12 MAGGIO 2007
FAMILY DAY
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2006
60
I discorsi dei portavoce del Family Day: Giovanni Gacobbe, Eugenia Roccella
e Savino Pezzotta.
INTERVENTO di GIOVANNI GIACOBBE
Quindici anni fa nasceva, da una grande intuizione, il Forum delle Associazioni
familiari. Ed eccoci oggi qui in questa piazza italiana. Grazie a tutti voi
che siete venuti da lontano, da ogni parte dItalia, per esprimere il
vostro amore per la famiglia.
Io qui rappresento le 41 associazioni che fanno parte del Forum e, grazie
a loro, alcuni milioni di famiglie che si riconoscono nella nostra azione.
E stata una lunga marcia, ma è bello oggi poter condividere i
nostri desideri e le nostre aspirazioni con tutti voi, con le associazioni,
con i movimenti, con le nuove realtà ecclesiali italiane. Ma anche
con tanti amici non credenti e con una moltitudine di laici che come noi amano
la famiglia fondata sul matrimonio e aperta allaccoglienza dei figli.
Sappiamo che un giorno come questo è un premio per tutto limpegno
sociale, culturale e politico che in questi anni il Forum ha saputo mettere
in campo, anche attraverso lazione dei 20 forum regionali. E per questo
il nostro grazie è ancora più sentito, perché ci consente
di parlare con più forza e determinazione al Paese intero e alle sue
classi dirigenti.
Oggi siamo qui perché più forte risuoni la voce delle famiglie
italiane. Esse attendono dai legislatori e dai governanti un disegno organico
di sostegno alla famiglia nella dimensione definita dalla Costituzione italiana,
ovvero come società naturale fondata sul matrimonio. La nostra è
una manifestazione libera da ipoteche di partito. Non può che essere
così: la famiglia è un bene di tutti. Ma noi sappiamo che solo
una buona politica sa riconoscere dovè il bene comune. Noi crediamo
che questo Paese meriti una buona politica e la misureremo sulla sua capacità
di dare attuazione allarticolo 31 della Costituzione. Esso impone alla
Repubblica di predisporre misure di promozione e di sostegno per la famiglia,
al fine di esaltarne il ruolo di cellula essenziale di ogni società
civile. Oltre che di sede naturale per lo sviluppo della persona umana e,
segnatamente, per leducazione dei giovani ai valori fondamentali della
convivenza civile definiti dalla Costituzione repubblicana.
Quella di oggi è davvero una tappa significativa. Vogliamo rilanciare,
con voi e per voi, limpegnativo rapporto con le istituzioni, perché
le politiche familiari si fanno non solo per le famiglie, ma con
le famiglie. Da oggi, insieme, e con più forza chiediamo al mondo della
politica di mettersi in ascolto delle famiglie. Siamo consci del grande privilegio
che ognuno di voi ci concede. Nel dare voce da questo palco ai vostri bisogni,
rinnoviamo davanti a voi il nostro impegno al servizio della famiglia e del
Paese.
Nei giorni che hanno preceduto questo nostro grande evento abbiamo tentato
di mostrare al Paese il vostro volto. Abbiamo provato ad esprimere con le
nostre parole le vostre ansie. Speriamo di non aver mai tradito le vostre
attese.
Ma ora vi diciamo che questo nostro incontro non è un punto di arrivo.
Non è un traguardo. E solo un nuovo inizio.
INTERVENTO di EUGENIA ROCCELLA
Cari amici, siamo qui in tanti, siete venuti da tutta Italia, con fatica,
portando con voi le vostre famiglie, rinunciando a una giornata al mare, o
a casa, in tranquillità. Ma avete sentito che questappuntamento
era importante, più importante di una gita, di un sabato in famiglia.
