LORENZA VIOLINI


Perché difendere
e promuovere la famiglia
fondata sul matrimonio


Parrocchia Santo Stefano
Casalmaggiore 2008
64



Il presente Fascicolo pubblica la relazione che la prof.a Lorenza Violini, ordinario di Diritto Pubblico presso l’Università Statale di Milano, ha tenuto presso l’Istituto di santa Chiara a Casalmaggiore il 9 febbraio 2007. L’incontro è stato promosso dall’Associazione Famiglia di Santo Stefano, insieme alla nostra parrocchia.
E’ noto l’interesse che cerchiamo di tener vivo, nella nostra comunità cristiana e nella nostra società civile, attorno al tema del matrimonio e della famiglia. Tale interesse non discende dalla strenua difesa o imposizione della “visione cattolica” del matrimonio e della famiglia: sono altre le strade e altri gli obiettivi che devono stare a cuore ai fedeli cattolici per la testimonianza del sacramento del matrimonio. Piuttosto, tale interesse è strettamente legato alla nostra coscienza di cittadini, in dialogo con tutti gli altri cittadini italiani e risponde alla domanda: il matrimonio e la famiglia sono un bene per la società? Può esistere una società che non tuteli a sufficienza la realtà della famiglia? O metta sullo stesso piano la famiglia fondata sul matrimonio con altre eventuali forme di unioni di fatto? La Costituzione italiana, che parla esplicitamente della famiglia agli articoli 29-30-31, non ha proprio nulla da dire al proposito?
La relazione della prof.a Lorenza Violini, non rivista dall’autrice, ci aiuta non poco a dare risposta a tali fondamentali interrogativi.

