Don Alberto Franzini


IL SIGNORE GESU’
LA LUCE CHE VINCE LE TENEBRE

Omelie del tempo natalizio


Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2007
62

 


Il tempo natalizio è, in ogni parrocchia, un tempo di particolare intensità religiosa e di variegata ricchezza liturgica. Le feste che si susseguono, con ritmo incalzante, suggeriscono una riflessione a tutto campo sull’esistenza cristiana, chiamata nell’attuale stagione sociale e culturale a rendere ragione davanti al mondo della propria fede e della propria speranza. Il cristianesimo non è una bella fiaba, e neppure un bel sogno: è un avvenimento che ha preso una forma concreta nel nostro mondo, in un particolare momento storico e in un preciso luogo geografico.
Questo avvenimento non si è sbiadito con lo scorrere degli anni e dei secoli, ma si è arricchito di tutti quegli apporti e di tutte quelle testimonianze che le varie stagioni della storia hanno concorso a porre in essere. E così quel Bambino di Betlemme continua a parlare anche nel nostro tempo, per le generazioni dell’oggi e del domani.
Le omelie, nelle nostre parrocchie, sono un tentativo di mantenere viva e di attualizzare la presenza di Gesù nel nostro tempo, per la gente di oggi.
Ai parrocchiani che me ne hanno fatto richiesta offro finalmente il testo delle omelie del tempo natalizio, pronunciate nelle messe che vanno dalla notte di Natale del 2006 alla solennità dell’Epifania del 2007 nel nostro Duomo di Santo Stefano e nella chiesa di San Francesco.

Casalmaggiore, 20 agosto 2007
Memoria liturgica di San Bernardo

Don Alberto Franzini


Natale Messa della notte

“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse” (Is 9,1). La parola “luce” pervade tutta la liturgia di questa Santa Notte. La ritroviamo anche nella seconda lettura, tolta dalla lettera di San Paolo a Tito: “E’ apparsa la grazia di Dio” (2,11): l’apparizione è l’irruzione della luce di Dio nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Anche il vangelo ci racconta che ai pastori di Betlemme apparve la gloria di Dio “che li avvolse di luce” (Lc 2,9). Sì, “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” ci dice san Giovanni (1Gv 1,5). Luce significa soprattutto conoscenza, significa verità, in contrasto col buio della menzogna e dell’ignoranza. Abbiamo tutti bisogno di luce, di senso, di verità, di libertà, di gioia. Il nostro cuore è spesso ottenebrato da tante delusioni. A chi affidarci? Di chi fidarci, nella molteplicità e nella dispersione delle tante voci, dei tanti messaggi, spesso contraddittori, che ci piovono addosso da tutte le parti? Quale pulpito ci dona la verità? Quale maestro ci insegna il bene autentico? Dove sono, oggi, i testimoni che ci educano alla passione e alla gioia di vivere? Chi mai, oggi, ci dona il coraggio di scegliere le giuste strade? la forza di rimanere fedeli ai nostri impegni familiari e alle nostre responsabilità professionali? la lucidità di ascoltare la voce della coscienza, nella quale risuona la voce stessa di Dio?
E’ ancora e solo Lui, il Signore Gesù, la luce che vince le tenebre. La sua nascita ha avvolto di luce i pastori di Betlemme. E la luce di una stella ha condotto i magi dell’oriente all’incontro con il Bambino Gesù.
Quella luce di Betlemme non si è più spenta. Lungo tutti questi secoli quella luce ha raggiunto tanti uomini e tante donne, e ha cambiato tante cose nel nostro mondo. Dove la luce di quel Bambino è stata accolta, lì è fiorita anche la carità, la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa verso i deboli e i sofferenti, la forza del perdono; insomma la conversione della vita, la stima e il rispetto sommo verso la vita. Dove è stata accolta quella luce, è generata anche tutta una civiltà, una concezione della vita che si è riflessa anche nell’arte, nei monasteri e nelle cattedrali, nella letteratura e perfino nel diritto.
Questa luce, che viene dal presepio, arriva fino a noi, oggi. Ma noi che ne facciamo di questa luce? La apprezziamo? La stimiamo? Ne facciamo la ragione della nostra vita? La poniamo come lucerna sulla nostra strada – come la stella che ha guidato i Magi – perché illumini i nostri passi e riscaldi i nostri cuori? L’umanità del nostro tempo accoglie il Salvatore? Il nostro mondo occidentale corre sempre di più il rischio di dilapidare, frettolosamente, un patrimonio che ha formato intere generazioni, per abbracciare un pensiero e una prassi di vita che fa leva soltanto sui desideri dell’individuo anziché sulla legge morale, sui diritti anziché anche sui doveri, sulle opinioni anziché sulla verità, sugli interessi di parte anziché su valori non negoziabili. Qualche giorno fa Papa Benedetto all’udienza generale ebbe a dire: “Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui. Vivono come se non esistesse, e, peggio, come se fosse un ostacolo da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità…Falsi profeti continuano a proporre una salvezza a basso prezzo, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. La storia degli ultimi 50 anni dimostra questa ricerca di un salvatore a basso prezzo ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale” (20 dicembre 2006).
Ecco: siamo invitati a diffondere la verità del Natale, non le sue contraffazioni, non le sue falsificazioni, non i suoi sostituti. Li abbiamo sentiti e letti sui giornali in questi giorni, e fanno proseliti. Nel nostro occidente si strumentalizza perfino il rispetto da avere per le altre religioni – che è cosa sacrosanta – ma con lo scopo, ovviamente non dichiarato, ma chiaramente perseguito, di annullare i simboli cristiani, di togliere visibilità e credibilità al messaggio cristiano, di confinare l’esperienza cristiana solo nell’intimità delle coscienze e nei perimetri delle sagrestie. E così, in nome di un finto rispetto verso gli altri, si umiliano le nostre radici e le giovani generazioni di fatto vengono messe nelle condizioni di respirare un’aria sempre più secolarizzata, sempre più neutralista, che finisce per strapparle dal patrimonio di una tradizione che ha dato forma a secoli di umanesimo e di civiltà. I nostri giovani vengono resi sempre più estranei al cristianesimo, credendo in tal modo di renderli più liberi, più emancipati, più felici. In realtà, crescono sempre più insicuri, vittime delle mode commerciali e degli slogan ideologici, sempre meno capaci di assumere convinzioni profonde e impegni permanenti.
A tutti vorrei dire: non abbiate paura di Dio! Non abbiamo paura del Bambino di Betlemme! Solo in Lui troviamo il senso della vita. Solo nel Dio fattosi uomo troviamo ciò di cui in un modo o nell’altro, per una strada o per l’altra, andiamo in cerca. Senza quel Bambino di Betlemme, saremmo tutti più poveri, più infelici, più soli. Perché è da quel Bambino che è scaturita una luce sull’uomo, sulla vita, sul senso del nascere e del morire, una luce che si è diffusa nel mondo intero e che nessuno riuscirà mai a spegnere. La Vergine Maria ci aiuti a far nascere anche in noi quel Gesù che ha generato per il mondo intero.

