici nelle nostre
città e nei nostri paesi per offrire loro concretamente la sua possibilità?
Cerchiamo di rinnovare le celebrazioni del sacramento, in conformità
ai suggerimenti della Chiesa (confronto col Vangelo, preparazione comunitaria
periodicamente assicurata
), senza cessare mai di tener presente il passo
personale della confessione, perlomeno dei peccati gravi? Cerchiamo di far
capire che si tratta, in questultimo caso, di una condizione per partecipare
allEucaristia e anche per celebrare degnamente il sacramento del matrimonio?
Apprezziamo noi loccasione meravigliosa che è così offerta
di formare le coscienze e di guidare le anime verso un progresso spirituale?.
Questultima domanda di Giovanni Paolo II ci ripresenta una dimensione
essenziale della cura danime, oggi troppo trascurata: il
colloquio personale, il dialogo a tu per tu, la direzione spirituale. Sono
molte oggi le persone che si sentono trascurate, abbandonate, non considerate.
Il pastore danime ha davanti a sé un campo immenso, che nessuno
oggi si sogna di coltivare. E il campo della coscienza, dellorientamento,
dellamicizia spirituale, in cui soltanto si può riscoprire tutta
la fecondità del Vangelo, che viene incontro alla solitudine e al disorientamento
esistenziale delle persone.
4. La molteplice attività educativa.
Il Curato dArs non è soltanto luomo della preghiera e dei
sacramenti. La sua pastorale ha, in certo modo, anche anticipato
i nostri tempi e precisamente in due campi: quello della catechesi e quello
delleducazione dei giovani.
Giovanni Maria Vianney non era un teologo o un biblista, aveva risorse culturali
povere, ma è impressionante la sua fedeltà alla catechesi al
popolo. Preparava con scrupolo le sue catechesi, scrivendo tutti i suoi sermoni,
che spesso copiava dagli autori dei suoi tempi. Ad Ars si può ancora
vedere la sua libreria: ci sono più di 400 volumi nella biblioteca
di un parroco, considerato quasi analfabeta! I suoi biografi mettono in risalto
che la sua gente, quando usciva di chiesa, esclamava: Nessun sacerdote
ci ha mai parlato di Dio come il nostro Curato. Lo stesso suo Vescovo
così si espresse: Si dice che il Curato dArs non sia istruito,
io non so se sia vero, però so di sicuro che lo Spirito Santo si incarica
di illuminarlo (cit. in ANTONIO MARIA SICARI, op. cit. p. 421). P. Lacordaire,
al culmine della sua fama oratoria, quando fece visita ad Ars nel 1845, scrisse:
Il buon curato dArs ha predicato come un buon parroco deve fare;
sarebbe da augurarsi che tutti i parroci di campagna predicassero bene come
lui (G. ROSSE, op. cit. p.47).
Provocati dalla sua determinazione e dal suo impegno catechetico, oggi ci
troviamo di fronte a situazioni inedite che hanno bisogno di una rinnovata
evangelizzazione per illuminare ogni angolo della vita. Ci troviamo di fronte
a temi e a problemi che richiedono una ripresa di responsabilità anche
culturale. Noi preti oggi siamo chiamati, più di ieri, a trovare tempo
ed energie per lo studio, per la riflessione, per la predicazione, come raccomandano
il decreto conciliare Presbyterorum ordinis al n. 19 e tanti altri documenti
postconciliari, fra cui lesortazione apostolica Pastores dabo vobis
del 1992 (soprattutto il cap. VI riguardante la formazione permanente dei
presbiteri). Il popolo cristiano e non solo! esige oggi da noi
preti non tanto una professionalità accademica, che può essere
di pochi, ma certamente una serietà, una capacità di lettura
del nostro tempo e unattrezzatura anche culturale che fanno parte della
nostra cura pastorale, che è anche pastorale dellintelligenza
e del retto uso della ragione (come ci insegna continuamente Benedetto XVI)
e cura del patrimonio della nostra fede, da trasmettere in modo denso attraverso
la continua immersione nelle fonti della tradizione cristiana (Scrittura,
Tradizione e documenti del Magistero).