Don Alberto Franzini

Casalmaggiore, 31 gennaio 2008
Memoria liturgica di San Giovanni Bosco

Vorrei essenzialmente partire da un dato ordinamentale molto spesso citato. la Costituzione: la Costituzione come luogo dove sono enunciati i principi e i valori fondanti della nostra convivenza. Tutti ormai, la destra, la sinistra, si richiamano alla Costituzione per trovare in essa un punto di aggregazione che consenta al di là delle diverse sensibilità di fondare un terreno comune su cui dialogare.
Riprendo quello che la Costituzione dice della famiglia. La famiglia ha un posto rilevante: infatti sta all’articolo 29. Si parla presto della famiglia, subito dopo l’enunciazione dei diritti fondamentali. Quindi la famiglia si pone subito a ridosso di quelle esposizioni giuridiche che la Costituzione ha pensato come centrali: la libertà personale, la libertà di opinione, il principio di eguaglianza, la democrazia. A ridosso di queste diritti fondamentali compare la famiglia, un’entità nuova. Lo Statuto Albertino non la conosceva, nessuna costituzione ottocentesca si occupava della famiglia. Il nostro costituente pone subito un elemento collettivo a fianco della dimensione individuale perché sa, per esperienza, quanto l’individualismo liberale sia stato insufficiente a garantire la democrazia. Infatti, l’individualismo liberale dell’ottocento (Statuto Albertino, Codice Napoleonico, Codice Civile) non era stato un sufficiente argine al dilagare delle dittature. Le dittature avevano innervato se stesse sul piano culturale di un’idea di collettivismo come unione di gruppi di cooperazione tra persone e avevano innervato se stesse contro la libertà perché è un’esigenza inestirpabile dell’uomo essere assieme a qualcuno: ma, mal gestita e mal interpretata, questa esigenza ineliminabile aveva portato alla dittatura. Il nostro costituente ha ben chiaro questo e per questo dà un grandissimo spazio all’idea del collettivo. Per l’ordinamento non c’è solo il diritto individuale: l’individuo di fronte al potere diventa fragile e ha bisogno di appoggiarsi a gruppi, a realtà sociali che lo costituiscono come autenticamente libero altrimenti potrebbe facilmente essere preda del potere . Non a caso l’articolo 2, che è appunto per la sua collocazione ben in vista, parla non solo di diritti dei singoli ma di diritti delle formazioni sociali. La prima formazione che viene evocata dalla Costituzione è proprio la famiglia. La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Viene usato il verbo “riconosce”, lo stesso che è usato nell’art. 2, dove la Repubblica riconosce e garantisce i diritti. L’ordinamento, nella sua espressione più alta, sa che c’è qualcosa prima di esso: non è l’ordinamento a fondare i diritto e a fondare la società; c’è prima qualcos’altro che va riconosciuto. Sia quando parla dell’individuo sia quando parla della famiglia usa questo verbo ( “riconosce”), che tutti i costituzionalisti rilevano essere un verbo profondamente innovativo: è l’ordinamento che riconosce, che guarda ad altro per definire qual è il contenuto del proprio compito di regolamentazione.
Inoltre l’idea che la famiglia è una società naturale, è un’idea molto interessante: nessuno ha ancora pensato di abrogare questo, ma non solo è una società naturale in cui i coniugi hanno pari dignità morale. Ancora una volta non siamo di fronte a un qualcosa che il diritto crea, ma siamo di fronte a una realtà a cui il diritto guarda per capire come strutturare sé stesso. Quindi è una partenza molto imponente. I nostri primi colleghi dicevano: “la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire come il mare lambisce le coste dell’isola”, l’ordinamento non può regolamentare la famiglia, perché essa viene prima; l’ordinamento può solo guardare, può caso mai sostenere, favorire, tutelare. Un’altra riflessione sempre dettata da quello che è scritto - non voglio in nessun modo esasperare la Costituzione - è riferita al fatto che questa famiglia naturale è fondata sull’eguaglianza morale, prima che giuridica, dei coniugi. Quest’uguaglianza morale è a garanzia dell’unità familiare, è un’eguaglianza morale che non si sottrae al limite, che è insita nell’idea stessa di famiglia perché esiste l’esigenza più grande del diritto e cioè di garantire l’unità familiare. Questo vi sembrerà strano, ma io quando rileggo questo articolo dico che culturalmente noi siamo figli di questi padri costituenti, forse noi li abbiamo un poco scordati, oggi sembra tutto l’opposto di questa tensione ideale così profonda del dato normativo riguardante la famiglia. Tutto quello che viene esposto in questo primo articolo viene poi compreso meglio negli articoli successivi. Questa particolare importanza non è a caso, infatti la famiglia ha un preciso dovere nell’immagine costituzionale; non ha primariamente dei diritti. L’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi non teme il limite imposto dalla sede dell’unità familiare, non lo teme perché la famiglia ha una funzione. Il legislatore stesso lo dice. Oggi siamo orientati a pensare che la funzione della famiglia sia primariamente quella procreativa, ma il costituente ha chiaro che il compito primario è quello educativo. La famiglia ha il dovere prima, poi anche il diritto, di “mantenere, istruire ed educare i figli “ anche se nati fuori del matrimonio. Si riafferma di nuovo un dovere naturale; infatti il Codice Civile non aveva questa attenzione a riconoscere che ci sono dei doveri anche verso i figli che nascono da relazioni non contrattuali. Precedentemente se i figli nascevano fuori del matrimonio non erano riconosciuti, i figli non avevano alcun diritto. La Costituzione, avendo quest’idea ben più alta della famiglia, sa che il dovere non deriva direttamente dal contratto. Il dovere deriva dal comportamento che è fonte di dovere: quindi se ci sono stati figli nati al di fuori del matrimonio a loro si estendono i diritti, ma soprattutto i doveri di chi questa situazione ha posto in essere.
È riconosciuta una centralità dell’educazione: anche questo dato viene spesso dimenticato, soprattutto perché è stato dimenticato il momento storico in cui questo dovere è stato ribadito. Molti anni prima lo stato non aveva certo negato il diritto dei genitori a procreare, anzi l’aveva anche favorito, ma, con grandissima opposizione della Chiesa, si era arrogato il diritto di educare: lo Stato etico-dittatoriale si pone sempre come fattore educativo portatore di valori a cui la società civile deve ottemperare. È per questo che il legislatore del ’48 dà uno statuto alla famiglia, ma soprattutto dice che è un luogo di educazione. Educazione intesa non come una forma di condizionamento ai nostri valori di riferimento, ma è l’educazione alla libertà. Si dice infatti che il compito educativo è in funzione dell’espressione della cultura liberale che viene riaffermata dopo la pausa della dittatura fascista. Quindi l’educazione come fattore di libertà per l’individuo e questo compito si pensa non debba venir esercitato dallo Stato, ma dalla famiglia. In questi articoli si dice anche che esso ha il compito di sostenere la famiglia: solo nel caso di incapacità dei genitori, e solo in questo caso, è lo Stato a sostituirsi. Questo principio, inoltre, è sempre stato visto come l’affermazione ante-litteram del principio di sussidiarietà, che è diventato oggi uno dei principi più interessanti, tra l’altro di tradizione cattolica, del nostro ordinamento.
Ora proviamo a confrontarci con questa idea data dalla Costituzione: non dice più niente alla nostra mentalità, alla nostra sensibilità? Confrontiamoci essenzialmente non come un dato normativo, ma come un richiamo ideale perché tutta la Costituzione è imperniata da questo grande valore.