Natale Messa del giorno

Suona sempre provocatoria quella espressione che abbiamo sentito proclamare, tolta dal prologo di San Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (1,14). Provocatoria proprio nella sua semplicità. “Il Verbo si fece carne” ci ha annunciato l’evangelista. Vale a dire: è la ricchezza divina che, per così dire, si immiserisce; è l’infinito che assume le dimensioni di un neonato; è l’Onnipotente che mostra di aver bisogno di tutto. San Paolo in sintesi scrive in una sua lettera: “Annientò se stesso” (Fil 2,8). E’ la realtà del Figlio di Dio che diventa uno di noi, uno di casa nella famiglia umana: entra nella nostra anagrafe, nella nostra storia e nella nostra geografia. Dio – che è il lontanissimo e il diversissimo da noi – direbbero gli ebrei e i musulmani – si è fatto vicinissimo a noi, si è fatto nostro prossimo, nostro vicino di casa, nostro compagno di viaggio. Quello che era un sospiro e appariva un sogno per gli ebrei (“Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”, Is 63,19), si è realizzato a Betlemme. Qui i cieli si sono davvero squarciati, e il Figlio unigenito del Padre è davvero disceso tra noi. E tutto è cambiato per la stirpe di Adamo: la nostra miseria sostanziale è finita, perché “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (Gv 1, 16).
Ecco perché i cristiani non si stancano di celebrare con gioia il Natale, moltiplicando nelle case e nelle strade le manifestazioni di festa e di luce, anche se non tutti i cristiani ricordano la causa e il motivo di tanta festa.
Nel prologo di Giovanni c’è anche però un’allusione a qualcosa che sembra strano e inspiegabile, ma che si avvera ad ogni generazione: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto” (1, 11). Cioè: Dio si è fatto nostro prossimo, ma sembra che a noi non sempre piaccia essere prossimi a Lui. E’ un vicino di casa che sembra dar fastidio. Alla sua compagnia si preferiscono altre compagnie. Alla sua Parola non si dà credito come ad altre parole. A volte ci si vergogna di Lui nella vita pubblica, ma anche nei discorsi quotidiani. Molti sembrano preferire un Dio lontano e remoto, anziché un Dio vicino. Un Dio remoto, che non interferisca troppo nelle nostre questioni e nei nostri affari, ci disturba meno: forse si pensa che noi così possiamo essere più autonomi, più adulti, più liberi, più padroni di noi stessi. Perfino noi cristiani siamo contagiati spesso da questa mentalità, e magari tentiamo perfino di giustificarla, chiamandola “sana laicità”. E così nelle grandi questioni della vita che sono sul tappeto oggi, preferiamo non disturbare Dio: confiniamo la sua Parola nella coscienza individuale, ma abbiamo timore a renderla pubblica, a farla circolare nei canali mediatici, a farla valere come una parola sensata e sapiente per l’uomo. Non sempre c’è stima del pensiero di Dio da parte di noi cristiani. E così subiamo il fascino di altri pulpiti, ai quali non sempre abbiamo il coraggio di opporci. “Il mondo fu fatto per mezzo di Lui, ma il mondo non lo riconobbe”, ci ricorda sempre san Giovanni (1,10).
Il Natale comunque è lì con tutta la sua carica di annuncio e di sfida ai tentativi che oggi si fanno per neutralizzarlo e per svuotarlo del suo senso originario. Ed è lì, il Natale, con la scena del presepio davanti ai nostri occhi: una scena che continua a parlare anche a noi, nell’oggi della nostra storia e nell’ora presente, percorsa da tanti problemi e da tante sfide. E che cosa mai di grande ci dice il presepio, ossia il Natale di Gesù?
Anzitutto ci dice che Dio non si è mai stancato di noi, delle nostre ribellioni, delle nostre fughe da Lui, delle nostre ricorrenti insipienze. Dio ostinatamente ci viene incontro e si offre a noi nel linguaggio umano, l’unico che noi possiamo comprendere e decifrare. Che Dio sia diventato uomo è solo il cristianesimo ad annunciarlo: ma questa “originalità” del cristianesimo è una sorpresa felice, che non cessa di stupire favorevolmente l’uomo, ogni uomo, il quale cerca di farsi un’immagine di Dio, rischiando di creare idoli. San Bernardo ce lo spiega molto bene: “Se il Verbo non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l’uomo, se non quella di un idolo, frutto di fantasia? Sarebbe rimasto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e del tutto inimmaginabile. Invece ha voluto essere compreso, ha voluto essere veduto, ha voluto essere immaginato. Dirai: dove e quando si rende a noi visibile? Nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce, mentre risorge il terzo giorno e, finalmente, mentre sale al cielo” . Dio è entrato nella nostra grammatica umana, nella nostra vita quotidiana, per toglierla dalla banalità, per disincagliarla da questi ostacoli – il male, il peccato, la morte eterna – che la minacciano e la intristiscono, per ridarle una dignità perduta, per aprirle gli orizzonti eterni del Regno di Dio.
In secondo luogo: il presepe ci dice chi è l’uomo. L’uomo di oggi è diventato insicuro su se stesso, non sa più qual’è la sua identità, ha smarrito quegli orientamenti fondamentali che lo costituiscono, appunto, persona umana. L’uomo di oggi non è più sicuro sui valori di fondo da trasmettere ai figli, non sa più qual è l’uso giusto della sua libertà, qual è il giusto modo di vivere, che cosa sia moralmente doveroso e che cosa invece non sia ammissibile. Lo vediamo sempre più solo, sempre più in balia dei propri desideri, dei sentimenti e delle voglie del momento, che vengono definiti e dichiarati “diritti”, a prescindere da ogni valutazione etica. Da qui l’oscuramento progressivo della coscienza contemporanea su che cosa è vita, sul senso del matrimonio e della famiglia, sul senso del dolore e della morte, sul senso della differenza sessuale. Da una parte ci si ribella alle norme, perché vengono ritenute oppressive e antagoniste dei propri desideri; dall’altra si vuole che la legge dello Stato regoli tutto, legalizzi ogni sorta di desiderio e di scelta personale. Da una parte, dunque, si assolutizza la libertà individuale, dall’altra si assolutizza l’intervento legislativo e politico, ma in entrambi i casi si è persa di vista la relazione con la legge naturale, si emargina quel progetto universale di Dio, quella “grammatica” fondamentale scritta da Dio creatore nella natura dell’essere umano, e che viene prima dei desideri personali, prima dello Stato e dei parlamenti.
Il presepio ci mette di fronte ad un Bambino che, oltre ad essere il Figlio di Dio, anzi proprio perché è il Figlio di Dio, è anche l’immagine più perfetta dell’uomo. Quel Bambino è il nuovo Adamo, che riporta ogni figlio dell’uomo allo splendore del progetto originario di Dio. Guardando al Bambino di Betlemme, noi ammiriamo, come riflessa in uno specchio, la nostra umanità nella sua forma più alta e sublime, nella sua vocazione più bella e appassionata.
Non vergogniamoci mai di questo Bambino. E non neutralizziamo il Natale, non riempiamo il Natale solo di alberi e Babbi Natale. Il Natale senza il Bambino Gesù è ben misera cosa: è come una casa senza focolare, senza persone, senza affetti. Mettiamoci anche noi, umilmente, fra i pastori e i magi, che hanno dato inizio a una processione di uomini e di donne che non si sono piegati davanti a nessun altro e a nient’altro, perché si sono inginocchiati, in adorazione, davanti al Bambino Gesù. E lì hanno trovato la verità, la libertà, l’amore, la gioia e la misericordia.


