BENEDETTO XVI
I piedi per terra
e gli occhi
rivolti al cielo
Incontro del Santo Padre con il clero di Belluno-Feltre e di Treviso
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2007
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Pubblichiamo il testo integrale del colloquio che Papa Benedetto XVI ha
tenuto nella chiesa di Santa Giustina Martire, ad Auronzo di Cadore, il 24
luglio 2007, quasi al termine del suo soggiorno estivo a Lorenzago di Cadore.
Intrattenendosi con i preti delle diocesi di Belluno-Feltre e di Treviso,
e rispondendo a braccio alle domande di alcuni di loro come è
ormai abitudine del Papa Benedetto XVI rivela una semplicità
e una profondità degni non solo di un grande teologo, ma soprattutto
di un grande Pastore. Le sue risposte infatti sgorgano dal suo animo di uomo
e di prete: e in questo modo diventa anche perfino più autorevole
è lautorevolezza del testimone il suo servizio di successore
di Pietro alla Chiesa intera.
Questo è il motivo per cui tale colloquio, seppur svolto tra preti,
appare di estremo interesse anche per le nostre comunità cristiane.
Lo stile di Papa Benedetto, oltre che rivelare la profondità semplice
dei contenuti e la loro appetibilità anche per il cristiano e per luomo
contemporaneo, rivela anche un metodo: di fronte ai problemi e alle difficoltà
delloggi, la conoscenza delle fonti genuine della fede cristiana (la
Scrittura, la Tradizione, la storia della Chiesa, gli insegnamenti del magistero
lungo i secoli) è una delle strade maestre per non lasciarsi sopraffare
dagli affanni e dagli sconforti così diffusi nella cristianità
attuale, almeno quella occidentale e per affrontare con fiducia e con
serenità, e soprattutto con libertà cristiana, senza cedimenti
ideologici e senza omologazioni al conformismo dilagante, le sfide del nostro
tempo, che non sono poi così dissimili da quelle di altre stagioni
della storia.
Le risposte del Papa ai preti di Belluno-Feltre e di Treviso sono un grande
insegnamento di vita e di metodo pastorale anche per le nostre comunità
padane. Anche per la nostra comunità di Santo Stefano. E con
questo spirito che offro a tutti i parrocchiani il presente fascicolo: da
meditare, personalmente e insieme. Con la speranza che qualcuno raccolga linvito
e aiuti noi preti ad essere preti e non semplici burocrati, o semplici
distributori di servizi sociali in questa comunità in cui ci
ha mandato il Signore Gesù, attraverso lobbedienza al Vescovo.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 6 agosto 2007
Festa della Trasfigurazione del Signore
D. - Santità, sono don Claudio, volevo farle una domanda circa la
formazione della coscienza, in particolare riguardo alle giovani generazioni,
perché oggi formare una coscienza coerente, una coscienza retta, sembra
sempre più difficile. Si scambia il bene e il male con il sentirsi
bene e il sentirsi male, laspetto più emotivo. Allora volevo
avere qualche consiglio da parte sua. Grazie...
R. Eccellenze, cari fratelli, innanzitutto vorrei esprimervi la mia
gioia e la mia gratitudine per questo bellincontro. Ringrazio i due
Vescovi, Sua Eccellenza Andrich e Sua Eccellenza Mazzocato, per questinvito.
A tutti voi che siete venuti così numerosi in tempo di vacanze il mio
sentito grazie. Vedere una chiesa piena di sacerdoti è incoraggiante,
perché vediamo che i sacerdoti ci sono. La Chiesa vive, anche se i
problemi crescono nel nostro tempo e proprio nel nostro Occidente. La Chiesa
è sempre viva e con sacerdoti che realmente desiderano annunciare il
Regno di Dio, cresce e resiste a queste complicazioni, che vediamo nella nostra
situazione culturale di oggi. Adesso, questa prima domanda riflette un poco
un problema della situazione culturale in Occidente, perché il concetto
di coscienza negli ultimi due secoli si è trasformato profondamente.
Oggi prevale lidea che razionale, che parte della ragione, sarebbe solo
quanto è quantificabile. Le altre cose, cioè le materie della
religione e della morale, non entrerebbero nella ragione comune, perché
non verificabili, o, come si dice, non falsificabili nellesperimento.
In questa situazione, dove morale e religione sono quasi espulse dalla ragione,
lunico criterio ultimo della moralità e anche della religione
è il soggetto, la coscienza soggettiva che non conosce altre istanze.
Solo il soggetto, alla fine, con il suo sentimento, le sue esperienze, eventuali
criteri che ha trovato, decide. Ma così il soggetto diventa una realtà
isolata, e cambiano così, come Lei ha detto, di giorno in giorno, i
parametri. Nella tradizione cristiana coscienza vuol dire con-scienza:
cioè noi, il nostro essere è aperto, può ascoltare la
voce dellessere stesso, la voce di Dio. La voce, quindi, dei grandi
valori è iscritta nel nostro essere e la grandezza delluomo è
proprio che non è chiuso in sé, non è ridotto alle cose
materiali, quantificabili, ma ha uninteriore apertura per le cose essenziali,
la possibilità di un ascolto. Nella profondità del nostro essere
possiamo ascoltare non solo i bisogni del momento, non solo le cose materiali,
ma ascoltare la voce del Creatore stesso e così si conosce cosa è
bene e cosa è male. Ma naturalmente questa capacità di ascolto
deve essere educata e sviluppata. E proprio questo è limpegno
dellannuncio che noi facciamo in Chiesa: sviluppare questa altissima
capacità donata da Dio alluomo di ascoltare la voce della verità
e così la voce dei valori. Quindi, direi che un primo passo è
di rendere coscienti le persone che la nostra stessa natura porta in sé
un messaggio morale, un messaggio divino, che deve essere decifrato e che
noi possiamo man mano conoscere meglio, ascoltare, se il nostro ascolto interiore
viene aperto e sviluppato. Adesso la questione concreta è come fare
questa educazione allascolto, come rendere luomo capace di questo,
nonostante tutte queste sordità moderne, come far sì che ritorni
questo ascolto, che sia realmente avvenimento, lEffatà del Battesimo,
lapertura dei sensi interiori. Io, vedendo la situazione nella quale
ci troviamo, proporrei una combinazione tra una via laica e una via religiosa,
la via della fede. Tutti vediamo oggi che luomo potrebbe distruggere
il fondamento della sua esistenza, la sua terra, e quindi che non possiamo
più semplicemente fare con questa nostra terra, con la realtà
affidataci, quanto vogliamo e quanto appare nel momento utile e promettente,
ma dobbiamo rispettare le leggi interiori della creazione, di questa terra,
imparare queste leggi e obbedire anche a queste leggi, se vogliamo sopravvivere.
