12 MAGGIO 2007
FAMILY DAY
Parrocchia di Santo Stefano
    Casalmaggiore 2006
        60
 I discorsi dei portavoce del Family Day: Giovanni Gacobbe, Eugenia Roccella 
    e Savino Pezzotta.
  
 
  
INTERVENTO di GIOVANNI GIACOBBE
Quindici anni fa nasceva, da una grande intuizione, il Forum delle Associazioni 
    familiari. Ed eccoci oggi qui in questa piazza italiana. Grazie a tutti voi 
    che siete venuti da lontano, da ogni parte dItalia, per esprimere il 
    vostro amore per la famiglia.
    Io qui rappresento le 41 associazioni che fanno parte del Forum e, grazie 
    a loro, alcuni milioni di famiglie che si riconoscono nella nostra azione. 
    E stata una lunga marcia, ma è bello oggi poter condividere i 
    nostri desideri e le nostre aspirazioni con tutti voi, con le associazioni, 
    con i movimenti, con le nuove realtà ecclesiali italiane. Ma anche 
    con tanti amici non credenti e con una moltitudine di laici che come noi amano 
    la famiglia fondata sul matrimonio e aperta allaccoglienza dei figli. 
    Sappiamo che un giorno come questo è un premio per tutto limpegno 
    sociale, culturale e politico che in questi anni il Forum ha saputo mettere 
    in campo, anche attraverso lazione dei 20 forum regionali. E per questo 
    il nostro grazie è ancora più sentito, perché ci consente 
    di parlare con più forza e determinazione al Paese intero e alle sue 
    classi dirigenti.
    Oggi siamo qui perché più forte risuoni la voce delle famiglie 
    italiane. Esse attendono dai legislatori e dai governanti un disegno organico 
    di sostegno alla famiglia nella dimensione definita dalla Costituzione italiana, 
    ovvero come società naturale fondata sul matrimonio. La nostra è 
    una manifestazione libera da ipoteche di partito. Non può che essere 
    così: la famiglia è un bene di tutti. Ma noi sappiamo che solo 
    una buona politica sa riconoscere dovè il bene comune. Noi crediamo 
    che questo Paese meriti una buona politica e la misureremo sulla sua capacità 
    di dare attuazione allarticolo 31 della Costituzione. Esso impone alla 
    Repubblica di predisporre misure di promozione e di sostegno per la famiglia, 
    al fine di esaltarne il ruolo di cellula essenziale di ogni società 
    civile. Oltre che di sede naturale per lo sviluppo della persona umana e, 
    segnatamente, per leducazione dei giovani ai valori fondamentali della 
    convivenza civile definiti dalla Costituzione repubblicana. 
    Quella di oggi è davvero una tappa significativa. Vogliamo rilanciare, 
    con voi e per voi, limpegnativo rapporto con le istituzioni, perché 
    le politiche familiari si fanno non solo per le famiglie, ma con 
    le famiglie. Da oggi, insieme, e con più forza chiediamo al mondo della 
    politica di mettersi in ascolto delle famiglie. Siamo consci del grande privilegio 
    che ognuno di voi ci concede. Nel dare voce da questo palco ai vostri bisogni, 
    rinnoviamo davanti a voi il nostro impegno al servizio della famiglia e del 
    Paese.
    Nei giorni che hanno preceduto questo nostro grande evento abbiamo tentato 
    di mostrare al Paese il vostro volto. Abbiamo provato ad esprimere con le 
    nostre parole le vostre ansie. Speriamo di non aver mai tradito le vostre 
    attese.
    Ma ora vi diciamo che questo nostro incontro non è un punto di arrivo. 
    Non è un traguardo. E solo un nuovo inizio. 
INTERVENTO di EUGENIA ROCCELLA
Cari amici, siamo qui in tanti, siete venuti da tutta Italia, con fatica, 
    portando con voi le vostre famiglie, rinunciando a una giornata al mare, o 
    a casa, in tranquillità. Ma avete sentito che questappuntamento 
    era importante, più importante di una gita, di un sabato in famiglia. 