In questi giorni ci hanno chiesto mille volte perché saremmo venuti
a piazza San Giovanni, perché chiedevamo agli italiani di venire. Chiediamocelo
ancora una volta: perché siamo qui? Siamo qui perché abbiamo
nel cuore unesperienza fondamentale, che ci unisce: siamo tutti nati
nel grembo di una donna, generati da un atto damore tra un uomo e una
donna. Siamo tutti figli: laici e cattolici, credenti e non credenti, islamici
ed ebrei, omosessuali ed eterosessuali. E su questo che si fonda lunicità
della famiglia: sulla capacità di tessere un filo di continuità
tra le generazioni, padri, madri, nonni, nipoti, antenati, di collegare passato
e futuro delluomo, di dargli speranza nel domani. La famiglia vuol dire
legami che danno il senso della continuità temporale; ma vuol dire
anche rapporti di prossimità e vicinanza, la capacità di creare
le reti di parentela, cioè gli zii, i cugini, e poi i rapporti di solidarietà
tra famiglie, quelli che costruiscono il senso della comunità. Spesso
accusano la famiglia di essere chiusa, egoista, ma è vero il contrario:
è il cuore delle relazioni tra persone, delle amicizie e delle solidarietà.
Non siamo qui a esibire le nostre famiglie, a ritenerci superiori a qualcuno
o a giudicare gli altri. Le nostre famiglie sono come tutte le altre: belle,
brutte, così così: famiglie in cui si litiga, in cui si soffre,
magari non ci si capisce, e che qualche volta si rompono. Ma sono preziose
in ogni caso, perché proteggono gli individui dallinvadenza dello
stato e del mercato e creano quel senso profondo di appartenenza, di consapevolezza
delle origini, così necessario allo sviluppo dellidentità
individuale, della personalità.
Attraverso la famiglia non si trasmette solo il patrimonio, ma soprattutto
cultura, fede religiosa, tradizioni, lingua, esperienza. La famiglia è
una cellula economica fondamentale, centro che ridistribuisce il reddito non
secondo le capacità, ma secondo i bisogni e gli affetti; ed è
il nucleo primario di qualunque stato sociale, attraverso i compiti di sussidiarietà
che si assume; è in grado di tutelare i deboli, i piccoli, i malati,
i vecchi, e di scambiare protezione e cura nel corso di tutta lesistenza.
Noi non diciamo che chi non si sposa non sia famiglia: lo è certamente
sul piano degli affetti, e nessuno si permette di giudicare i comportamenti
dei singoli. Siamo ancora legati a una vecchissimo principio: chi è
senza peccato scagli la prima pietra. Ma la famiglia, così come la
riconosce la nostra Costituzione, si fonda sul matrimonio, cioè su
un impegno preso davanti alla collettività, un impegno forte di durata,
basato sui doveri reciproci e sulle garanzie per le parti più deboli,
i figli in primo luogo.
Il matrimonio è una costruzione pubblica, e per questo da sempre, in
tutte le civiltà, esiste un rito di festa, in cui sono coinvolti i
parenti, gli amici, la comunità. Si assumono impegni, si fanno promesse,
garantite dai testimoni e sancite dalle autorità religiose oppure civili,
e si dichiara solennemente al mondo che sarà per sempre. Poi certo,
le cose umane declinano, falliscono, ed è giusto prevedere i modi per
riparare ai danni.
Noi siamo qui, da laici, a difendere il matrimonio civile, quello della costituzione,
che si può sciogliere attraverso il divorzio. Ma agli impegni presi
con il matrimonio non ci si può sottrarre con facilità: le responsabilità
restano, coniugi e figli hanno diritti incancellabili, anche quando il matrimonio
si rompe. Il resto, le unioni di fatto, le convivenze, lamore in tutte
le sue mille forme precarie o durature, sono storie di individui, regolate
da diritti individuali, che forse hanno bisogno di qualche correzione, ma
niente di più.
Tutti hanno la libertà di contrarre e sciogliere legami damore,
di vivere le proprie emozioni senza certificarle con il matrimonio, però
cè una strana contraddizione. Chi accusa la famiglia di essere
un luogo di repressione che soffoca le libertà dei singoli, è
spesso la stessa persona che chiede di poterla imitare, di replicarne qualche
regola o rituale. Chi rifiuta il matrimonio e critica lidea che lamore
possa essere riconosciuto dal cosiddetto pezzo di carta è
spesso la stessa persona che pretende almeno un mezzo riconoscimento pubblico,
una firma sul registro, insomma proprio il famoso pezzo di carta. Ma lo ripetiamo:
esiste già il matrimonio civile, che noi siamo qui a difendere, esiste
il divorzio e la possibilità di rifarsi una famiglia.