Quindi, questa obbedienza alla voce della terra, dellessere, è
più importante per la nostra felicità futura che le voci del
momento, i desideri del momento. Insomma, questo è un primo criterio
da imparare: che lessere stesso, la nostra terra, parla con noi e noi
dobbiamo ascoltare se vogliamo sopravvivere e decifrare questo messaggio della
terra. E se dobbiamo essere obbedienti alla voce della terra, questo vale
ancora di più per la voce della vita umana. Non solo dobbiamo curare
la terra, ma dobbiamo rispettare laltro, gli altri. Sia laltro
nella sua singolarità come persona, come mio prossimo, sia gli altri
come comunità che vive nel mondo e che deve vivere insieme. E vediamo
che solo nel rispetto assoluto di questa creatura di Dio, di questa immagine
di Dio che è luomo, solo nel rispetto del vivere insieme sulla
terra, possiamo andare avanti. E qui arriviamo al punto che abbiamo bisogno
delle grandi esperienze morali dellumanità, che sono esperienze
nate dallincontro con laltro, con la comunità, lesperienza
che la libertà umana è sempre una libertà condivisa e
può funzionare soltanto se condividiamo le nostre libertà nel
rispetto di valori che sono comuni per tutti noi. Mi sembra che con questi
passi si possa far vedere la necessità di obbedire alla voce dellessere,
di obbedire alla dignità dellaltro, di obbedire alla necessità
del vivere insieme le nostre libertà come una libertà, e per
tutto questo conoscere il valore che vi è nel permettere una degna
comunione di vita tra gli uomini. Così arriviamo, come già detto,
alle grandi esperienze dellumanità, nelle quali si esprime la
voce dellessere, e soprattutto alle esperienze di questo grande pellegrinaggio
storico del popolo di Dio, cominciato con Abramo, nel quale troviamo non solo
le esperienze umane fondamentali, ma possiamo, tramite queste esperienze,
sentire la voce del Creatore stesso che ci ama e che ha parlato con noi. Qui,
in questo contesto, rispettando le esperienze umane che ci indicano la strada
oggi e domani, mi sembra che i Dieci Comandamenti abbiano sempre un valore
prioritario, nel quale vediamo i grandi indicatori di strada. I Dieci Comandamenti
riletti, rivissuti nella luce di Cristo, nella luce della vita della Chiesa
e delle sue esperienze, indicano alcuni valori fondamentali ed essenziali:
il quarto e il sesto comandamento insieme, indicano limportanza del
nostro corpo, di rispettare le leggi del corpo e della sessualità e
dellamore, il valore dellamore fedele, la famiglia; il quinto
comandamento indica il valore della vita ed anche il valore della vita comune;
il settimo comandamento indica il valore della condivisione dei beni della
terra e la giusta condivisione di questi beni, lamministrazione della
creazione di Dio; lottavo comandamento indica il grande valore della
verità. Se, quindi, nel quarto, quinto e sesto comandamento abbiamo
lamore per il prossimo, nel settimo abbiamo la verità. Tutto
questo non funziona senza la comunione con Dio, senza il rispetto di Dio e
la presenza di Dio nel mondo. Un mondo dove Dio non cè diventa
in ogni caso un mondo dellarbitrarietà e dellegoismo. Solo
se appare Dio cè luce, cè speranza. La nostra vita
ha un senso che non dobbiamo produrre noi, ma che ci precede, ci porta. In
questo senso, quindi, direi, prendiamo insieme le vie ovvie che oggi anche
la coscienza laica può facilmente vedere, e cerchiamo di guidare così
alle voci più profonde, alla voce vera della coscienza, che si comunica
nella grande tradizione della preghiera, della vita morale della Chiesa. Così,
in un cammino di paziente educazione, possiamo, penso, tutti imparare a vivere
e a trovare la vera vita.
D. - Sono don Mauro. Santità, nello svolgimento del nostro ministero
pastorale siamo sempre più gravati da molte incombenze. Aumentano gli
impegni di gestione amministrativa delle parrocchie, di organizzazione pastorale
e di accoglienza delle persone in situazioni difficili. Le chiedo su quali
priorità orientare oggi il nostro ministero di sacerdoti e di parroci,
per evitare da un lato la frammentarietà e dallaltro la dispersione?
Grazie.
R. E una questione molto realistica, è vero. Conosco anchio
un poco questo problema, con tante pratiche che arrivano ogni giorno, con
tante udienze necessarie, con tanto da fare. Tuttavia, bisogna trovare le
giuste priorità e non dimenticare lessenziale: lannuncio
del Regno di Dio. Sentendo questa domanda, mi è venuto in mente il
Vangelo di due settimane fa sulla missione dei settanta discepoli. Per questa
prima grande missione che Gesù fa realizzare, a questi settanta discepoli
il Signore dà tre imperativi, che mi sembrano esprimere anche oggi
sostanzialmente le grandi priorità del lavoro di un discepolo di Cristo,
di un sacerdote. I tre imperativi sono: pregate, curate e annunciate. Penso
che dobbiamo trovare lequilibrio tra questi tre imperativi essenziali,
tenerli sempre presenti come cuore del nostro lavoro. Pregate: cioè
senza una relazione personale con Dio, tutto il resto non può funzionare,
perché non possiamo realmente portare Dio e la realtà divina
e la vera vita umana alle persone, se noi stessi non viviamo in una relazione
profonda, vera, di amicizia con Dio, in Cristo Gesù. Da qui la celebrazione,
ogni giorno, della Santa Eucaristia come incontro fondamentale, dove il Signore
parla con me ed io con il Signore, che si dà nelle mie mani. Senza
la preghiera delle Ore, nella quale entriamo nella grande preghiera di tutto
il Popolo di Dio, cominciando con i Salmi del popolo antico rinnovato nella
fede della Chiesa, e senza la preghiera personale non possiamo essere buoni
sacerdoti, ma si perde la sostanza del nostro ministero. Quindi, essere un
uomo di Dio, nel senso di un uomo in amicizia con Cristo e con i suoi santi
è il primo imperativo. Cè poi il secondo. Gesù
ha detto: curate gli ammalati, i dispersi, quelli che hanno bisogno. E
lamore della Chiesa per chi è emarginato, per chi soffre. Anche
le persone ricche possono essere interiormente emarginate e soffrire. Curare
si riferisce a tutti i bisogni umani, che sono sempre bisogni che vanno in
profondità verso Dio. E quindi necessario, come si dice, conoscere
le pecorelle, avere relazioni umane con le persone affidateci, avere un contatto
umano e non perdere lumanità, perchè Dio si è fatto
uomo e ha così confermato tutte le dimensioni del nostro essere umano.