    
    In questi giorni ci hanno chiesto mille volte perché saremmo venuti 
    a piazza San Giovanni, perché chiedevamo agli italiani di venire. Chiediamocelo 
    ancora una volta: perché siamo qui? Siamo qui perché abbiamo 
    nel cuore unesperienza fondamentale, che ci unisce: siamo tutti nati 
    nel grembo di una donna, generati da un atto damore tra un uomo e una 
    donna. Siamo tutti figli: laici e cattolici, credenti e non credenti, islamici 
    ed ebrei, omosessuali ed eterosessuali. E su questo che si fonda lunicità 
    della famiglia: sulla capacità di tessere un filo di continuità 
    tra le generazioni, padri, madri, nonni, nipoti, antenati, di collegare passato 
    e futuro delluomo, di dargli speranza nel domani. La famiglia vuol dire 
    legami che danno il senso della continuità temporale; ma vuol dire 
    anche rapporti di prossimità e vicinanza, la capacità di creare 
    le reti di parentela, cioè gli zii, i cugini, e poi i rapporti di solidarietà 
    tra famiglie, quelli che costruiscono il senso della comunità. Spesso 
    accusano la famiglia di essere chiusa, egoista, ma è vero il contrario: 
    è il cuore delle relazioni tra persone, delle amicizie e delle solidarietà. 
    Non siamo qui a esibire le nostre famiglie, a ritenerci superiori a qualcuno 
    o a giudicare gli altri. Le nostre famiglie sono come tutte le altre: belle, 
    brutte, così così: famiglie in cui si litiga, in cui si soffre, 
    magari non ci si capisce, e che qualche volta si rompono. Ma sono preziose 
    in ogni caso, perché proteggono gli individui dallinvadenza dello 
    stato e del mercato e creano quel senso profondo di appartenenza, di consapevolezza 
    delle origini, così necessario allo sviluppo dellidentità 
    individuale, della personalità. 
    Attraverso la famiglia non si trasmette solo il patrimonio, ma soprattutto 
    cultura, fede religiosa, tradizioni, lingua, esperienza. La famiglia è 
    una cellula economica fondamentale, centro che ridistribuisce il reddito non 
    secondo le capacità, ma secondo i bisogni e gli affetti; ed è 
    il nucleo primario di qualunque stato sociale, attraverso i compiti di sussidiarietà 
    che si assume; è in grado di tutelare i deboli, i piccoli, i malati, 
    i vecchi, e di scambiare protezione e cura nel corso di tutta lesistenza. 
    Noi non diciamo che chi non si sposa non sia famiglia: lo è certamente 
    sul piano degli affetti, e nessuno si permette di giudicare i comportamenti 
    dei singoli. Siamo ancora legati a una vecchissimo principio: chi è 
    senza peccato scagli la prima pietra. Ma la famiglia, così come la 
    riconosce la nostra Costituzione, si fonda sul matrimonio, cioè su 
    un impegno preso davanti alla collettività, un impegno forte di durata, 
    basato sui doveri reciproci e sulle garanzie per le parti più deboli, 
    i figli in primo luogo.
    Il matrimonio è una costruzione pubblica, e per questo da sempre, in 
    tutte le civiltà, esiste un rito di festa, in cui sono coinvolti i 
    parenti, gli amici, la comunità. Si assumono impegni, si fanno promesse, 
    garantite dai testimoni e sancite dalle autorità religiose oppure civili, 
    e si dichiara solennemente al mondo che sarà per sempre. Poi certo, 
    le cose umane declinano, falliscono, ed è giusto prevedere i modi per 
    riparare ai danni.
    Noi siamo qui, da laici, a difendere il matrimonio civile, quello della costituzione, 
    che si può sciogliere attraverso il divorzio. Ma agli impegni presi 
    con il matrimonio non ci si può sottrarre con facilità: le responsabilità 
    restano, coniugi e figli hanno diritti incancellabili, anche quando il matrimonio 
    si rompe. Il resto, le unioni di fatto, le convivenze, lamore in tutte 
    le sue mille forme precarie o durature, sono storie di individui, regolate 
    da diritti individuali, che forse hanno bisogno di qualche correzione, ma 
    niente di più.
    Tutti hanno la libertà di contrarre e sciogliere legami damore, 
    di vivere le proprie emozioni senza certificarle con il matrimonio, però 
    cè una strana contraddizione. Chi accusa la famiglia di essere 
    un luogo di repressione che soffoca le libertà dei singoli, è 
    spesso la stessa persona che chiede di poterla imitare, di replicarne qualche 
    regola o rituale. Chi rifiuta il matrimonio e critica lidea che lamore 
    possa essere riconosciuto dal cosiddetto pezzo di carta è 
    spesso la stessa persona che pretende almeno un mezzo riconoscimento pubblico, 
    una firma sul registro, insomma proprio il famoso pezzo di carta. Ma lo ripetiamo: 
    esiste già il matrimonio civile, che noi siamo qui a difendere, esiste 
    il divorzio e la possibilità di rifarsi una famiglia.