Diversa è la situazione degli omosessuali, che mi sembra chiedano il
riconoscimento pubblico delle loro unioni non tanto per ottenere alcuni diritti
individuali, che si potrebbero assicurare con altri strumenti, piuttosto come
forma di legittimazione sociale. Ma se vogliamo eliminare ogni discriminazione,
se vogliamo costruire una società dellaccoglienza, dobbiamo alimentare
una cultura che sappia rispettare ogni persona per quello che è. Una
cultura che tuteli la dignità delluomo in qualunque condizione,
anche se non è inserito in una categoria riconoscibile, anche se non
ha nessuna forza politica a difenderlo.
In questo paese la famiglia ha resistito a lungo, nonostante labbandono
in cui è stata lasciata per decenni da parte della politica, e nonostante
sia stata forte, in alcuni momenti storici, quella che è stata definita
la cultura dellantifamiglia, che individuava nellistituzione familiare
la fonte di quasi ogni male sociale. Cè stata, e cè
tuttora, una strana guerra tra il senso comune e il luogo comune: il luogo
comune è fatto da quello che vediamo alle televisioni, che leggiamo
sulla stampa, che ci viene proposto da una gran parte della classe dirigente
e delle élite di questo paese, da tanti attori, cantanti, registi,
uomini di cultura. Il senso comune, invece, è quella resistenza del
cuore che unisce tanti di noi, e ci impedisce di credere davvero, e di aderire,
alla visione del mondo che viene proposta: il senso comune è lesperienza
della nostra vita e delle persone che amiamo. Questa resistenza ha sempre
avuto nella Chiesa cattolica un grande punto di riferimento, lo abbiamo sentito
nelle parole di Giovanni Paolo II, così semplici e chiare, e tutti
noi gli dobbiamo un grazie.
Ma cè un altro grazie che voglio dire, un grazie che nessuno
dice mai: grazie a tutte le donne che sono qui, grazie allamore, alla
passione, alla generosità che le donne mettono nello sforzo di costruire
e mantenere in piedi le famiglie. Grazie alle mamme, spesso sole nella loro
volontà di fare figli, tanto che ormai esiste un grave divario tra
il desiderio di maternità e la sua realizzazione: secondo le indagini,
le donne vorrebbero in genere più bambini di quanti poi riescono a
farne, perché la società glielo rende difficile, e la politica
non le aiuta. Grazie per il coraggio, gli equilibrismi, i piccoli eroismi
quotidiani; e grazie anche ai padri, perché noi vogliamo che la paternità
resti un modello importante per gli uomini, perché vogliamo responsabilità
genitoriali condivise, e non madri sole, come accade nei paesi del Nord Europa
che ci vengono sempre proposti come modello di civiltà.
Vorrei chiudere con questo ringraziamento, e chiedere che il vostro applauso
sia dedicato non tanto a noi che siamo sul palco, ma a voi che siete qui,
e a tutti i genitori di questo paese.
INTERVENTO di SAVINO PEZZOTTA
Care amiche, cari amici, carissime famiglie che siete qui oggi in questa
piazza per dire ad alta voce che ciò che è bene per la
famiglia è bene per il Paese.
Siamo venuti qui in tanti bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne,
uomini, mamme, papà, nonni e nonne - per dire con convinzione che crediamo
nel valore civile e sociale della famiglia, così come definita dallart.
29 della Costituzione della Repubblica e cioè che la famiglia è
una società naturale fondata sul matrimonio. Noi vogliamo
bene alla nostra Costituzione e per questo vogliamo che nella Repubblica Italiana
si rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale,
sociale, economico e politico. La famiglia sempre di più diventa un
bene e un affare pubblico che contribuisce a formare la coesione
sociale e la qualità dello sviluppo, elementi senza i quali la repubblica
deperisce. Noi vogliamo fare della famiglia una causa nazionale
e stabilire il principio che ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza
che questo comporti una drastica diminuzione del tenore di vita.
Siamo convinti che la famiglia sia la prima e più originaria formazione
sociale - art. 2 della Costituzione nella quale si sviluppa e
si perfeziona la persona umana e che questo suo carattere originario, precedente
lo Stato, ne prescrive una zona di rispetto ed esige un agire
primario e duraturo in suo favore.