Ma, come ho accennato, lumano e il divino vanno sempre insieme. A questo
curare nelle sue molteplici forme, appartiene, mi sembra, anche
il ministero sacramentale. Il ministero della riconciliazione è un
atto di cura straordinario, del quale luomo ha bisogno per essere sano
fino in fondo. Quindi, queste cure sacramentali, cominciando dal Battesimo,
che è il rinnovamento fondamentale della nostra esistenza, passando
al Sacramento della riconciliazione e allunzione degli infermi. Naturalmente
in tutti gli altri Sacramenti, anche nellEucaristia, cè
una grande cura degli animi. Dobbiamo curare i corpi, ma soprattutto
questo è il nostro mandato - le anime. Dobbiamo pensare alle tante
malattie, ai bisogni morali, spirituali che oggi esistono e che dobbiamo affrontare,
guidando le persone allincontro con Cristo nel sacramento, aiutandole
a scoprire la preghiera, la meditazione, lo stare in Chiesa silenziosamente
con questa presenza di Dio. E poi annunciare. Che cosa annunciamo noi? Annunciamo
il Regno di Dio. Ma il Regno di Dio non è una lontana utopia di un
mondo migliore, che forse si realizzerà tra 50 anni o chissà
quando. Il Regno di Dio è Dio stesso, Dio avvicinatosi e divenuto vicinissimo
in Cristo. Questo è il Regno di Dio: Dio stesso è vicino e dobbiamo
noi avvicinarci a questo Dio che è vicino, perché si è
fatto uomo, rimane uomo ed è sempre con noi nella sua Parola, nella
Santissima Eucaristia e in tutti i credenti. Quindi, annunciare il Regno di
Dio vuol dire parlare di Dio oggi, rendere presente la parola di Dio, il Vangelo
che è presenza di Dio e, naturalmente, rendere presente il Dio che
si è fatto presente nella sacra Eucaristia. Nellintreccio di
queste tre priorità e naturalmente tenendo conto di tutti gli aspetti
umani, dei nostri limiti che dobbiamo riconoscere, possiamo realizzare bene
il nostro sacerdozio. E importante anche questa umiltà, che riconosce
i limiti delle nostre forze. Quanto non possiamo fare, deve fare il Signore.
Ed anche la capacità di delegare, di collaborare. Tutto questo sempre
con gli imperativi fondamentali del pregare, curare e annunciare.
D. Mi chiamo don Daniele. Santità, il Veneto è terra
di forte immigrazione, con la presenza consistente di persone non cristiane.
Tale situazione pone le nostre diocesi di fronte ad un nuovo compito di evangelizzazione
al loro interno. Permane, però, una certa fatica, perché dobbiamo
conciliare le esigenze dellannuncio del Vangelo, con quelle di un dialogo
rispettoso delle altre religioni. Quali indicazioni pastorali potrebbe offrire?
Grazie.
R. Naturalmente voi siete più vicini a questa situazione. E
in questo senso forse non posso dare molti consigli pratici, ma posso dire
che in tutte le visite ad Limina, sia dei vescovi asiatici, africani, latino-americani,
sia da tutta lItalia, sono sempre a confronto con queste situazioni.
Non esiste più un mondo uniforme. Soprattutto nel nostro Occidente
sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni, gli altri modi
di vivere la vita umana. Viviamo un incontro permanente, che forse ci assomiglia
alla Chiesa antica, dove si viveva la stessa situazione. I cristiani erano
una piccolissima minoranza, un grano di senape che cominciava a crescere,
circondato da diversissime religioni e condizioni di vita. Quindi, dobbiamo
reimparare quanto hanno vissuto i cristiani delle prime generazioni. San Pietro
nella sua prima Lettera, al terzo capitolo, ha detto: Dovete essere
sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi. Così
lui ha formulato per luomo normale di quel tempo, per il cristiano normale,
la necessità di combinare annuncio e dialogo. Non ha detto formalmente:
Annunciate ad ognuno il Vangelo. Ha detto: Dovete essere
capaci, pronti a dare ragione della speranza che è in voi. Mi
sembra che questa sia la sintesi necessaria tra dialogo e annuncio. Il primo
punto è che in noi stessi debba essere sempre presente la ragione della
nostra speranza. Dobbiamo essere persone che vivono la fede e che pensano
la fede, la conoscono interiormente. Così in noi stessi la fede diventa
ragione, diventa ragionevole. La meditazione del Vangelo e qui lannuncio,
lomelia, la catechesi, per rendere capaci le persone di pensare la fede,
sono già elementi fondamentali in questo intreccio tra dialogo e annuncio.
Noi stessi dobbiamo pensare la fede, vivere la fede e come sacerdoti trovare
modi diversi per renderla presente, così che i nostri cattolici cristiani
possano trovare la convinzione, la prontezza e la capacità di dare
ragione della loro fede. Questo annuncio che trasmette la fede nella coscienza
di oggi deve avere molteplici forme. Senza dubbio, omelia e catechesi sono
due forme principali, ma poi ci sono tanti modi per incontrarsi - seminari
della fede, movimenti laicali, ecc. - dove si parla della fede e si impara
la fede. Tutto questo ci rende capaci, innanzitutto, di vivere realmente da
prossimi dei non cristiani - in prevalenza qui sono cristiani ortodossi, protestanti
e poi anche esponenti di altre religioni, i musulmani ed altri. Il primo aspetto
è vivere con loro, riconoscendo con loro il prossimo, il nostro prossimo.
Vivere, quindi, in prima linea lamore del prossimo come espressione
della nostra fede. Io penso che questa sia già una testimonianza fortissima
e anche una forma di annuncio: vivere realmente con questi altri lamore
del prossimo, riconoscere in questi, in loro, il nostro prossimo, così
che loro possano vedere: questo amore del prossimo è per
me. Se succede questo, più facilmente potremo presentare la fonte di
questo nostro comportamento, che cioè lamore del prossimo è
espressione della nostra fede. Così nel dialogo non si può subito
passare ai grandi misteri della fede, benché i musulmani abbiano una
certa conoscenza di Cristo, che nega la sua divinità, ma riconosce
in Lui almeno un grande profeta. Hanno amore per la Madonna. Quindi, ci sono
elementi comuni anche nella fede, che sono punti di partenza per il dialogo.
Una cosa pratica e realizzabile, necessaria, è soprattutto cercare
lintesa fondamentale sui valori da vivere. Anche qui abbiamo un tesoro
comune, perché vengono dalla religione abramitica, reinterpretata,
rivissuta in modi che sono da studiare, ai quali dobbiamo infine rispondere.
Ma la grande esperienza sostanziale, quella dei Dieci Comandamenti, è
presente e questo mi sembra il punto da approfondire. Passare ai grandi misteri
mi sembra un livello non facile, che non si realizza nei grandi incontri.
Il seme deve forse entrare nel cuore, così che la risposta della fede
in dialoghi più specifici possa maturare qua e là. Ma ciò
che possiamo e dobbiamo fare è cercare il consenso sui valori fondamentali,
espressi nei Dieci comandamenti, riassunti nellamore del prossimo e
nellamore di Dio, e così interpretabili nei diversi settori della
vita. Siamo almeno in un cammino comune verso il Dio di Abramo, di Isacco
e di Giacobbe, il Dio che è finalmente il Dio dal volto umano, il Dio
presente in Gesù Cristo. Ma se questultimo passo è da
fare piuttosto in incontri intimi, personali o di piccoli gruppi, il cammino
verso questo Dio, dal quale vengono questi valori che rendono possibile la
vita comune, questo mi sembra sia fattibile anche in incontri più grandi.
Quindi, mi sembra che qui si realizzi una forma di annuncio umile, paziente,
che aspetta, ma che anche rende già concreto il nostro vivere secondo
la coscienza illuminata da Dio.