    Diversa è la situazione degli omosessuali, che mi sembra chiedano il 
    riconoscimento pubblico delle loro unioni non tanto per ottenere alcuni diritti 
    individuali, che si potrebbero assicurare con altri strumenti, piuttosto come 
    forma di legittimazione sociale. Ma se vogliamo eliminare ogni discriminazione, 
    se vogliamo costruire una società dellaccoglienza, dobbiamo alimentare 
    una cultura che sappia rispettare ogni persona per quello che è. Una 
    cultura che tuteli la dignità delluomo in qualunque condizione, 
    anche se non è inserito in una categoria riconoscibile, anche se non 
    ha nessuna forza politica a difenderlo. 
    In questo paese la famiglia ha resistito a lungo, nonostante labbandono 
    in cui è stata lasciata per decenni da parte della politica, e nonostante 
    sia stata forte, in alcuni momenti storici, quella che è stata definita 
    la cultura dellantifamiglia, che individuava nellistituzione familiare 
    la fonte di quasi ogni male sociale. Cè stata, e cè 
    tuttora, una strana guerra tra il senso comune e il luogo comune: il luogo 
    comune è fatto da quello che vediamo alle televisioni, che leggiamo 
    sulla stampa, che ci viene proposto da una gran parte della classe dirigente 
    e delle élite di questo paese, da tanti attori, cantanti, registi, 
    uomini di cultura. Il senso comune, invece, è quella resistenza del 
    cuore che unisce tanti di noi, e ci impedisce di credere davvero, e di aderire, 
    alla visione del mondo che viene proposta: il senso comune è lesperienza 
    della nostra vita e delle persone che amiamo. Questa resistenza ha sempre 
    avuto nella Chiesa cattolica un grande punto di riferimento, lo abbiamo sentito 
    nelle parole di Giovanni Paolo II, così semplici e chiare, e tutti 
    noi gli dobbiamo un grazie.
    Ma cè un altro grazie che voglio dire, un grazie che nessuno 
    dice mai: grazie a tutte le donne che sono qui, grazie allamore, alla 
    passione, alla generosità che le donne mettono nello sforzo di costruire 
    e mantenere in piedi le famiglie. Grazie alle mamme, spesso sole nella loro 
    volontà di fare figli, tanto che ormai esiste un grave divario tra 
    il desiderio di maternità e la sua realizzazione: secondo le indagini, 
    le donne vorrebbero in genere più bambini di quanti poi riescono a 
    farne, perché la società glielo rende difficile, e la politica 
    non le aiuta. Grazie per il coraggio, gli equilibrismi, i piccoli eroismi 
    quotidiani; e grazie anche ai padri, perché noi vogliamo che la paternità 
    resti un modello importante per gli uomini, perché vogliamo responsabilità 
    genitoriali condivise, e non madri sole, come accade nei paesi del Nord Europa 
    che ci vengono sempre proposti come modello di civiltà. 
    Vorrei chiudere con questo ringraziamento, e chiedere che il vostro applauso 
    sia dedicato non tanto a noi che siamo sul palco, ma a voi che siete qui, 
    e a tutti i genitori di questo paese. 
    INTERVENTO di SAVINO PEZZOTTA
Care amiche, cari amici, carissime famiglie che siete qui oggi in questa 
    piazza per dire ad alta voce che ciò che è bene per la 
    famiglia è bene per il Paese. 
    Siamo venuti qui in tanti  bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne, 
    uomini, mamme, papà, nonni e nonne - per dire con convinzione che crediamo 
    nel valore civile e sociale della famiglia, così come definita dallart. 
    29 della Costituzione della Repubblica e cioè che la famiglia è 
    una società naturale fondata sul matrimonio. Noi vogliamo 
    bene alla nostra Costituzione e per questo vogliamo che nella Repubblica Italiana 
    si rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale, 
    sociale, economico e politico. La famiglia sempre di più diventa un 
    bene e un affare pubblico che contribuisce a formare la coesione 
    sociale e la qualità dello sviluppo, elementi senza i quali la repubblica 
    deperisce. Noi vogliamo fare della famiglia una causa nazionale 
    e stabilire il principio che ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza 
    che questo comporti una drastica diminuzione del tenore di vita. 
    Siamo convinti che la famiglia sia la prima e più originaria formazione 
    sociale - art. 2 della Costituzione  nella quale si sviluppa e 
    si perfeziona la persona umana e che questo suo carattere originario, precedente 
    lo Stato, ne prescrive una zona di rispetto ed esige un agire 
    primario e duraturo in suo favore. 