Un secondo aspetto che vorrei sottolineare è come da questo impeto è nato poi un lavoro per dare un’attuazione alla Costituzione. Sempre l’ordinamento si muove in questo modo: dice un valore e poi si muove per far si che la vita quotidiana sia conforme a questo valore. Abbiamo tutta una giurisprudenza costituzionale che si è mossa per far si che, ad esempio, questa uguaglianza morale e giuridica dei coniugi trovasse riscontro nella normativa ordinaria. In fondo invece sappiamo tutti che il Codice Civile aveva un’impostazione molto più elitaria e molto più autoritaria rispetto al contratto familiare. Nel tempo si è forse un po’ persa questa spinta ideale e si è guardato di più a due grandi tendenze:
il principio di uguaglianza, inteso sempre più come principio di non discriminazione;
un’idea di libertà e di diritti di libertà che cominciano ad estendersi molto spesso a scapito dei doveri. Faccio notare che l’espansione dei diritti finisce sempre per comprimere i diritti altrui.

Dal punto di vista dell’uguaglianza la Corte Costituzionale sicuramente ha fatto molto e cose molto giuste: ha parificato la situazione del marito e della moglie, ha parlato di patria potestà dei genitori…Ma ha fatto anche un’altra operazione che vorrei fosse guardata per la sua positività e non per la sua tendenza libertaria: cioè ha parificato la famiglia di fatto alla famiglia giuridicamente costituita. Vi prego di considerare questa mia affermazione per quello che veramente è stato per la giurisprudenza costituzionale e per quella ordinaria non in chiave libertaria ma in chiave liberistica. Si è parificata la famiglia di fatto con quella giuridicamente costituita per ribadire che il mero fatto del rapporto privato ha una serie imponente di conseguenze di tipo doveristico. Oggi ci parlano sempre della famiglia di fatto come se fosse un’estensione del diritto, pensando di poter fare ciò che voglio. In realtà, nella giurisprudenza l’ottica è completamente opposta: anche se non si vuole codificare e giuridicizzare un rapporto e lo si vuole tenere sul piano dei fatti, questo non esime dai doveri nei confronti del coniuge di fatto o nei confronti dei figli di fatto.
Quindi andiamoci piano quando ci lasciamo un po’ prendere da questa tendenza generale per cui non importa se si sia sposati o non sposati. Infatti l’ordinamento riconosce la famiglia di fatto perché vuole riaffermare un’idea istituzionale di famiglia. Nel momento in cui si instaura un rapporto di tipo affettivo, esso diventa un elemento importante perché fonda una serie di doveri rispetto al coniuge e ai figli. Lo prevede l’ordinamento: infatti se viene meno il coniuge di fatto l’ordinamento si fa carico di mantenere il superstite. Non si è voluto giuridicizzare cioè formalizzare il rapporto, non si capisce bene il motivo (queste scelte scendono nella sfera privata) ma l’ordinamento non si disinteressa del nostro rapporto, anzi vuole che gli stessi diritti e gli stessi doveri che sono presenti nel matrimonio legittimo siano estesi alle unioni di fatto.
Di fatto o di diritto la famiglia per il nostro ordinamento è un’istituzione. Su questo punto io sono molto ferma, perché l’idea che la famiglia sia un’istituzione o meglio un istituto, è una cosa che non viene più detta. L’idea della famiglia è ridotta o a una dimensione privatistica o ad una dimensione affettiva: non ci si rende conto dell’importanza della dimensione istituzionale della famiglia. La famiglia è la condizione necessaria perché si possano esplicare al suo interno i diritti di libertà dei singoli. E da un’istituzione che ha delle caratteristiche naturali, inevitabilmente naturali, deriva che ogni istituto giuridico ha delle sue caratteristiche che l’ordinamento mutua dalla realtà dei fatti, dalla realtà della natura; l’ordinamento non può “determinarle o inventarle”. Basti pensare alla questione dell’esogamia: noi ancora istintivamente ci opponiamo all’idea che la famiglia non sia esogamica, cioè non sia un legame fra soggetti appartenenti a famiglie diverse. Questo è talmente insito nella nostra cultura da essere insito e scontato quando pensiamo alla famiglia. Oltre all’esogamia, gli istituzionalisti della famiglia ci ricordano che le altre caratteristiche del dato naturale sono: la monogamia e l’eterosessualità. Ripensando solo al dato che oggi è più scontato e cioè l’esogamia, dovrebbe venirci scontato ritenere che se solo tocchiamo uno solo di questi dati svalutiamo l’istituzione matrimoniale, cioè non ci sono le condizioni per fare famiglia. L’istituto familiare ha le sue condizioni che sono pregiuridiche e che sono, a mio parere ma anche a parere di insigni antropologi, sociologi, psicologi: esogamia, monogamia ed eterosessualità. Vogliamo toglierne uno, va bene, ma perché uno e non l’altro?