D. Sono don Samuele. Abbiamo accolto il suo invito a pregare, a
curare e ad annunciare. Ci siamo permessi già di prenderla sul serio
nel prenderci cura della sua persona e in una manifestazione di affetto le
abbiamo portato qualche bottiglia di sano vino della nostra terra, che le
faremo avere attraverso le mani del nostro vescovo. Vengo alla domanda. Assistiamo
sempre più ad un ingente incremento di situazioni di persone divorziate
che si risposano, convivono e che chiedono una mano per la loro vita spirituale
a noi sacerdoti. Sono persone che spesso portano con loro la sofferta domanda
di accedere ai sacramenti. Sono realtà che ci chiedono un confronto
ed anche una condivisione delle sofferenze che esse comportano. Le chiedo,
Santo Padre, con quali atteggiamenti umani, spirituali, pastorali poter mettere
insieme misericordia e verità. Grazie.
R. Sì, è un problema doloroso e la ricetta semplice,
che lo risolva, certamente non cè. Soffriamo tutti di questo
problema, perchè tutti abbiamo vicino a noi persone in queste situazioni
e sappiamo che per loro è un dolore e una sofferenza, perché
vogliono stare in piena comunione con la Chiesa. Questo vincolo del matrimonio
precedente è un vincolo che riduce la loro partecipazione alla vita
della Chiesa. Cosa fare? Direi: un primo punto sarebbe naturalmente la prevenzione,
per quanto possibile. La preparazione al matrimonio, quindi, diventa sempre
più fondamentale e necessaria. Il Diritto Canonico suppone che luomo
come tale, anche senza grande istruzione, intenda fare un matrimonio secondo
la natura umana, come indicato nei primi capitoli della Genesi. E uomo,
ha la natura umana, e quindi sa che cosa sia il matrimonio. Intende fare quanto
gli dice la natura umana. Da questa presunzione parte il Diritto Canonico.
E una cosa che si impone: luomo è uomo, la natura è
quella e gli dice questo. Ma oggi questo assioma secondo cui luomo intende
fare quanto è nella sua natura, un matrimonio unico, fedele, si trasforma
in un assioma un po diverso. Volunt contrahere matrimonium sicut
ceteri homines. Non è semplicemente più la natura che
parla, ma i ceteri homines, quanto fanno tutti. E quanto fanno
oggi tutti non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo
il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i ceteri homines
è sposarsi con lidea che un giorno il matrimonio possa fallire
e si possa così passare ad un altro, ad un terzo e ad un quarto matrimonio.
Questo modello come fanno tutti diventa così un modello
in contrasto con quanto dice la natura. Diventa così normale sposarsi,
divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura
umana o comunque si trova difficilmente uno che pensi così. Perciò
per aiutare ad arrivare realmente al matrimonio, non solo nel senso della
Chiesa, ma del Creatore, dobbiamo riparare la capacità di ascoltare
la natura. Ritorniamo al primo quesito, alla prima domanda. Riscoprire dietro
a ciò che fanno tutti, quanto ci dice la natura stessa, che parla in
modo diverso da questa abitudine moderna. Ci invita, infatti, al matrimonio
per la vita, in una fedeltà per la vita, anche con le sofferenze del
crescere insieme nellamore. Quindi, questi corsi preparatori al matrimonio
dovrebbero essere un riparare la voce della natura, del Creatore, in noi,
riscoprire dietro a quanto fanno tutti i ceteri homines, quanto
ci dice intimamente il nostro stesso essere. In questa situazione, quindi,
fra quanto fanno tutti e quanto dice il nostro essere, i corsi preparatori
devono essere un cammino di riscoperta, per reimparare quanto il nostro essere
ci dice, aiutare ad arrivare ad una vera decisione per il matrimonio secondo
il Creatore e secondo il Redentore. Quindi, questi corsi preparatori per imparare
se stessi, per imparare la vera volontà matrimoniale, sono di
grande importanza. Ma non basta la preparazione, le grandi crisi vengono dopo.
Quindi, un permanente accompagnare, almeno nei primi dieci anni, è
molto importante. Perciò, in parrocchia, bisogna non solo curare i
corsi di preparazione, ma la comunione nel cammino dopo, laccompagnarsi,
laiutarsi reciprocamente. Che i sacerdoti, ma non solo, anche le famiglie,
che hanno già fatto queste esperienze, che conoscono queste sofferenze,
queste tentazioni, siano presenti nei momenti di crisi. E importante
la presenza di una rete di famiglie che si aiutano e diversi movimenti possono
recare un grande contributo. La prima parte della mia risposta vede il prevenire,
non solo nel senso di preparare, ma di accompagnare, la presenza di una rete
di famiglie che aiuti questa situazione moderna, dove tutto parla contro la
fedeltà a vita. Bisogna aiutare a trovare, ad imparare anche con sofferenza,
questa fedeltà. In caso, tuttavia, di fallimento, che cioè gli
sposi non si mostrino capaci di stare alla prima volontà, cè
sempre la questione se fosse realmente una volontà, nel senso del sacramento.
E quindi cè eventualmente il processo per la dichiarazione di
nullità. Se era un vero matrimonio e quindi non possono risposarsi,
la permanente presenza della Chiesa aiuta queste persone a sopportare unaltra
sofferenza. Nel primo caso, abbiamo la sofferenza di superare questa crisi,
di imparare una fedeltà sofferta e matura. Nel secondo caso, abbiamo
la sofferenza di stare in un vincolo nuovo, che non è quello sacramentale
e che non permette quindi la comunione piena nei sacramenti della Chiesa.
Qui, sarebbe da insegnare e da imparare a vivere con questa sofferenza. Ritorneremo,
a questo punto, nella prima domanda dellaltra diocesi. Dobbiamo generalmente,
nella nostra generazione, nella nostra cultura, riscoprire il valore della
sofferenza, imparare che la sofferenza può essere una realtà
molto positiva, che ci aiuta a maturare, a divenire più noi stessi,
più vicini al Signore che ha sofferto per noi e soffre con noi. Anche
in questa seconda situazione, quindi, la presenza del sacerdote, delle famiglie,
dei movimenti, la comunione personale e comunitaria in queste situazioni,
laiuto dellamore del prossimo, un amore molto specifico, è
di grandissima importanza. E penso che solo questo amore sentito della Chiesa,
che si realizza in un accompagnamento molteplice, possa aiutare queste persone
a riconoscersi amate da Cristo, membri della Chiesa anche se in una situazione
difficile, e così vivere la fede.
D. Santità, io mi chiamo don Saverio e quindi la domanda
verte certamente sulle missioni. Ricorrono 50 anni questanno dellEnciclica
Fidei donum. Accogliendo linvito del Papa, molti sacerdoti anche della
nostra diocesi ed io compreso hanno vissuto, abbiamo vissuto e stanno vivendo
lesperienza della missione ad gentes. Esperienza, questa, senza dubbio
straordinaria e che a mio modesto parere potrebbero vivere tanti preti nellottica
dello scambio tra Chiese sorelle. Data però la riduzione numerica dei
sacerdoti nei nostri Paesi, come lindicazione dellEnciclica è
ancora attuale oggi e con quale spirito accoglierla e viverla sia da parte
dei sacerdoti inviati, sia da parte dellintera diocesi? Grazie.