Per noi che oggi siamo convenuti in questa piazza, senza distinzioni di fede,
di cultura, di ideologia e di orientamento politico, affermare che la famiglia
deve sempre avere una rilevanza sociale, politica e civile significa, in ultima
analisi, far riferimento al bene comune e come tutti sappiamo - il
bene comune dovrebbe essere sempre lunico e discriminante criterio dellazione
sociale, economica, politica e legislativa.
Ci viene chiesto: come mai scendete in piazza solo ora?
Noi rispondiamo con onestà che, nonostante gli sforzi fatti in questi
anni da parte dellassociazionismo e di pochi volenterosi, siamo sicuramente
in ritardo. E restare fermi o passivi sarebbe colpevole.
Per molto tempo si è pensato che la famiglia ponesse solo domande socio-economiche
e abbiamo trascurato le questioni più profonde, ovvero quelle mutazioni
culturali e di costume che indebolivano la famiglia sul piano dei principi
e dei valori, lasciando spazio a una visione individualista che ne minava
le fondamenta.
E sempre più chiaro che laffermarsi di questa deriva genera
frantumazione, dispersione e indebolimento delle responsabilità personali,
il cui esito è laffidarsi esclusivamente alla dimensione della
pura e semplice competizione sociale, della salvaguardia dei corporativismi,
degli interessi individuali e il crescere di una visione politico-sociale
che fa dei diritti individuali il criterio di riferimento di ogni proposta
legislativa. In una simile prospettiva a rimetterci sono le famiglie, in particolare
quelle popolari.
Le grandi trasformazioni sociali, economiche e culturali pongono a noi e a
tutti gli italiani una domanda: cosa è la famiglia?
Noi oggi siamo qui per rispondere con chiarezza e affermare che la famiglia
è il nocciolo costitutivo della società, costruito attorno ad
un rapporto, il più possibilmente stabile, di coppia e cioè
di un uomo e una donna. Una donna e un uomo che sincontrano attraverso
una tensione affettiva e damore, che consolidano in unespansione
generativa e di cura di sé, dei figli.
Nel patto famigliare laffettività si declina nella possibilità
di generare e, pertanto, su unalleanza preventiva e solida tra generazioni,
orientata al bene di chi viene e di chi è stato, e che si nutre dialetticamente
nella dimensione del dono e del donarsi per la vita.
Conosciamo tutte le difficoltà, i problemi e le tensioni che attraversano
le famiglie, conosciamo la loro solitudine e la fatica del navigare controcorrente,
eppure siamo convinti che dobbiamo puntare ad una cultura del legame e non
a quella della dissociazione - che oggi sembra essere tanto di moda - e che
si ammanta in modo mistificante sotto legida della libertà. Proprio
per questo parliamo di famiglia e non di famiglie.
Bisogna fare uno sforzo e superare la confusione babelica in cui siamo immersi,
che confonde gli animi e i pensieri e che alla lunga finisce per mettere in
crisi la comunità, la società e il vivere insieme. Quello che
oggi serve è la chiarezza del linguaggio. È arrivato il tempo
in cui il nostro parlare deve essere chiaro e ispirarsi al detto evangelico:
si, si no, no. La chiarezza non è rigidità
né tantomeno incapacità di cogliere i problemi, le sofferenze
e i dolori di tante persone. Lungi da noi ogni atteggiamento di discriminazione
e dincomprensione, ma nellessere aperti ai problemi degli uomini
e delle donne che con noi vivono lavventura umana, non possiamo non
dire quello che pensiamo, anzi la chiarezza di linguaggio e la sua limpida
espressione concettuale è una forma della carità, damorevolezza:
è in ultima analisi avere cura delle persone e creare le basi per un
dialogo sereno, chiaro e non ipocrita.
Questo atteggiamento forse ha molta più consistenza umana dei tanti
buonismi oggi di moda. È allora importante dire con estrema limpidezza
se si vuole effettivamente tutelare, rafforzare e proporre il modello di famiglia
come società naturale fondata sul matrimonio oppure se si vogliono
intraprendere altre strade.
Oggi questa piazza così numerosa e attenta, così serena e pacifica
la risposta lha data in modo inequivocabile.