Vorrei che metteste a fuoco un altro dato riguardo alla famiglia: la stabilità.
La famiglia ha un compito educativo e soprattutto un compito libertario, che si può esplicare in una situazione di stabilità. Questo giustifica il trattamento di favore che l’ordinamento riserva o dovrebbe riservare alla famiglia. La stabilità come condizione necessaria per poter svolgere il proprio compito è un dato vero anche per le coppie di fatto. Quando la Corte Costituzionale amplia nella logica del principio di uguaglianza i diritti e doveri dei coniugi e dei figli sia che provengano dal matrimonio che da un’unione di fatto, esige sempre che questo istituto abbia una certa caratteristica di stabilità. Anzi, la Corte Europea, che sicuramente non ha certo un influsso molto cattolico, quando deve individuare se un certo rapporto può definirsi familiare, va a vedere dei dettagli che a noi possono sembrare un po’ strani (quanto tempo sono stati insieme, lei non è andata a lavorare per accudire i figli, lei preparava il pranzo a lui, lui portava a casa i soldi….sono cose scritte nella giurisprudenza). Solo riconoscendo alcune caratteristiche naturali allora riconosce che era una convivenza che può definirsi famiglia.
Possiamo sicuramente, come veniva detto bene nell’introduzione, estendere i diritti a delle simil-famiglie con mille provvedimenti, ma dobbiamo stare attenti alle conseguenze. Voglio capire come si farà a ragionare sui riconoscimenti familiari, se noi riconosciamo tutto a tutti. Voglio capire come si farà a parlare di struttura ereditaria o di struttura previdenziale ampliandola senza discernimento.
Quindi la famiglia è un’istituzione che ha delle sue caratteristiche e che ha questa sua stabilità intrinseca. La Corte Costituzionale nelle sue sentenze va a vedere se almeno c’è stata un po’ di stabilità, ma poi non si ferma. Infatti nella sentenza 310 del 1989, senza timore di venir meno al grande principio di non discriminazione, afferma che comunque la famiglia legittima, essendo dotata di stabilità superiore alla famiglia di fatto, ha una priorità. Oltre al fatto che nella famiglia legittima esisterebbero ”…una più precisa reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio”.
Quindi questo è il dato da cui partiamo per riflettere su quanto oggi si propugna come una necessità quasi ineluttabile, di ampliare questo istituto ad altre forme di convivenza determinate dall’affetto cui si affianca il venir meno della caratteristica dell’eterosessualità. Torno a dire che la famiglia è un istituto che ha una sua struttura, una concretezza e una sua durata e delle sue caratteristiche. Estenderle ad altre forme necessariamente avrà delle fortissime ripercussioni sulla società che noi andiamo ad ipotizzare.
Dobbiamo ricordare che la Costituzione aveva un grande afflato doveristico. Cito “ la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi con particolare riferimento alle famiglie numerose”. Lo so che fa sorridere, ma vi garantisco che è l’articolo 31.
Ho ripreso questo articolo per dimostrare che si può partire in modo egregio, in sede di diritto costituzionale e si possono sviluppare cose buone, ma il trend della nostra cultura - che ormai è dominante - è l’onnipotenza dei diritti e la naturale trasformazione dei desideri in diritti. Questo trend ha anche delle conseguenze sociologiche, non solo come modelli educativi, ma anche come identificazione dei doveri dello stato.
Il fatto che le famiglie numerose vadano agevolate e favorite è perchè hanno un indubbio valore, e parallelamente la crescita della cultura dei desideri ha generato uno svilimento di questo aspetto doveristico dello stato nei confronti della famiglia.
Sappiamo tutti che il sistema fiscale italiano non ha nessuna attenzione alla realtà della famiglia. Anche i comuni non riservano nessun riguardo ai numero dei componenti; gli assegni familiari sono diventati qualcosa di irrisorio, quasi una presa in giro… Da questo punto di vista ci stiamo pesantemente ponendo in fondo alla classifica dei Paesi occidentali, che, se non altro per paura della morte demografica, sono consapevoli dell’importanza di sostenere la famiglia. In Germania per esempio la Corte Costituzionale, riconoscendo l’importanza della questione educativa e della famiglia, ha stabilito che vengano dedotti dall’imponibile IRPEF 500 Euro al mese per ogni figlio. Questa operazione è stata portata avanti parlando espressamente della famiglia come precondizione necessaria alla democrazia, in quanto essa contribuisce al pluralismo nella società.

Ed ora veniamo al tema vero e proprio di questa sera: perché difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio.
L’Illuminismo ci ha lasciato in eredità un’idea di libertà come condizione a cui può aspirare un uomo adulto, sano e in grado di autodeterminarsi. In verità, come affermano le femministe americane, l’uomo vive in autonomia una parte sempre più piccola della sua vita, e un’idea così esasperata di libertà trova sempre meno riscontro nella realtà effettiva. E allora il fondamento della dignità umana è l’autodeterminazione? Il fondamento della democrazia è la libertà di fare ciò che si vuole? La dignità umana è indipendente dalle condizioni in cui ci si trova, e dobbiamo riconoscere che essa ci viene data da Dio. L’uomo nasce con una dignità e libero nei diritti, ma occorre che all’interno della struttura sociale qualcuno lo sostenga e lo faccia crescere verso una libertà sempre più grande.