R. Grazie. Vorrei anzitutto dire grazie a tutti questi sacerdoti fidei
donum e alle diocesi. Adesso ho avuto, come già accennato, tante visite
ad Limina sia dei vescovi dellAsia, che dellAfrica e dellAmerica
Latina e tutti mi chiedono: Abbiamo tanto bisogno di sacerdoti fidei
donum e siamo gratissimi per il lavoro che fanno, rendendo presente, in situazioni
spesso difficilissime, la cattolicità della Chiesa, la visibilità
del fatto che siamo una grande comunione, universale e cè un
amore del prossimo lontano che diventa prossimo nella situazione del sacerdote
fidei donum. Questo grande dono che è stato realmente fatto in questi
50 anni, lo ho sentito e visto quasi in modo palpabile in tutti i miei dialoghi
con i sacerdoti, che ci dicono non pensate che noi africani adesso siamo
semplicemente autosufficienti; abbiamo sempre bisogno della visibilità
della grande comunione della Chiesa universale. Direi che noi tutti
abbiamo bisogno di questa visibilità dellessere cattolici, di
un amore del prossimo che arriva da lontano e trova così il prossimo.
Oggi la situazione è cambiata nel senso che anche noi riceviamo in
Europa sacerdoti provenienti dallAfrica, dallAmerica Latina, da
altre parti dellEuropa stessa e questo ci permette di vedere la bellezza
di questo scambio dei doni, di questo dono dalluno allaltro, perché
tutti abbiamo bisogno di tutti: proprio così cresce il Corpo di Cristo.
Per riassumere, vorrei dire che questo dono era ed è un grande dono,
percepito come tale nella Chiesa: in tante situazioni che adesso non posso
descrivere, in cui vi sono problemi sociali, problemi di sviluppo, problemi
di annuncio della fede, problemi di isolamento, di bisogno della presenza
di altri, questi sacerdoti sono un dono nel quale le diocesi e le Chiese particolari
riconoscono la presenza di Cristo che si dona per noi e riconoscono al contempo
che la Comunione eucaristica non è solo comunione soprannaturale, ma
diventa comunione concreta in questo donarsi di sacerdoti diocesani, che si
fanno presenti in altre diocesi e che la rete delle Chiese particolari diventa
così una rete realmente di amore. Grazie a tutti coloro che hanno fatto
questo dono. Io posso soltanto incoraggiare i Vescovi ed i sacerdoti a continuare
con questo dono. Io so che adesso, con la mancanza di vocazioni, in Europa
diventa sempre più difficile fare questo dono; ma abbiamo già
lesperienza che altri continenti, come lIndia e lAfrica
soprattutto, ci danno anche da parte loro dei sacerdoti. La reciprocità
rimane sempre molto importante e proprio lesperienza che siamo Chiesa
inviata al mondo e che tutti conoscono tutti ed amano tutti è molto
necessaria ed è anche la forza dellannuncio. Così diventa
visibile che il grano di senape porta frutto e diventa sempre e di nuovo un
grande albero in cui gli uccelli del cielo trovano riposo. Grazie e coraggio.
D. Don Alberto. Santo Padre, i giovani sono il nostro futuro e la
nostra speranza: ma alle volte vedono nella vita non unopportunità,
ma una difficoltà; non un dono per sé e per gli altri, ma un
qualcosa da consumare subito; non un progetto da costruire, ma un vagare senza
meta. La mentalità di oggi impone ai giovani di essere sempre felici
e perfetti, con la conseguenza che ogni piccolo fallimento ed ogni minima
difficoltà non sono più visti come motivo di crescita, ma come
una sconfitta. Tutto questo li porta spesso a gesti irrimediabili come il
suicidio, che provocano una lacerazione nel cuore di coloro che li amano e
dellintera società. Cosa può dire a noi educatori che,
spesso, ci sentiamo con le mani legate e senza risposte? Grazie.
R. Lei mi sembra che abbia dato una precisa descrizione di una vita
nella quale Dio non appare. In un primo momento sembra che non abbiamo bisogno
di Dio, anzi che, senza Dio saremmo più liberi e il mondo sarebbe più
ampio. Ma dopo un certo tempo, nelle nostre nuove generazioni, si vede cosa
succede, quando Dio scompare. Come Nietzsche ha detto La grande
luce si è spenta, il sole si è spento. La vita allora
è una cosa occasionale, diventa una cosa e devo cercare di fare il
meglio con questa cosa e usare la vita come fosse una cosa per una felicità
immediata, toccabile e realizzabile. Ma il grande problema è che se
Dio non cè e non è il Creatore anche della mia vita, in
realtà la vita è un semplice pezzo dellevoluzione, nientaltro,
non ha senso di per sé stessa. Ma io devo invece cercare di mettere
senso in questo pezzo di essere. Vedo attualmente in Germania, ma anche negli
Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo
e levoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono:
chi crede nel Creatore non potrebbe pensare allevoluzione e chi invece
afferma levoluzione dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione
è unassurdità, perché da una parte ci sono tante
prove scientifiche in favore di unevoluzione che appare come una realtà
che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dellessere
come tale. Ma la dottrina dellevoluzione non risponde a tutti i quesiti
e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto?
e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente alluomo? Mi
sembra molto importante, questo volevo dire anche a Ratisbona nella mia lezione,
che la ragione si apra di più, che veda sì questi dati, ma che
veda anche che non sono sufficienti per spiegare tutta la realtà. Non
è sufficiente, la nostra ragione è più ampia e può
vedere anche che la ragione nostra non è in fondo qualcosa di irrazionale,
un prodotto della irrazionalità, ma che la ragione precede tutto, la
ragione creatrice, e che noi siamo realmente il riflesso della ragione creatrice.
Siamo pensati e voluti e, quindi, cè una idea che mi precede,
un senso che mi precede e che devo scoprire, seguire e che dà finalmente
significato alla mia vita. Mi sembra questo il primo punto: scoprire che realmente
il mio essere è ragionevole, è pensato, ha un senso e la mia
grande missione è scoprire questo senso, viverlo e dare così
un nuovo elemento alla grande armonia cosmica pensata dal Creatore. Se è
così, allora anche gli elementi di difficoltà diventano momenti
di maturità, di processo e di progresso del mio stesso essere, che
ha senso dal suo concepimento fino allultimo momento di vita. Possiamo
conoscere questa realtà del senso precedente a tutti noi, possiamo
anche riscoprire il senso della sofferenza e del dolore; certamente cè
un dolore che dobbiamo evitare e che dobbiamo allontanare dal mondo: tanti
dolori inutili provocati dalle dittature, dai sistemi sbagliati, dallodio
e dalla violenza. Ma cè anche nel dolore un senso profondo e
solo se possiamo dare senso al dolore e alla sofferenza può maturare
la nostra vita. Direi soprattutto che non è possibile lamore
senza il dolore, perché lamore implica sempre una rinuncia a
me, un lasciare me, un accettare laltro nella sua alterità, implica
un dono di me e, quindi, un uscire da me stesso. Tutto questo è dolore,
sofferenza, ma proprio in questa sofferenza del perdermi per laltro,
per lamato e quindi per Dio, divento grande e la mia vita trova lamore
e nellamore il suo senso. Anche linscindibilità di amore
e dolore, di amore e Dio sono elementi che devono entrare nella coscienza
moderna per aiutarci a vivere. In questo senso direi che è importante
far scoprire ai giovani Dio, far scoprire loro lamore vero che proprio
nella rinuncia diventa grande e così far scoprire loro anche la bontà
interiore della sofferenza, che mi rende più libero e più grande.