Domenica 31 dicembre – Santa Famiglia di Nazareth

La liturgia di questa domenica prolunga il mistero del Natale, perché Gesù, essendo il Figlio di Dio fattosi uomo, entra anche nella vita e nella storia di una famiglia umana, la famiglia di Nazareth. Anche Gesù, dunque, ha vissuto tutte le dinamiche, i ritmi di crescita, le difficoltà di una famiglia umana.
Al centro del vangelo di oggi c’è una grande fede in Dio e nei suoi progetti. Gesù adolescente che si trova nel tempio di Gerusalemme a discutere con i sapienti di Israele dice tutta l’appartenenza di questo ragazzo alle tradizioni religiose del suo popolo, e dice tutta la sua fede in Dio. Tant’è che ai genitori, che lo cercano da tre giorni (un tempo certamente allusivo al futuro dramma della passione) Gesù dà una risposta che sembra a prima vista provocatoria: “Perché mi cercavate? Io mi devo occupare delle cose di Dio!”. Questa risposta mostra tutta la sua libertà e soprattutto la sua vocazione e la sua futura missione. Ma questa risposta getta luce anche sulla vita di ciascuno di noi, di ogni cristiano. Il compimento del progetto di Dio è il compito più alto e più nobile che possa toccare ad una persona, e che impegna tutte le nostre energie e le nostre risorse più profonde. Questo impegno, certo, va oltre la famiglia: tant’è che Gesù, un bel giorno, di fronte a chi gli ricordava: “C’è qui tua madre, ci sono qui i tuoi familiari e parenti”, risponderà: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (cf Mt 12, 46-50). Si tratta, in fondo, della stessa risposta. D’altra parte, lo stesso vangelo di oggi ci dice anche che Gesù, tornato a Nazareth, stava sottomesso ai suoi genitori e di lui i vangeli non dicono più nient’altro, se non che cresceva in età, sapienza e grazia, proprio perché educato dalla fede e dall’esempio dei suoi genitori. Anche per Gesù, fino al momento della sua missione pubblica, la vita di famiglia è stata la vera scuola che lo ha preparato alla missione futura, lo ha educato alle “cose di Dio”. Vuol dire che la vita di famiglia è un’esperienza essenziale e insostituibile per ogni uomo, affinché si prepari ai compiti della vita.
Ci vien da domandare: quella famiglia di Nazareth, così lontana nel tempo e così diversa dalle nostre per contesto religioso e sociale, come può essere modello per le nostre famiglie di oggi? Il contesto di oggi è profondamente mutato, fino a porre in questione l’istituto stesso del matrimonio e della famiglia, che oggi subiscono un’aggressione da tutte le parti, quale non si era mai verificata nella storia. Solo anime eccezionalmente candide o sciocche non se ne accorgono; anche se la famiglia ha smentito tutti i suoi detrattori che già qualche decennio fa ne profetizzavano l’estinzione. La famiglia regge, anzitutto perché corrisponde alla natura più intima e profonda della persona umana, alla sua dinamica relazionale, al suo desiderio di amore, di fecondità, di stabilità affettiva, di rete parentale. Tant’è vero che tutte le altre forme di unione che oggi sembrano voler sostituire o affiancarsi al matrimonio e alla famiglia naturali, non sanno fare altro che chiederne l’equiparazione. Si vuole, cioè, che ogni forma di unione sia dichiarata o dichiarabile come matrimonio e che ogni tipo di focolare o di cuccia possa essere equiparato alla famiglia: questo è il segno, paradossale se si vuole, che il matrimonio e la famiglia possiedono una chiarezza, una bellezza, uno spessore e un messaggio che sono tipici del disegno originale. Le altre forme di unione sono delle copie, delle imitazioni, a volte delle falsificazioni dell’originale. E’ da stolti fabbricare o comperare un falso, quando sul mercato si trova l’originale. Il matrimonio, come patto stabile e fecondo tra un uomo e una donna, e la famiglia, come allargamento ai figli da accogliere e da educare, non sono un’invenzione della Chiesa. La famiglia è la prima, la più originaria e fondamentale delle comunità “naturali”, che viene prima dello Stato, prima della Chiesa, prima di ogni altra istituzione: perché la famiglia viene da Dio, come chiaramente si esprime la Sacra Scrittura fin dalle prime pagine: “l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2,24). E Gesù nel vangelo aggiungerà: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 5).