Abbiamo visto che qui a S. Giovanni sono convenuti molti rappresentanti della
politica. Li ringraziamo per la loro presenza, per la loro attenzione. Anche
a loro vogliamo ricordare che la nostra idea di famiglia è quella che
si fonda sul principio di responsabilità, principio che obbliga a giudicare
e valutare gli atti che si compiono non solo per le ricadute che hanno sul
presente ma anche sul futuro. Oggi abbiamo il diritto di sapere se chi ci
governa punta su un modello antropologico centrato unicamente sullautonomia
dellindividuo, sullutilitarismo delle affettività temporanee
e deboli o se invece punta a consolidare quello della dinamica famigliare
e pertanto di unaffettività che si incardini nella dimensione
della responsabilità sociale.
Per questo nel nostro ordinamento deve essere chiara la distinzione tra tutela
e promozione di un soggetto che ha una dimensione e responsabilità
sociale e la risposta ai bisogni delle persone.
Il nostro essere qui oggi in tanti, lessere gioiosamente in campo non
è manifestare contro o a favore delluno o dellaltro schieramento
politico. Siamo qui perché abbiamo una visione societaria e personalista
del vivere insieme che centra la sua attenzione sulla persona intesa come
capacità e possibilità di relazione.
Il bene comune, il bene del Paese, il bene dellItalia, il bene delle
nuove generazioni è il nostro riferimento di fondo. Siamo qui come
cercatori del bene, di un bene che si fonda sul primato della persona, sul
principio di sussidiarietà, di solidarietà e di responsabilità.
Nessun integralismo o fondamentalismo da parte nostra, nessuna volontà
di dividere il Paese o alimentare scontri anacronistici. Questa non è
una piazza guelfa. Qui non si strumentalizza la religione, ma neppure si vieta
alla religione di illuminare la coscienza delle persone, credenti e non. Perché
la fede per un credente non è irrilevante nella costruzione della società.
Poniamo questo nostro impegno sociale a favore della famiglia e del Paese
non sotto il segno dellintransigenza, ma del dialogo.
Molte delle persone che qui sono convenute sono da sempre impegnate, per la
libertà, la giustizia sociale, la salvaguardia del creato e per la
pace contro la guerra, così come sono impegnate per la vita contro
tutto quello che la mortifica: dallaborto, alla fame, dagli incidenti
mortali sul lavoro che sono troppi e che colpiscono molte famiglie, alleutanasia.
È su questo terreno di difesa della libertà e della dignità
della persona umana che si colloca limpegno per la famiglia, per il
matrimonio civile e per fare in modo che le figlie e i figli abbiano un padre
e una madre. Non possiamo essere applauditi quando ci schieriamo contro la
guerra, quando ci battiamo contro la fame nel mondo, contro la pena di morte,
quando ci impegniamo per leconomia civile e per la giustizia sociale
e essere considerati oscurantisti quando vogliamo valorizzare la famiglia.
Per noi sono le facce diverse di un unico impegno sociale e politico.
Esistono questioni sociali ed economiche che pesano sulla famiglia e che le
impediscono di svolgere con serenità il proprio compito o addirittura
di nascere. Oggi le povertà e le disuguaglianze passano attraverso
le famiglie, le difficoltà economiche, la carenza di servizi, il costo
delle case e degli affitti, le metamorfosi del mercato del lavoro, la disoccupazione,
la precarietà, il lavoro nero sono questioni che incidono sul fare
famiglia. Molti sono i ritardi che dobbiamo recuperare, e in fretta.
Sostenere che la famiglia è una società naturale fondata sul
matrimonio e non solo sul rapporto affettivo o dinteressi tra un uomo
e una donna o tra persone omosessuali, non è una questione confessionale.
I cattolici sanno bene che cosa è il sacramento del matrimonio e, in
nessun modo, lo vogliono imporre a chi non crede. Premiamo perché il
Parlamento non introduca, per legge e in via surrettizia, i Dico. A tutti
coloro che hanno cercato di ridurre la portata di questo disegno di legge,
rispondiamo che laver posto il tema nei modi con cui è stato
posto ha già determinato nellimmaginario collettivo lidea
che vi possano essere nel futuro una normativa che contempli una pluralità
modelli famigliari. Questo non va bene. Si è determinata una condizione
culturale che dobbiamo recuperare. Ecco perché minimizzare significa
confermare un modello che noi non accettiamo. Opporsi ad un pluralismo di
modelli famigliari non è una battaglia confessionale ma civile e laica
che si fonda sul dettato costituzionale e punta al consolidamento del matrimonio
civile. Questo non vuol dire non avere a cuore i problemi che riguardano le
coppie di fatto: come si legge nel manifesto Piufamiglia,
si dice anche un chiaro « sì » alla tutela dei conviventi
attraverso il diritto comune.