Naturalmente per aiutare i giovani a trovare questi elementi cè
sempre bisogno di compagnia e di commino, sia la parrocchia o lAzione
Cattolica o un Movimento, solo in compagnia con gli altri possiamo anche scoprire
nelle nuove generazioni questa grande dimensione del nostro essere.
D. Sono don Francesco. Santo Padre, mi ha molto colpito una frase
che ha scritto nel suo libro Gesù di Nazaret: Ma
che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo,
il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta
è molto semplice: Dio. Ha portato Dio. Fin qui la
citazione che trovo di una chiarezza e di una verità disarmanti. La
domanda è questa: si parla di nuova evangelizzazione, di nuovo annuncio
del Vangelo - questa è stata anche la scelta principale del Sinodo
della nostra diocesi di Belluno-Feltre ma cosa fare perché questo
Dio, unica ricchezza portata da Gesù e che spesso appare a tanti come
avvolto nella nebbia, possa risplendere ancora fra le nostre case e possa
essere acqua che disseta anche i tanti che sembrano non avere più sete?
Grazie.
R. Grazie. Domanda fondamentale. La domanda fondamentale del nostro
lavoro pastorale è come portare Dio al mondo, ai nostri contemporanei.
Evidentemente questo portare Dio è una cosa multidimensionale: già
nellannuncio, nella vita e nella morte di Gesù, vediamo come
si sviluppa in tante dimensioni questo Unico. Mi sembra che dobbiamo sempre
tenere le due cose: da una parte lannuncio cristiano, il cristianesimo
non è un pacchetto complicatissimo di tanti dogmi, così che
nessuno può conoscerli tutti; non è cosa solo per accademici,
che possono studiare queste cose, ma è cosa semplice: Dio cè
e Dio è vicino in Gesù Cristo. Così Gesù Cristo
stesso ha detto, riassumendo, è arrivato il Regno di Dio. Questo annunciamo.
Una cosa, in fondo, semplice. Tutte le dimensioni che poi si mostrano sono
dimensioni dellunica cosa e non tutti devono conoscere tutto, ma certamente
devono entrare nellintimo e nellessenziale, così si aprono
con una sempre crescente gioia anche le diverse dimensioni. Ma adesso come
fare in concreto? Mi sembra che, parlando del lavoro pastorale oggi, ne abbiamo
già toccato i punti essenziali. Ma per continuare in questo senso,
portare Dio implica soprattutto - da una parte - lamore e - dallaltra
- la speranza e la fede. Quindi la dimensione della vita vissuta, la migliore
testimonianza per Cristo, il miglior annuncio è sempre la vita di veri
cristiani. Se vediamo famiglie nutrite dalla fede come vivono nella gioia,
come vivono anche la sofferenza in una profonda e fondamentale gioia, come
aiutano gli altri, amando Dio e il prossimo, mi sembra che questo sia oggi
lannuncio più bello. Anche per me lannuncio più
confortante è sempre quello di vedere le famiglie cattoliche o le personalità
cattoliche che sono penetrate dalla fede: risplende in loro realmente la presenza
di Dio e arriva questa acqua viva della quale Lei ha parlato.
Quindi lannuncio fondamentale è proprio quello della vita stessa
dei cristiani. Naturalmente cè poi lannuncio della Parola.
Dobbiamo fare tutto perché la Parola sia ascoltata, sia conosciuta.
Oggi ci sono tante scuole della Parola e del colloquio con Dio nella Sacra
Scrittura, colloquio che diventa necessariamente anche preghiera, perché
uno studio puramente teorico della Sacra Scrittura è un ascolto solo
intellettuale e non sarebbe un vero e sufficiente incontro con la Parola di
Dio. Se è vero che nella Scrittura e nella Parola di Dio è il
Signore Dio Vivente che parla con noi, provoca la risposta e la preghiera,
allora le scuole della Scrittura devono essere anche scuole della preghiera,
del dialogo con Dio, dellavvicinarsi intimamente a Dio. Quindi, tutto
lannuncio. Poi naturalmente direi i Sacramenti. Con Dio vengono sempre
anche tutti i Santi. E importante questo ci dice la Sacra Scrittura
sin dallinizio Dio non viene mai da solo, ma viene accompagnato
e circondato dagli Angeli e dai Santi. Nella grande vetrata di San Pietro
che raffigura lo Spirito Santo mi piace tanto il fatto che Dio è circondato
da una folla di angeli e di esseri viventi, che sono espressione e emanazione
per così dire dellamore di Dio. Con Dio, con Cristo,
con luomo che è Dio e con Dio che è uomo, arriva la Madonna.
Questo è molto importante. Dio, il Signore, ha una Madre e nella Madre
riconosciamo realmente la bontà materna di Dio. La Madonna, la Madre
di Dio, è lausilio dei cristiani, è la nostra permanente
consolazione, è il nostro grande aiuto. Questo lo vedo anche nel dialogo
con i vescovi del mondo, dellAfrica ed ultimamente anche dellAmerica
Latina, che lamore per la Madonna è la grande forza della cattolicità.
Nella Madonna riconosciamo tutta la tenerezza di Dio e, quindi, coltivare
e vivere questo gioioso amore della Madonna, di Maria, è un dono della
cattolicità molto grande. E poi ci sono i Santi, ogni luogo ha il suo
Santo. Questo va bene così, perché così vediamo i molteplici
colori dellunica luce di Dio e del suo amore, che si avvicina a noi.
Scoprire i Santi nella loro bellezza, nel loro avvicinarsi nella Parola a
me, poiché in un determinato Santo, posso trovare tradotta proprio
per me la Parola inesauribile di Dio. E poi tutti gli aspetti della vita parrocchiale,
anche quelli umani. Non dobbiamo essere sempre nelle nuvole, nelle altissime
nuvole del Mistero, dobbiamo essere anche con i piedi per terra e vivere insieme
la gioia di essere una grande famiglia: la piccola grande famiglia della parrocchia;
la grande famiglia della diocesi, la grande famiglia della Chiesa universale.
A Roma posso vedere tutto questo, posso vedere come persone provenienti da
tutte le parti della terra e che non si conoscono, in realtà si conoscono,
perché sono tutti parte della famiglia di Dio, sono vicini perché
hanno tutto: lamore del Signore, lamore della Madonna, lamore
dei Santi, la successione apostolica e il successore di Pietro, i vescovi.
Direi che questa gioia della cattolicità, con i suoi molteplici colori,
è anche la gioia della bellezza. Abbiamo qui la bellezza di un bellorgano;
la bellezza di una bellissima chiesa, la bellezza cresciuta nella Chiesa.
Mi sembra una meravigliosa testimonianza della presenza e della verità
di Dio. La Verità si esprime nella bellezza e dobbiamo essere grati
per questa bellezza e cercare di fare tutto il possibile perché rimanga
presente, si sviluppi e cresca ancora. Così mi sembra che arrivi Dio,
in modo molto concreto, in mezzo a noi.