Oggi nella nostra società tocchiamo con mano tutte le conseguenze di una situazione che sta diventando non solo preoccupante, ma drammatica, e che anche il Papa ha affrontato nel suo discorso prenatalizio alla Curia romana.
Un primo problema: la nostra Europa è stanca, non fa più figli, si parla di “suicidio demografico”. L’Europa sembra volersi congedare dalla vita e uscire dalla storia. Certo, le ragioni sono tante e complesse: il lavoro, l’economia, la casa, lo stress…Ma ci sono ragioni più profonde: l’uomo di oggi è insicuro non solo sul futuro, ma su se stesso. Il Papa ha dato voce a questa insicurezza generale: “E’ una cosa buona essere uomo?”. In questo clima di sfiducia verso se stessi, il rischio di avere figli appare sempre meno sostenibile. Possiamo trasmettere la vita solo se siamo in grado di darle un senso, solo se di nuovo impariamo i fondamenti della vita, solo se siamo capaci e se riprendiamo la stima delle decisioni definitive, sempre più contestate o dichiarate impossibili dalla cultura odierna. Solo nell’assunzione di decisioni stabili e definitive si può realizzare la vera libertà dell’uomo.
Un secondo problema: è il tentativo, che sta dilagando in Europa, di equiparare le unioni di fatto alle unioni matrimoniali. Si ha un bel dire che la legalizzazione delle unioni di fatto non discrimina e non intacca le unioni matrimoniali. In realtà, si toglie forza alle decisioni stabili e si alimenta quella cultura relativistica – per cui un rapporto, di qualsiasi natura, si può fare e disfare quando si vuole – che genera nelle giovani generazioni una sfiducia, una paura e un discredito sempre più marcato nei confronti del matrimonio: chi mai si sposerà in futuro, se c’è la possibilità di una via intermedia, che lascia aperte tutte le porte? E poi, perché si vogliono i diritti del matrimonio, senza assumersi anche i doveri? La società non può mettere sullo stesso piano chi si dispone alle responsabilità del matrimonio e chi invece sceglie vie di tipo privatistico, scollegate con il bene della società e rivolte prevalentemente al benessere della coppia più che della società.
Una terza questione riguarda le unioni di persone dello stesso sesso, con la possibilità anche di adottare bambini. Queste unioni comportano in radice la negazione di quella fecondità che è la base stessa della società e comportano anche la relativizzazione della differenza sessuale, cioè tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, omologando ogni differenza che invece costituisce la ricchezza ed esprime la complementarietà della persona umana. Si parla tanto di rispetto della natura nella cultura ecologica di oggi, ma qui mi pare che si faccia violenza proprio alla natura. Certo, due persone dello stesso sesso possono scegliere di vivere insieme, ma non possono pretendere che la loro unione venga considerata uno status del tutto simile a quello di un matrimonio e possa essere equiparata ad una famiglia. Ciò non favorisce alcuna discriminazione, anzi è discriminazione trattare allo stesso modo unioni che sono di natura diversa. Io non discrimino una persona stonata, se dichiaro che non può far parte di nessuna corale: una persona stonata può fare mille altre cose, ma non può pretendere di partecipare al festival di Sanremo.
Si obietta: la Chiesa non deve ingerirsi in tali questioni, che attengono invece alla sfera della politica e alla laicità dello Stato. A questa obiezione ha già risposto il Papa qualche giorno fa nel Discorso alla Curia romana: “Forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?”. La famiglia dunque non è soltanto un dato sociologico mutevole con il variare delle circostanze: è anche un dato antropologico e, per noi cristiani, un dato teologico.
Ci auguriamo che le migliori energie della nostra società siano messe a disposizione della famiglia naturale fondata sul matrimonio. Le altre forme di unione costituiscono un altro capitolo. E ci auguriamo che le famiglie cristiane della nostra parrocchia vivano il sacramento del matrimonio come una splendida risorsa per la loro vita, per la vita dei loro figli, per la vita della nostra comunità.