DOMANDE

Come costituzionalista vede possibile nella nostra realtà costituzionale, certo con una sorta di vulnus, la eventuale legalizzazione delle unioni di fatto, oppure c’è il solito sistema all’italiana di aggiustare ciò che è aggiustabile e aggiustare anche ciò che non lo è?

Prof. Violini

Faccio una piccola premessa. La giurisprudenza ha detto che non importano le scelte personali che ognuno esercita nella piena libertà, ma non ti puoi sottrarre ai tuoi doveri. Dobbiamo essere realisti. Si vuole legalizzare la famiglia di fatto e allora i casi sono due: la famiglia di fatto sussiste perché non si vuole legalizzare o perché non si può legalizzare ( il questione dell’omosessualità è un altro caso). Siccome ci dicono che questa questione dei PACS o dei Di.Co. serve a legalizzare le unioni di fatto, e questo è falso, mi sembra improbabile perché o uno non vuole o uno non può legalizzarsi. A quale scopo uno dovrebbe mandare una lettera al comune per segnalare la propria unione visto che non intende sposarsi? forse per sottrarsi ai doveri? ma questo abbiamo visto che la giurisprudenza non glielo lascia fare. Potrebbe anche esserci un’ opposizione estrema di contrarietà di tipo ideologico, come quella anarchica. Essa è una posizione dal punto di vista ideale coerente. Infatti l’anarchico non vuole sottomettersi ad alcuna imposizione dello stato, quindi in questo caso neanche ai Di.Co.
Quindi mi pare ovvio che la questione sia quella dell’omosessualità: si vuole dare uno status ad una realtà che, sia chiaro, fa parte del privato e nessun giurista si può permettere di giudicare che sia positivo o negativo: fa parte della privacy (articolo 8 della Costituzione). Infatti l’ordinamento sa benissimo che si entra in un terreno molto difficile da provare. Un esempio è costituito dalle leggi americane contro la sodomia in vigore alcuni anni fa: esse si sono rilevate inapplicabili perché di fatto entravano nella privacy della famiglia.
L’omosessualità è un fatto privato. Nella misura in cui si vuole che questo fatto privato assuma una veste pubblica, bisogna chiarire quale è il valore in nome del quale noi vogliamo dare veste pubblica ad un fatto privato.
Qual è il valore pubblico che affermiamo dell’unione omosessuale? Una simpatia, il desiderio,…?
Alla famiglia si riconoscono dei diritti e dei doveri, molto imponenti dal punto di vista sociale; crescere, istruire, educare i figli è un impegno gravoso e la famiglia ha uno status particolare perché ha dei doveri.
Stabilire se c’è violazione del principio di uguaglianza è molto complicato e difficile. Infatti la Corte Costituzionale emette su questo tema circa 300 sentenze delle 500 annuali. È molto difficile stabilire ciò che è uguale e ciò che è diverso. Ad esempio la Corte Costituzionale ha addirittura permesso che ad un fatto uguale venisse attribuito un peso diverso: è il classico esempio dell’adulterio femminile trattato in modo diverso da quello maschile degli anni 70. La Corte in un primo momento ha detto che era giusto trattare in modo diverso l’uomo dalla donna, questo perché doveva tutelare un bene a cui questa differenza di trattamento serviva: la tutela dell’integrità familiare e l’idea che la donna era la custode di questa unità familiare. Il principio di uguaglianza è sempre riferito ad un bene che si vuole tutelare. Faccio un altro esempio: nessuno afferma che si sta venendo meno al principio di uguaglianza se stabilisco che i secondini nelle carceri maschili possono essere solo uomini, nessuno al mondo mi viene a dire che questa è una discriminazione.
L’idea di una uguaglianza che prescinde dalla ragione è quanto di più anti-ordinamentale esista. Significa introdurre l’arbitrio più totale e l’irrealismo più totale.
Stiamo facendo questa operazione, per cui i casi sono due:
vogliamo affermare, senza capire a che cosa sia funzionale, una concezione esasperata dell’uguaglianza.
vogliamo surrettiziamente asserire che il matrimonio è un qualcosa di diverso da quello che sta scritto in Costituzione.