D. Sono don Lorenzo, parroco. Santo Padre, dai sacerdoti i fedeli
attendono soltanto una cosa: che siano specialisti nel promuovere lincontro
delluomo con Dio. Non sono parole mie, ma di Sua Santità in un
intervento al clero. Il mio padre spirituale in seminario, durante quelle
faticosissime sedute di direzione spirituale, mi diceva: Lorenzino,
umanamente ci siamo, ma
. e quando diceva ma intendeva
dire che a me piaceva più giocare al pallone che fare ladorazione
eucaristica. E questo non faceva bene alla mia vocazione, che non era bello
contestare le lezioni di morale e di diritto, perché i professori ne
sapevano più di me. E con quel ma chissà cosaltro
voleva intendere. Ora lo penso in cielo e gli dico comunque qualche requiem.
Malgrado tutto ciò, sono 34 anni che sono prete e ne sono anche felice:
miracoli non ne ho fatti, disastri conosciuti nemmeno, sconosciuti forse.
Umanamente ci siamo, per me è un grande complimento. Ma
avvicinare luomo a Dio e Dio alluomo non passa soprattutto attraverso
quanto chiamiamo umanità che è irrinunciabile, anche per noi
preti?
R. Grazie. Direi semplicemente sì a quanto Lei ha detto alla
fine. Il cattolicesimo, un po semplicisticamente, è stato sempre
considerato la religione del grande et et: non di grandi esclusivismi, ma
della sintesi. Cattolico vuole dire proprio sintesi. Perciò
sarei contro una alternativa o giocare al pallone o studiare la Sacra Scrittura
o il Diritto Canonico. Facciamo ambedue le cose. E bello fare lo sport,
io non sono un grande sportivo, ma magari andare in montagna mi piaceva quando
ero ancora più giovane, adesso faccio solo camminate molto facili,
ma sempre trovo molto bello camminare qui in questa bella terra che il Signore
ci ha dato. Quindi non possiamo sempre vivere nella meditazione alta, forse
un Santo nellultimo gradino del suo cammino terrestre può arrivare
a questo punto, ma normalmente viviamo con i piedi per terra e gli occhi verso
il cielo. Ambedue le cose ci sono date dal Signore e quindi amare le cose
umane, amare le bellezze della sua terra non solo è molto umano, ma
è anche molto cristiano e proprio cattolico. Direi che e mi
sembra di averlo già accennato prima ad una pastorale buona
e realmente cattolica appartiene anche questo aspetto: vivere nellet
et; vivere lumanità e lumanesimo delluomo, tutti
i doni che il Signore ci ha dato e che abbiamo sviluppato e, nello stesso
tempo, non dimenticare Dio, perché alla fine la luce grande viene da
Dio e soltanto da Lui viene poi la luce che dà gioia a tutti questi
aspetti delle cose che ci sono. Quindi vorrei semplicemente impegnarmi per
la grande sintesi cattolica, per questo et et; essere veramente
uomo ed ognuno secondo i suoi doni e secondo il suo carisma amare la terra
e le belle cose che il Signore ci ha dato, ma essere anche grati perché
sulla terra splende la luce di Dio, che dà splendore e bellezza a tutto
il resto. Viviamo in questo senso gioiosamente la cattolicità. Questa
sarebbe la mia risposta.
(Applausi)
D. Mi chiamo don Arnaldo. Santo Padre, esigenze pastorali e di ministero,
oltre al diminuito numero di sacerdoti, sollecitano i nostri vescovi a rivedere
la distribuzione del clero, spesso accumulando impegni e più parrocchie
nella stessa persona. Ciò tocca la sensibilità di tante comunità
di battezzati e la disponibilità di noi sacerdoti a vivere insieme
preti e laici il ministero pastorale. Come vivere questo cambiamento
di organizzazione pastorale, privilegiando la spiritualità del buon
Pastore? Grazie, Santità
R. Sì, ritorniamo a questa questione delle priorità pastorali
e come oggi fare il parroco. Poco tempo fa, un Vescovo francese, che era religioso
e quindi non è stato mai parroco, mi ha detto: Santità,
vorrei che Lei mi chiarisse che cosa è un parroco. Noi in Francia abbiamo
queste grandi unità pastorali con 5-6-7 parrocchie e il parroco diventa
un coordinatore di organismi, di lavori diversi, ma gli sembrava che,
essendo talmente occupato con il coordinamento di questi diversi enti con
i quali ha da fare, non avesse più la possibilità dellincontro
personale con le sue pecorelle e lui, essendo Vescovo e quindi un grande parroco,
si domandava se questo sistema è giusto o se non dovremmo ritrovare
una possibilità affinché il parroco sia realmente parroco e
quindi pastore del suo gregge. Naturalmente non potevo immediatamente dare
una ricetta per risolvere questa situazione della Francia, ma il problema
si pone in generale, che il parroco nonostante nuove situazioni e nuove forme
di responsabilità non perda la vicinanza con la gente, lessere
realmente in persona il pastore di questo gregge affidatogli dal Signore.
Le situazioni sono diverse: penso ai vescovi nelle loro diocesi con situazioni
molto diverse; essi devono vedere bene come assicurare che il parroco rimanga
pastore e non diventi un burocrate sacro. In ogni caso mi sembra che una prima
opportunità nella quale possiamo essere presenti alle persone affidateci
sia proprio la vita sacramentale: nellEucaristia siamo insieme e possiamo
e dobbiamo incontrarci; il Sacramento della penitenza e della riconciliazione
è un incontro personalissimo; così come lo è il Battesimo
che è un incontro personale e non solo il momento del conferimento
del Sacramento. Questi Sacramenti direi che hanno tutti un contesto: battezzare
vuole dire prima catechizzare un po questa giovane famiglia, parlare
con loro così che il Battesimo sia anche un incontro personale ed unoccasione
per una catechesi molto concreta. Così come la preparazione alla Prima
Comunione, alla Cresima e al Matrimonio sono sempre occasioni dove realmente
il parroco, il sacerdote, in persona incontra le persone; è il predicatore
ed è lamministratore dei Sacramenti in un senso che implica sempre
la dimensione umana. Il Sacramento non è mai soltanto un atto rituale,
ma latto rituale e sacramentale è il condensamento di un contesto
umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco. Mi sembra poi molto importante
trovare dei sistemi giusti di delega. Non è giusto che il parroco debba
fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in modi
diversi e certamente nei Sinodi e qui in diocesi avete avuto il Sinodo
si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché
da una parte conservi la responsabilità di questa totalità dellunità
pastorale affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate
che coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collaboratori.
Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio:
la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più
soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo
parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco
non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore
affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive
la parrocchia. Direi quindi che - da una parte - questo coordinamento e questa
responsabilità vitale di tutta la parrocchia e dallaltra
parte la vita sacramentale e di annuncio come centro della vita parrocchiale
potrebbero consentire anche oggi, in circostanze certamente più difficili,
di essere il parroco che non conosce forse tutti per nome, come il Signore
ci dice del Buon Pastore, ma conosce realmente le sue pecorelle ed è
realmente il pastore che le chiama e che le guida.