Messa di fine d’anno

Questa celebrazione di fine d’anno è ricca di tanti significati che ricaviamo anche dai messaggi della liturgia. Abbiamo celebrato questa mattina la festa della Santa Famiglia di Nazareth, contemplando in quella famiglia il prototipo di ogni famiglia umana, chiamata a compiere il progetto di Dio, che è sempre un progetto di amore fedele e fecondo.
La liturgia di oggi pomeriggio è nella memoria solenne di Maria, venerata e contemplata nel suo titolo più antico e significativo di “Madre di Dio”. L’atteggiamento di Maria, che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” suggerisce anche a noi l’ottica giusta con cui guardare all’anno che sta finendo: è l’ottica della meditazione e della preghiera, proprio per non fermarci solo alla cronaca e agli avvenimenti della nostra vita, ma cercando ancora una volta di capire che la vita è un grande dono di Dio e che dentro alle vicende della storia Dio ci sta conducendo all’incontro pieno e definitivo con Lui. Così ha fatto Maria: di fronte al grande evento che le è stato donato – diventare Madre di Dio! – il suo stupore non si è trasformato in distrazione o in ansia, bensì in meditazione: è rientrata nel suo cuore, e proprio lì ha compreso quel che esattamente le stava succedendo. Dunque: dalla distrazione alla meditazione. E’ l’itinerario di stasera, in questa celebrazione di fine d’anno che ancora una volta consegniamo all’azione liturgica, perché è solo nell’ascolto della Parola del Signore e nel rinnovarsi sacramentale del suo sacrificio pasquale che noi ci collochiamo nel giusto posto per contemplare, con gli occhi della fede, lo svolgersi delle tappe della nostra vita e lo snodarsi del tempo.
Per la Chiesa l’anno che sta finendo è stato caratterizzato dai viaggi apostolici del nostro Papa, tutti di estremo significato anche per noi, perché in ogni viaggio Papa Benedetto XVI ha lasciato una forte impronta e un forte messaggio anche per tutti noi.
Nel suo viaggio in Polonia, in primavera, il Papa ha trovato ovunque la gioia della fede, anche sull’onda della testimonianza del grande Papa polacco, che si è donato senza riserve fino all’ultimo, al servizio di Cristo e dell’uomo, mostrandoci che è possibile, anche nel mondo di oggi, credere in Dio e spendere la vita per la grande causa della redenzione dell’uomo.
Nel viaggio in Spagna, a Valencia, all’inizio dell’estate, il Papa ha potuto incontrare un’ “onda di gioia” di tante famiglie e ha potuto riaffermare che il matrimonio e la famiglia sono un capitale prezioso, anzi indispensabile, nell’ora presente, un capitale minacciato da tante aggressioni, un patrimonio che rischia di essere dilapidato in poco tempo, con tutte le conseguenze prevedibili e già in parte sotto i nostri occhi.
Il grande tema del terzo viaggio, in Baviera, nello scorso settembre è stato “Dio”. Il grande problema del nostro occidente è infatti la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde sempre più. In occidente, per tanti la Chiesa, il Cristianesimo, il Dio di Gesù Cristo, sembrano cose che appartengono al passato. Questo tema è tornato anche pochi giorni fa, proprio nel messaggio natalizio: “L’uomo di oggi – si è domandato Benedetto XVI – ha ancora bisogno di Dio? Ha ancora bisogno di un Salvatore l’uomo di oggi, che ha raggiunto Marte, ha decifrato i codici del menoma umano e ha reso il mondo un villaggio globale?”. E il Papa ha risposto di sì, semplicemente ricordando la realtà del morire umano: anche oggi l’uomo continua a morire. “Come non sentire – ha detto il Papa – che proprio dal fondo di questa umanità gaudente e disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto?”. Oggi, come cristiani dell’occidente, siamo posti di fronte alla grande sfida: se Dio ha ancora un senso, se la fede in Cristo è ancora significativa, anzi essenziale all’uomo di oggi, che impone sempre più il silenzio a Dio e ai cristiani nella vita pubblica. Ma è proprio la ragione dell’uomo – questo il significato della famosa lezione del papa a Ratisbona – a chiedere che si aprano gli orizzonti. Bisogna ritrovare il coraggio di aprirsi alla ampiezza della ragione, non invece rifiutarne la grandezza: questo l’invito del Papa, decisivo nell’ora presente, per avviare un dialogo vero con tutti.