Operare perché sia data centralità culturale, politica e sociale
alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperto alla
fecondità, esige che questo legame sia sostenuto e che si determini
una condizione culturale che veda cattolici e laici agire di concerto e non
attraverso contrapposizioni o anacronistiche contro-manifestazioni.
Oltre alla questione culturale che riteniamo centrale e orientativa di tutte
le politiche per la famiglia, poniamo in campo altre priorità economiche
e sociali, che speriamo siano assunte dallazione politica, ad iniziare
dalla prossima conferenza governativa.
Affermiamo la necessità che il nostro Paese si doti finalmente di normative
organiche per la famiglia che affrontino il tema della protezione del diritto
alla vita dogni essere umano: dal concepimento alla morte naturale;
che assumano la famiglia come soggetto sociale da sostenere con politiche
specifiche attraverso criteri che la promuovano fin dal suo sorgere e che
accompagnino il processo di generatività dal concepimento alla nascita
e alla crescita dei bambini, degli adolescenti, dei giovani (consultori, asilo
nido, salute, scuola e formazione), del lavoro dei coniugi con lintroduzione
di flessibilità per la cura famigliare, dellistruzione dei figli,
attraverso il sostegno al reddito, con politiche fiscali, tariffarie e degli
affitti ispirate allequità, e dellaccompagnamento in tutte
le azioni di cura parentale (handicappati, non autosufficienti, malattia,
malattie terminali) che le famiglie sono chiamate a svolgere.
In pratica se un tempo abbiamo costruito, per contrastare le disuguaglianze
generate dal nascere e dal consolidarsi della società industriale,
un sistema di protezione sociale attorno alla figura del lavoratore, oggi
occorre, se vogliamo evitare il crescere di disuguaglianze, riformare in profondità
il nostro welfare e ricentrarlo sulle esigenze della famiglia.
Questa è la sfida che ci poniamo e che poniamo e che ci chiede di stare
in campo con chiarezza di principi per il bene del Paese e della società
italiana.
Come si vede dai comportamenti e dalla presenza delle famiglie con i loro
figli, di molti fidanzati, di giovani e di nonni, non siamo venuti in piazza
per fare spettacolo mediatico, non è nelle nostre tradizioni. Ci siamo
da cattolici e laici, da italiani che fanno riferimento alla Costituzione
e che chiedono che di quella carta si tenga conto. Le famiglie italiane vogliono
anche affermare una soggettività sociale e una domanda politica e ricordare
che sono un po stanche di essere considerate solo come elettori. È
qui un grande movimento sociale e civile che fa delle proposte e che vuole
essere ascoltato ma anche partecipare.
Per chiudere vorrei solo ricordare a tutti noi e a chi ci ascolta che questiniziativa
sinserisce con forza in un grande movimento europeo di popolo; negli
ultimi anni sono state organizzate in Europa dalle associazioni famigliari
cinque grandi manifestazioni: in Belgio, Portogallo, due in Spagna e recentemente
in Francia. Tutte convocate, pur nelle differenze nazionali, sullonda
dellimpegno per la vita, la famiglia, la libertà deducazione
e per rivendicare un maggior impegno a favore dei nuclei famigliari. Iniziative
di popolo, perché i ceti popolari, a differenza di chi frequenta i
salotti buoni, conoscono invece bene il valore della famiglia. Questo è
il nostro modo di stare in Europa, nellEuropa delle profonde ed inestirpabili
radici cristiane.
Mi sia consentito di augurare a Benedetto XVI° un incontro felice con
il popolo brasiliano e di esprimere tutta la solidarietà a Mons. Bagnasco
per gli insulti e gli attacchi. Le siamo vicini, le vogliamo bene.
Ora voglio dire ad alta voce ed insieme con voi: VIVA LA FAMIGLIA, VIVA LITALIA.