D. Io ho lultima domanda e sarei molto tentato di metterla
via, perché si tratta di una domanda piccola e dopo nove volte che
vostra Santità ha saputo trovare la strada per parlarci di Dio e portarci
molto molto in alto, mi pare quasi banale e povero quello che sto per chiederle,
ma ormai lo faccio. Si tratta di una parola per quelli della mia generazione,
per noi che ci siamo preparati durante gli anni del Concilio, poi siamo partiti
con entusiasmo e forse anche con la pretesa di cambiare il mondo, abbiamo
anche lavorato tanto ed oggi siamo un po in difficoltà, perché
stanchi, perché non si sono realizzati molti sogni ed anche perché
ci sentiamo un po isolati. I più anziani ci dicono Vedete
che avevamo ragione noi ad essere più prudenti ed i giovani qualche
volta ci trattano da nostalgici del Concilio. La nostra domanda
è questa: Possiamo ancora portare un dono alla nostra Chiesa,
specialmente con quellattaccamento alla gente che ci sembra ci abbia
contraddistinto? Ci aiuti a riprendere speranza e serenità
.
R. Grazie, è una domanda importante e che io conosco molto bene.
Anchio ho vissuto i tempi del Concilio, essendo nella Basilica di San
Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano nuove porte e pareva
realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere
lumanità, dopo lallontanamento del mondo dalla Chiesa nellOttocento
e nel Novecento, sembrava si rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che
rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una Chiesa del mondo e veramente
aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono
rivelate più difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del
Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta
del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale. Ma perché
è andata così? Prima vorrei forse cominciare con unosservazione
storica. I tempi di un post-Concilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo
il grande Concilio di Nicea - che per noi è realmente il fondamento
della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea
non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come
aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione
realmente caotica di lite di tutti contro tutti. San Basilio nel suo libro
sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di
Nicea ad una battaglia navale di notte dove nessuno più conosce laltro,
ma tutti sono contro tutti. Era realmente una situazione di caos totale: così
descrive con colori forti il dramma del dopo Concilio, del dopo Nicea, San
Basilio. Poi 50 anni dopo, per il Concilio primo di Costantinopoli, limperatore
invita San Gregorio Nazianzeno a partecipare al Concilio e San Gregorio Nazianzeno
risponde: No, non vengo, perché io conosco queste cose, so che da tutti
i Concili nasce solo confusione e battaglia, quindi non vengo. E non è
andato. Quindi non è adesso, in retrospettiva, una sorpresa così
grande come era nel primo momento per noi tutti digerire il Concilio, questo
grande messaggio. Immetterlo nella vita della Chiesa, riceverlo, così
che diventi vita della Chiesa, assimilarlo nelle diverse realtà della
Chiesa, è una sofferenza, e solo nella sofferenza si realizza anche
la crescita. Crescere è sempre anche soffrire, perché è
uscire da uno stato e passare ad un altro. E nel concreto del dopo-Concilio
dobbiamo constatare che vi sono due grandi cesure storiche. Nel dopo-Concilio,
la cesura del 68, linizio o lesplosione - oserei dire -
della grande crisi culturale dellOccidente. Era finita la generazione
del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo lorrore
della guerra, del combattersi e constatando il dramma delle queste grandi
ideologie che avevano realmente condotto le persone verso il baratro della
guerra, avevamo riscoperto le radici cristiane dellEuropa e avevamo
cominciato a ricostruire lEuropa con queste ispirazioni grandi. Ma finita
questa generazione si vedevano anche tutti i fallimenti, le lacune di questa
ricostruzione, la grande miseria nel mondo e così comincia, esplode
la crisi della cultura occidentale, direi una rivoluzione culturale che vuole
cambiare radicalmente. Dice: non abbiamo creato, in duemila anni di cristianesimo,
il mondo migliore. Dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo;
il marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo.
E in questo diciamo grave, grande scontro tra la nuova, sana
modernità voluta dal Concilio e la crisi della modernità, diventa
tutto difficile come dopo il primo Concilio di Nicea. Una parte era del parere
che questa rivoluzione culturale era quanto aveva voluto il Concilio, identificava
questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà del Concilio;
diceva: questo è il Concilio. Nella lettera i testi sono ancora un
po antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo spirito, questo
è la volontà del Concilio, così dobbiamo fare. E dallaltra
parte, naturalmente, la reazione: così distruggete la Chiesa. La reazione
diciamo assoluta contro il Concilio, la anti-conciliarità
e diciamo la timida, umile ricerca di realizzare il vero spirito
del Concilio. E come dice un proverbio Se cade un albero fa grande rumore,
se cresce una selva non si sente niente perché si sviluppa un processo
senza rumore e quindi durante questi grandi rumori del progressismo
sbagliato, dellanti-conciliarismo cresce molto silenziosamente, con
tante sofferenze e anche con tante perdite nella costruzione di un nuovo passaggio
culturale, il cammino della Chiesa. E poi la seconda cesura nell89.
Il crollo dei regimi comunisti, ma la risposta non fu il ritorno alla fede,
come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa
con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo
scetticismo totale, la cosiddetta post-modernità. Niente è vero,
ognuno deve vedere come vivere, si afferma un materialismo, uno scetticismo
pseudo-razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi
problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché
è così semplice, così evidente. No, non cè
nulla di vero. La verità è intollerante, non possiamo prendere
questa strada. Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima,
la rivoluzione culturale del 68, la seconda, la caduta potremmo dire
nel nichilismo dopo l89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni
del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada
dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo imparare
che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo. Il Concilio aveva detto di
rinunciare al trionfalismo e aveva pensato al barocco, a tutte queste
grandi culture della Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo.
Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo
le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo.
Ma lumiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche
questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso
nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è
sempre umile e proprio così è grande e gioiosa. Mi sembra molto
importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è anche
cresciuto di positivo nel dopo Concilio: nel rinnovamento della liturgia,
nei Sinodi, Sinodi romani, Sinodi universali, Sinodi diocesani, nelle strutture
parrocchiali, nella collaborazione, nella nuova responsabilità dei
laici, nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale,
in una nuova esperienza della cattolicità della Chiesa, dellunanimità
che cresce in umiltà e tuttavia è la vera speranza del mondo.
E così dobbiamo, mi sembra, riscoprire la grande eredità del
Concilio che non è uno spirito ricostruito dietro i testi, ma sono
proprio i grandi testi conciliari riletti adesso con le esperienze che abbiamo
avuto e che hanno portato frutto in tanti movimenti, tante nuove comunità
religiose. In Brasile sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come
sembra un po sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato
ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità
religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le sette. Cresce la
Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, non così da
riempire le statistiche - questa è una speranza falsa, la statistica
non è la nostra divinità - ma crescono negli animi e creano
la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche
vero sviluppo del mondo e della società. Quindi mi sembra che dobbiamo
combinare la grande umiltà del Crocifisso, di una Chiesa che è
sempre umile e sempre contrastata dai grandi poteri economici, militari ecc.,
ma dobbiamo imparare insieme con questa umiltà anche il vero trionfalismo
della cattolicità che cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la
presenza del Crocifisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è
ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà il suo soffio che
rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra povertà. E direi,
in questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto,
che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare
avanti gioiosamente e pieni di speranza.