La visita in Turchia, che si è compiuta un mese fa, è stata un passo in avanti sia nel dialogo con la Chiesa ortodossa, sia nel dialogo col mondo musulmano. Quel viaggio è servito al Papa per ribadire il no ad una dittatura della ragione laicista che vuole escludere Dio dalla vita pubblica, come anche per riaffermare – in opposizione ai vari fondamentalismi – la libertà della fede religiosa, di ogni fede religiosa, e la libertà del suo esercizio, condannando ogni forma di imposizione religiosa e ribadendo l’incompatibilità fra violenza e fede religiosa.
Non vanno, infine, dimenticate le grandi consegne del Papa alla Chiesa italiana riunita in convegno a Verona nello scorso ottobre, fra le quali la consegna di un rinnovato impegno educativo dei cattolici nella famiglia e nella scuola, e di un rinnovato impegno dei cattolici nella vita pubblica e nella attività politica, soprattutto nel campo di quei valori non negoziabili che appartengono alla natura dell’essere umano, fra i quali il Papa segnalava la tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e “la promozione della famiglia fondata sul matrimonio, cercando di impedire che vengano introdotte nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale”.
In questi ultimi giorni in Italia si è parlato molto del caso Welby e ha suscitato scalpore la decisione del Vicariato di Roma di non concedere i funerali religiosi. A parte la chiara strumentalizzazione del caso Welby, amplificata dal gran cassa massmediatica, l’interrogativo più serio l’ha sollevato ancora una volta il Papa nel suo messaggio natalizio: “Che pensare di chi sceglie la morte credendo di inneggiare alla vita?”. La Chiesa è insieme madre e maestra, e dunque non può mai annunciare una misericordia – quella di Dio – che prescinda dalla verità. Nello scegliere la strada difficile e impopolare del rifiuto dei funerali religiosi, non si è affatto negata la misericordia di Dio, ma si è inteso non mettere sullo stesso piano ogni tipo di scelta. La Chiesa non può avvallare come diritto la pretesa di gestire la vita a proprio piacimento, pena la perdita della verità della vita, che non è un bene disponibile proprio per il motivo che è donato! Il far finta di niente: questo sì che sarebbe stato una mancanza di rispetto alla libertà di Welby, alle sue scelte liberamente espresse ma certo non condivisibili. La Chiesa ha ancora una volta annunciato la misericordia di Dio, ma ha anche rispettato la libertà umana, che può arrivare ad opporsi alla verità di Dio.
Infine, come comunità parrocchiale, ringraziamo il Signore per questo anno, per i tanti doni che abbiamo ricevuto. Lo ringraziamo per la concordia, per il dialogo sereno e quotidiano fra noi preti, e fra preti, laici e religiose. Ringraziamo il Signore per i 31 bambini che hanno ricevuto il battesimo; per i 52 bambini della prima comunione; per i 62 ragazzi che hanno ricevuto la cresima; per le 11 coppie che hanno celebrato il sacramento del matrimonio.
Ricordiamo al Signore i 59 defunti, che sono sempre uniti a noi nella comunione dei santi.
Ringraziamo Dio anche per tutte le iniziative che hanno accompagnato lungo il corso dell’anno il cammino della nostra parrocchia e del nostro oratorio. Un grazie a tutte quelle persone – catechiste, lettori, volontari… - che con passione e con gratuità hanno donato il loro tempo e le loro energie nei vari ambiti della vita parrocchiale. A tutti l’invito a non vergognarsi mai di Gesù e del Vangelo nei luoghi del nostro lavoro e della nostra professione. Un pensiero agli anziani soli, a tutti gli ammalati, a tutti coloro che stanno attraversando momenti di tribolazione. La Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, e Santo Stefano, il nostro patrono, ci aiutino a farci crescere nella conoscenza e nella esperienza di Gesù, il nostro unico Signore e Salvatore. L’anno santo diocesano, indetto per celebrare il nono centenario di fondazione della nostra Cattedrale, ci faccia crescere nell’appartenenza sempre più convinta al suo Corpo storico che è la Chiesa.