Per questa seconda ipotesi bisognerà vedere come ragionerà la Corte. Ci sono moltissimi argomenti per richiamarsi all’incostituzionalità. Un insigne costituzionalista, non sospetto di cattolicesimo, afferma che la Costituzione del ’29 secondo cui la Repubblica riconosce la famiglia naturale fondata sul matrimonio garantisce l’immodificabilità di questo articolo, ex art. 139. Questo articolo dice appunto, che la forma democratica non può essere oggetto di revisione costituzionale: non solo che non può essere violata dalla legge, ma che non può neppure essere cambiata da una modifica costituzionale. Questa sarà una tesi estrema ma sicuramente con un grande valore. È considerato un tema etico che precede la Costituzione. La Costituzione ha una dimensione etica impressionante. Pensiamo ad espressioni come: dovere di fedeltà alla Repubblica, dovere tributario, dovere di contribuire alla spese pubbliche, dovere dello Stato di sostenere i vari soggetti. Questa idea di dovere è stata completamente dimenticata dalla ventata di liberismo degli anni settanta. Oggi è un problema enorme argomentare in tema di doveri. Pensiamo allo Stato che può imporre qualsiasi tipo di dovere anche fiscale. Non c’è forse un eccesso di dovere? È sempre solo eccesso di potere e il senso di dovere non c’è mai? Questa è la conseguenza di una visione unilaterale dell’ordinamento che enfatizza un aspetto e non il suo parallelo.
DOMANDA
Oggi mi sono letto il testo, apparso sui giornali, dei Di.Co. Mi sembra che si sia raggiunto un punto di mediazione anche sopportabile. Credo ancora che in Italia la stragrande maggioranza vive in una famiglia “normale”, e che si guarda ad altro senza guardare alle vere esigenze delle famiglie. Credo che ci sia una grande responsabilità politica sia a destra che a sinistra e che tutto sia sbilanciato sul diritto dell’individuo. Le priorità della politica dovrebbero essere altre e dovrebbero guardare a come raggiungere degli obiettivi. Ci dovrebbe esser una coesione dei cattolici dei due schieramenti.


MODERATORE (Don Alberto Franzini)
Pongo una domanda: l’espansione del fenomeno delle coppie di fatto non è anche da attribuire alla politica che in questi anni ha ostacolato e indebolito agli occhi dei giovani il valore della famiglia ? Forse se l’impegno politico, culturale e legislativo che è stato messo in campo per la questione delle coppie di fatto, fosse stato impiegato per tutelare, proteggere, incrementare la famiglia, probabilmente il fenomeno sarebbe ulteriormente diminuito. I giovani sarebbero stati messi in grado non di essere tentati di fare un matrimonio di serie B. E’ molto interessante quanto ha esposto la professoressa rispetto alle unioni di fatto, riguardo ai doveri.

Prof. Violini
Volevo fare una piccola precisazione. Non credo che i cattolici si stiano dividendo su queste questioni. Io sono molto colpita dall’insistenza della Chiesa. In fondo come giurista avrei potuto dire che sono leggi fatte da molti paesi e poi comunque il fenomeno è limitato. Ma credo che il punto interessante sia sull’idea di uomo. Quale modelli stiamo dando? Siamo in una logica di consumismo, di affermazione quasi esclusiva di valori materiali e tutto ciò rischia di sfasciare la società. Accogliere il richiamo dei Vescovi significa interrogarsi sull’uomo e opporsi a un modello che distrugge la società. Credo che non ci sia una divisone dei cattolici, ma ci sia un richiamo forte alla testimonianza umile ma energica ai valori fondamentali che sono umani prima che politici.
Non replico al suo intervento che condivido nella quasi totalità.