Il Curato dArs e forse non ce lo aspetteremmo da un Santo così
particolare, legato soprattutto alla chiesa e al confessionale si è
vivamente preoccupato anche delleducazione dei giovani, fondando una
scuola femminile e un orfanotrofio, La Providence, a cui il Curato
rimase molto legato fino alla morte. Fondò una scuola anche per i ragazzi,
che affidò ai frati della Sacra Famiglia. Si tratta di opere per il
cui mantenimento egli cercò instancabilmente e insistentemente la risorse
necessarie, anche vendendo i beni di famiglia. In questo modo, Giovanni Maria
Vianney si iscrive in quella lunga schiera di educatori che hanno contrassegnato
lopera della Chiesa in tutti i tempi e in tutti i luoghi del mondo.
Sempre la Chiesa ha insistito sul suo diritto-dovere di educare. Lo ha ribadito
con la Dichiarazione conciliare Gravissimum Educationis. Lo ha riaffermato
solennemente e vigorosamente ogniqualvolta tale suo diritto-dovere è
stato messo in discussione o è stato ostacolato, come ad esempio durante
il fascismo, quando Pio XI denunciò la statalizzazione della educazione
dei giovani nellenciclica Non abbiamo bisogno del 1931. Anche i Papi
più recenti, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI hanno a più
riprese parlato dellemergenza educativa che caratterizza
il nostro tempo e hanno impegnato le nostre comunità cristiane a non
restringere il campo dazione ai soli servizi religiosi,
ma a riappassionarsi allimpegno educativo, chiamato oggi a far fronte
soprattutto a quella mentalità diffusa, secondo cui non esistono più
punti di riferimento che possano illuminare le nostre scelte. Papa Benedetto
XVI, nella Lettera alla diocesi di Roma del 21 gennaio 2008, a proposito dellemergenza
educativa, scriveva di una atmosfera oggi diffusa e di una forma di cultura
che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato
stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà
della vita. Il nichilismo che pervade la mentalità odierna priva
la società di oggi, soprattutto i giovani, proprio di quel buonumore,
di quella gioia di vivere, di quella robustezza di carattere, di quella speranza
che sono alla base e al vertice di ogni sana formazione.
Anche in questo settore abbiamo bisogno di riscoprire, nelle forme oggi possibili
e con gli strumenti adeguati allodierna situazione sociale e culturale,
la passione educativa del Curato dArs, che poi è stata la passione
educativa di don Bosco, di don Milani e di tanti altri. E di tradurla nelle
nostre realtà parrocchiali e nei nostri gruppi cristiani. Di questo
abbiamo bisogno oggi: di far riemergere tutta la fecondità educativa
del Vangelo, tutta la potenzialità formativa dellesperienza cristiana,
testimoniata in 20 secoli di cristianesimo; e di tornare ad aver stima della
nostra storia cristiana, nonostante debolezze ed errori di tanti discepoli
di Gesù; tornare ad aver stima anche della Chiesa cui apparteniamo
e che è anzitutto la Chiesa di Dio, prima che la nostra
Chiesa. Come ebbe a scrivere lallora prof. Ratzinger, in una conferenza
del lontano 1970: Accanto alla storia della Chiesa degli scandali, cè
anche quella della forza liberatrice della fede, che si è mantenuta
feconda nei secoli in personaggi meravigliosi come Agostino, Francesco dAssisi,
il domenicano Las Casas con la sua appassionata battaglia per gli indios,
Vincenzo de Paoli, Giovanni XXIII (JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO
XVI, Perché siamo ancora nella Chiesa, Rizzoli 2005, p. 158).
Fra questi personaggi meravigliosi è da collocare anche il Santo Curato
dArs e tutti quei sacerdoti che, con umile fedeltà a Cristo e
alla Chiesa, hanno lavorato e stanno lavorando nella vigna del Signore.