Capodanno 2007

Oggi, festa civile di Capodanno, per la liturgia della Chiesa è la solennità di Maria, Madre di Dio. E’ il titolo più antico, ma anche quello più straordinario e paradossale che possa essere dato a una creatura umana. Che la “terra” diventi “grembo” del cielo, che la casa dell’uomo diventi la casa di Dio, che la tenda dell’uomo diventi il palazzo in cui abita Dio, che la creatura, insomma, possa generare il suo Creatore, è davvero qualcosa di sconvolgente, che solo Dio è in grado di compiere, e che non riguarda solo Maria, ma tutti noi. Dio ha compiuto un miracolo alla rovescia: Dio non solo può rendere grande ciò che è piccolo, ma può rendersi piccolo, Lui che è grande. Così facendo, Dio vuole abitare sulla terra, anzi nel grembo di ciascuno di noi, nel cuore di ogni persona. La grandezza e lo splendore di Maria – così celebrati anche nell’arte, oltre che presso il popolo cristiano, che non è ancora stanco, grazie a Dio, di essere devoto alla Vergine Maria – ci fanno comprendere la grandezza e lo splendore di ogni creatura umana, quando si abbandona fiduciosa ai progetti di Dio. Guardando a Maria, Madre di Dio, ciascuno di noi si sente innalzato a una dignità altissima e riscopre la propria vocazione di figlio di Dio, chiamato all’amore e alla verità. E la Madre di Dio ci suggerisce anche un metodo, che viene così sintetizzato nel brano evangelico di oggi: “Maria serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc2,19). E’ la strada dell’ascolto di Dio, del silenzio meditativo, della preghiera. Noi viviamo in un tempo di “atrofia spirituale” e di “vuoto del cuore”: sono le grandi patologie dell’uomo di oggi, richiamate anche dal Papa nel suo messaggio natalizio, patologie che si fanno sentire anche nel popolo cristiano e che possiamo vincere solo con il combattimento spirituale, di cui parlano i santi e i padri della Chiesa: un combattimento che non abbiamo più la forza o la voglia o l’ardore di intraprendere, perché siamo come narcotizzati da una sorta di pacifismo esistenziale che in realtà è una resa al male, è un compromesso con l’inganno e l’errore, è connivenza con l’accidia spirituale.
L’altro grande tema della giornata odierna è la pace. Quest’anno il messaggio del Papa ha come tema: “La persona umana, cuore della pace”. Il Papa insiste: bisogna tornare a rispettare la “grammatica” scritta nel cuore dell’uomo dal Creatore. Il messaggio è un inno al diritto naturale, ossia a quel patrimonio di valori “non negoziabili” che precedono e fondano ogni successivo apporto legislativo. Infatti le norme del diritto naturale non sono direttive che vengono imposte dall’esterno, quasi coartando la libertà dell’uomo. Sono invece dinamiche che appartengono costitutivamente alla natura dell’essere umano e che dunque si impongono a tutti, perché vere! Ecco perché il Papa scrive che “il rispetto della legge naturale costituisce anche oggi la grande base per il dialogo fra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti” (n. 3).
Fra i diritti umani fondamentali, il Papa ne ricorda due: il rispetto per la vita e il rispetto per la libertà religiosa. Per quanto riguarda il primo, Benedetto XVI stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: “la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità” Questo è un principio-cardine dell’etica naturale, perché se affermassimo il contrario, cioè che il soggetto è padre e padrone della vita, propria e altrui, allora tutto diventa possibile e legittimo: ogni tipo di violenza potrebbe trovare giustificazione. E qui il Papa ricorda le violazioni più drammatiche: dalle guerre e dal terrorismo fino alle morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto e dall’eutanasia.
Anche il secondo diritto naturale, ossia il diritto alla libertà religiosa, pone l’essere umano in rapporto con Dio e quindi in rapporto con un Principio trascendente che sottrae l’uomo all’arbitrio dell’altro uomo. Non è in potere dell’uomo impedire l’accesso di ogni uomo al mistero di Dio o costringere l’uomo a professare una religione piuttosto che un’altra. E qui il Papa parla esplicitamente delle difficoltà di non pochi cristiani di oggi a professare le proprie convinzioni religiose. In certi Stati, scrive il Papa, i cristiani sono perseguitati. “Vi sono regimi che impongono a tutti un’unica religione; mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose” (n. 5). E’ evidente l’allusione sia ai Paesi toccati dal fondamentalismo islamico, sia alle nostre democrazie occidentali, basate sull’indifferentismo religioso e sul relativismo morale, e che ormai fanno del secolarismo laicista la nuova religione dei nostri tempi: siamo alla esclusione dei presepi e dei simboli religiosi dai luoghi pubblici, siamo alla ridicolizzazione della professione e della esperienza cristiana nei pulpiti mediatici, siamo alla emarginazione della religione dall’orizzonte culturale dello Stato “laico”, che in tal modo diventa uno Stato sempre più laicista, che vuole sostituire alle religioni concretamente professate (in modo particolare l’accanimento oggi è nei confronti del cristianesimo, soprattutto del cattolicesimo) la “religione della non religione”, compiendo un’azione indebita di imposizione e di coercizione laicista.
La violazione di questi due diritti fondamentali, che annulla il confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è, ha gravissime ripercussioni sulla pacifica convivenza fra i cittadini e fra i popoli. Solo un’ecologia umana, e non solo ambientale, può davvero favorire la pace. Ma in che cosa consiste l’ecologia umana? Consiste non solo nel dire di no alle visioni riduttive dell’uomo, che sono le ideologie, ma nel dire di no anche all’indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell’uomo. E siamo di nuovo al relativismo, un tema centrale nel pensiero e nella predicazione di Benedetto XVI. Da qui una citazione che mi sembra costituisca il cuore del messaggio per la pace: “Molti contemporanei negano l’esistenza di una specifica natura umana e rendono così possibili tutte le più stravaganti interpretazioni dei costitutivi essenziali dell’essere umano. Una visione debole della persona, che lasci spazio anche ad ogni eccentrica concezione, solo apparentemente favorisce la pace. In realtà, impedisce il dialogo autentico e apre la strada all’intervento di imposizioni autoritarie, finendo per lasciare la persona stessa indifesa, e facile preda dell’oppressione e della violenza” (n.11). Dunque, non si possono fondare i diritti fondamentali su una visione debole della persona umana, perché tali diritti non sarebbero più fondamentali. “Solo se radicati in oggettive istanze della natura donata all’uomo dal Creatore, i diritti a lui attribuiti possono essere affermati senza timore di smentita. Va da sé che i diritti dell’uomo implicano a suo carico dei doveri. Bene sentenziava il mahatma Gandhi: ‘Il Gange dei diritti discende dall’Himalaia dei doveri’. E’ solo facendo chiarezza su questi presupposti di fondo che i diritti umani, oggi sottoposti a continui attacchi, possono essere adeguatamente difesi. Senza tale chiarezza, si finisce per utilizzare la stessa espressione ‘diritti umani’, sottintendendo soggetti assai diversi fra loro: per alcuni, la persona umana contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio” (n.12). E qui cominciano i pericoli per la pace, che il Papa elenca nel testo del messaggio, un testo che va letto e riletto. E’ un testo denso, in qualche passaggio è anche scolastico, quasi un testo di studio. Approfittiamo della intelligenza e della sapienza del Pastore di Roma che il Signore ha scelto come successore di Pietro. Un domani potremmo rimpiangerlo e pentirci di non averlo ascoltato a sufficienza.