DOMANDA
Si sente dire che questa legge è necessaria perché queste realtà sono già esistenti. Io chiedo: la legge deve sempre riconoscere ciò che c’è o deve riconoscere un valore, si rifà ad una verità rispetto all’uomo oppure no ? inoltre io sono in difficoltà rispetto ai miei figli quando si devono esprimere giudizi: come faccio in presenza di una legge a dire che questa è sbagliata? La legge deve avere un valore educativo?

Prof. Violini
Dire che la legge serve a codificare l’esistente è quanto di più contrario alla natura della legge possa esistere. L’obiezione riportata all’epoca della legge 40 (procreazione assistita) rispetto a cui non si poteva legiferare in quanto intorno alla questione non c’era consenso, è sbagliata. La legge è chiamata a dare giudizi su temi per i quali non c’è consenso e di conseguenza la legge deve affermare un valore. Il gruppo sociale che fa la legge ha chiaro che legiferando orienta la società verso valori che naturalmente la società non seguirebbe. Infatti per quale motivo esiste un sistema di sicurezza, esiste un diritto penale…? Questa affermazione rasenta l’irrazionalità, è drammatico che la televisione possa dare informazioni così contro natura.
È scontato che è compito insito nelle leggi stessi dettare dei comportamenti. La legge è sempre dettata da un valore che si vuole tutelare e alcune volte il valore chiede il sacrificio del limite.

DOMANDA
Leggendo la proposta dei Di.Co. mi sembra che oltre ad esser un grande affare per gli avvocati, si lascino scoperte, volutamente numerose questioni che poi in altra sede dovranno per forza essere affrontate. Ho l’impressione che questo sia un modo per poi precludere ad altro. Inoltre vorrei sapere: il diritto, cioè la legge da che cosa viene ispirata? Nasce da un giudizio che sottende un valore, oppure è un piegare la norma a ciò che c’è ?


Prof. Violini
Le sue affermazioni sono assolutamente condivisibili. Con i Di.Co. siamo di fronte ad un istituto, non è una codificazione di diritti individuali. È stato tolto il fatto folcloristico della cerimonia, per il resto è una dichiarazione di volontà che produce effetti giuridici oltre la volontà dei contraenti. Dopo la dichiarazione giuridica discendono tutta una serie di conseguenze di carattere istituzionale: la malattie, il permesso di soggiorno, assegnazione degli alloggi, trattamenti pensionistici…
È sicuramente un istituto che, senza dirlo esplicitamente, introduce un istituto alternativo alla famiglia e quindi svilisce il valore della famiglia. Il soggetto esprime la volontà di contrarre questa relazione, ma è lo Stato che ne fissa i contenuti che sono determinati dalla tutela di un valore. Sempre la norma ha un contenuto valoriale che qualcuno ha stabilito e che ha oggettivato nella norma.
Esiste sempre un rapporto sostanziale fra norma e valore. La norma non è mai neutra, proprio perché esercita una forzatura sulla società e quindi lo deve fare in nome di un valore. Questo è sintomo di “sanità “ dell’ordinamento; infatti una norma che non funziona al momento dell’applicazione è un disastro. Ad esempio: la legge francese sul velo e i simboli religiosi, al momento dell’applicazione diventa un problema enorme perché è impossibile dimostrare il valore interiore che la persona ha quando indossa quel simbolo.
Occorre con urgenza fare una politica familiare seria, altrimenti non solo avremo un involuzione demografica, ma culturale rispetto alle altre culture e religioni. Le altre culture e religioni hanno un’idea di famiglia profondamente sana e istituzionale. Il senso che la famiglia determina un’appartenenza che è capace di incidenza sul soggetto è sicuramente una buona idea; dovremo fare in modo che questa incidenza non arrivi alle esasperazioni. Ad esempio ci sono film sulla famiglia mussulmana molto interessanti; la famiglia vista come luogo della protezione, della realizzazione, c’è un senso di legame inter-generazionale molto forte. Sono elementi che noi abbiamo perso in nome di un mal celato senso della libertà.