Epifania 2007

Celebriamo oggi l’Epifania del Signore Gesù, ossia la sua manifestazione alle genti, rappresentate dai Magi, misteriosi personaggi venuti dall’Oriente. Se a Natale Gesù è stato accolto dai pastori di Betlemme, dalla gente semplice del suo popolo, oggi, per così dire, la festa dell’Epifania varca i confini di Betlemme, si sprovincializza, e Gesù viene accolto anche dal mondo pagano. La luce di quel Bambino diventa una stella che illumina la nostra notte, illumina la notte del mondo intero, come dice Isaia nella prima lettura: “Cammineranno i popoli alla tua luce” (Is 60,3). Gesù è la luce del mondo, Gesù è la vera stella che guida il percorso di ogni persona e di tutti i popoli della storia. Gesù è venuto a porre la sua tenda in mezzo a noi, per radunare tutte le genti in un’unica grande famiglia. “Cristo è la luce delle genti”: così inizia uno dei testi più belli e più importanti del Concilio Vaticano II.
Con i Magi è iniziata quella grande avventura dell’umanità, chiamata a conoscere e ad incontrare l’Emmanuele, il Dio-con-noi, apparso in Gesù. E’ un’avventura che non è ancora finita. L’Epifania infatti resta una festa aperta, perché nella storia del mondo il cammino di ricerca e di scoperta di Gesù non si è ancora concluso. Tutte le generazioni, richiamate dalla luce di quella stella che è Gesù, intraprendono quel santo viaggio che è lo stesso dei Magi. L’Epifania si concluderà con la grande rivelazione finale della gloria: “quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).
La pagina del Vangelo traccia insieme l’itinerario dell’uomo che cerca Dio, e l’itinerario di Dio che cerca l’uomo, anzi si fa uomo per incontrare ogni uomo. E alla grotta di Betlemme avviene il grande incontro fra Dio e l’uomo, fra il Figlio di Dio e i pastori e i magi, che rappresentano tutta l’umanità. Quell’incontro si ripete ad ogni generazione, nella Chiesa, che è il grembo storico, è la capanna di Betlemme costruita in ogni comunità cristiana, dove Dio continua ad offrirsi nella forma della parola e dei sacramenti, e dove approda il cammino di ciascuno di noi, se ci lasciamo guidare dalla stella.
L’Epifania costituisce il tracciato della nostra vita. Ci dice chi è l’uomo: è un cercatore di luce, di verità, di amore. In questo suo cercare l’uomo non manca di segni, è guidato dalla stella. La stella è il cielo a cui l’uomo guarda sempre con profondo desiderio. La stella è il nostro “cuore inquieto”, che non si accontenta di nulla che non sia l’eterna Verità, l’eterna Bellezza, l’eterna Bontà. La stella è la coscienza che riflette quella legge di Dio che ci dice ciò che è bene e ciò che è male. La stella sono i libri della Sacra Scrittura, nei quali troviamo il percorso di un popolo che, vagando nelle tenebre, ha potuto scorgere una grande luce. La stella è la Chiesa, che da due millenni cammina sulle strade di questo nostro mondo, tenendo viva la memoria di Gesù, anzi donando la vita stessa di Gesù nei sacramenti. La stella è Maria, la Madre del Signore, che ai piedi della croce diventa madre nostra e che continua a vegliare sul popolo pellegrinante come segno di consolazione e di sicura speranza. La stella sono i santi, che hanno incarnato il Vangelo nei tempi e nei luoghi concreti della loro vita e che ci dicono che è possibile ed è bello imitare Gesù, seguire Gesù, senza dismettere la propria umanità. La stella sono le persone che incontriamo ogni giorno, con le loro ricchezze e le loro povertà, e che ci costringono a non vivere per noi stessi la nostra vita.
L’Epifania ci dice anche chi è Dio. Quando noi diciamo “Dio”, non siamo più di fronte ad una realtà lontana, indefinita, senza volto, anonima. Noi abbiamo ricevuto la grazia di incontrare il volto di Gesù, nel quale si riflette il volto stesso di Dio. Gesù è venuto proprio per rendere più vicine a noi le realtà celesti. Questo è il paradosso che abbiamo meditato a Natale: un Dio, che è il Creatore dell’universo, eppure è ridotto all’impotenza di un neonato… Così ha detto Benedetto XVI nel suo messaggio natalizio del 2005: “A Natale l’Onnipotente si fa bambino. Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini”. Noi vorremmo vedere in Dio l’esplosione della nostra idea di potenza e di gloria, ma Dio ci risponde rinunciando al potere e alla potenza, o meglio ci risponde con la potenza dell’amore che si abbassa fino al nostro livello, fino al punto da rischiare di non essere più compreso come Dio. Che cosa mai videro i Magi se non “il Bambino con Maria sua madre”? Nulla di eccezionale alla vista degli occhi, ma tutto di eccezionale alla vista del cuore e della fede. Ecco, l’Epifania ci consegna un Dio dal volto umano, che ha percorso fino in fondo l’esperienza umana fin negli angoli più bui e più drammatici, per liberarci dal buio e dalla disperazione e per aprirci le porte della vita, della vita che non ha fine.
L’Epifania ci consegna anche un altro aspetto: è il mistero del male, è il “potere delle tenebre” che tenta di oscurare lo splendore di quella luce. Erode diventa il simbolo, diventa un’incarnazione di quella cospirazione contro Gesù che poi lo condurrà alla croce. Del resto, Giovanni nel prologo del suo Vangelo scrive: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (1, 5). E’ il dramma del rifiuto di Cristo, che continua a manifestarsi anche oggi in modi diversi. Anche il Papa, durante l’udienza generale di mercoledì scorso (3 gennaio 2007) ha fatto un cenno a questo mistero del rifiuto: “Forse persino più subdole e pericolose sono le forme del rifiuto di Dio nell’era contemporanea: dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù cosiddetto modernizzato, un Gesù uomo, ridotto ad un semplice uomo del suo tempo, privato della sua divinità; oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba”. E’ il mistero del male che ci portiamo dentro. E’ quella fatica ad essere cristiani che ci toglie la gioia; è quella pigrizia che spesso paralizza la nostra volontà, rendendola estenuata e fiacca; è quella tiepidezza da cui era affetta la Chiesa di Laodicea: “tu non sei né freddo, né caldo; magari fossi freddo o caldo! Ma poiché tu sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 15-16). E’ quel dar ragione ad ogni opinione; è quell’opporci alla distinzione fra bene e male; è quella paura a rendere ragione della nostra fede davanti agli altri, nei campi del lavoro e della professione, dell’educazione e della politica, della scuola e della sanità. Riconosciamolo: abbiamo spesso vergogna ad essere e a dichiararci cristiani!
La festa dell’Epifania ci aiuti a non vergognarci del Signore Gesù e della nostra convinta e serena appartenenza al suo Corpo storico che è la Chiesa: come non si sono vergognati i Magi, che nella loro sapienza e forse nella loro potenza regale non hanno avuto timore a cadere in ginocchio davanti a quel Bambino, riconoscendo in Lui davanti al mondo – diversamente da Erode – la presenza di una sapienza più grande, di una regalità altra e diversa. E così i Magi hanno trovato la luce e la gioia della loro vita. Il loro cammino e il loro incontro con Gesù diventino anche il nostro cammino e il nostro incontro.