    Per noi che oggi siamo convenuti in questa piazza, senza distinzioni di fede, 
    di cultura, di ideologia e di orientamento politico, affermare che la famiglia 
    deve sempre avere una rilevanza sociale, politica e civile significa, in ultima 
    analisi, far riferimento al bene comune e  come tutti sappiamo - il 
    bene comune dovrebbe essere sempre lunico e discriminante criterio dellazione 
    sociale, economica, politica e legislativa. 
    Ci viene chiesto: come mai scendete in piazza solo ora? 
    Noi rispondiamo con onestà che, nonostante gli sforzi fatti in questi 
    anni da parte dellassociazionismo e di pochi volenterosi, siamo sicuramente 
    in ritardo. E restare fermi o passivi sarebbe colpevole. 
    Per molto tempo si è pensato che la famiglia ponesse solo domande socio-economiche 
    e abbiamo trascurato le questioni più profonde, ovvero quelle mutazioni 
    culturali e di costume che indebolivano la famiglia sul piano dei principi 
    e dei valori, lasciando spazio a una visione individualista che ne minava 
    le fondamenta. 
    E sempre più chiaro che laffermarsi di questa deriva genera 
    frantumazione, dispersione e indebolimento delle responsabilità personali, 
    il cui esito è laffidarsi esclusivamente alla dimensione della 
    pura e semplice competizione sociale, della salvaguardia dei corporativismi, 
    degli interessi individuali e il crescere di una visione politico-sociale 
    che fa dei diritti individuali il criterio di riferimento di ogni proposta 
    legislativa. In una simile prospettiva a rimetterci sono le famiglie, in particolare 
    quelle popolari.
    Le grandi trasformazioni sociali, economiche e culturali pongono a noi e a 
    tutti gli italiani una domanda: cosa è la famiglia? 
    Noi oggi siamo qui per rispondere con chiarezza e affermare che la famiglia 
    è il nocciolo costitutivo della società, costruito attorno ad 
    un rapporto, il più possibilmente stabile, di coppia e cioè 
    di un uomo e una donna. Una donna e un uomo che sincontrano attraverso 
    una tensione affettiva e damore, che consolidano in unespansione 
    generativa e di cura di sé, dei figli. 
    Nel patto famigliare laffettività si declina nella possibilità 
    di generare e, pertanto, su unalleanza preventiva e solida tra generazioni, 
    orientata al bene di chi viene e di chi è stato, e che si nutre dialetticamente 
    nella dimensione del dono e del donarsi per la vita.
    Conosciamo tutte le difficoltà, i problemi e le tensioni che attraversano 
    le famiglie, conosciamo la loro solitudine e la fatica del navigare controcorrente, 
    eppure siamo convinti che dobbiamo puntare ad una cultura del legame e non 
    a quella della dissociazione - che oggi sembra essere tanto di moda - e che 
    si ammanta in modo mistificante sotto legida della libertà. Proprio 
    per questo parliamo di famiglia e non di famiglie. 
    Bisogna fare uno sforzo e superare la confusione babelica in cui siamo immersi, 
    che confonde gli animi e i pensieri e che alla lunga finisce per mettere in 
    crisi la comunità, la società e il vivere insieme. Quello che 
    oggi serve è la chiarezza del linguaggio. È arrivato il tempo 
    in cui il nostro parlare deve essere chiaro e ispirarsi al detto evangelico: 
    si, si no, no. La chiarezza non è rigidità 
    né tantomeno incapacità di cogliere i problemi, le sofferenze 
    e i dolori di tante persone. Lungi da noi ogni atteggiamento di discriminazione 
    e dincomprensione, ma nellessere aperti ai problemi degli uomini 
    e delle donne che con noi vivono lavventura umana, non possiamo non 
    dire quello che pensiamo, anzi la chiarezza di linguaggio e la sua limpida 
    espressione concettuale è una forma della carità, damorevolezza: 
    è in ultima analisi avere cura delle persone e creare le basi per un 
    dialogo sereno, chiaro e non ipocrita. 
    Questo atteggiamento forse ha molta più consistenza umana dei tanti 
    buonismi oggi di moda. È allora importante dire con estrema limpidezza 
    se si vuole effettivamente tutelare, rafforzare e proporre il modello di famiglia 
    come società naturale fondata sul matrimonio oppure se si vogliono 
    intraprendere altre strade. 
    Oggi questa piazza così numerosa e attenta, così serena e pacifica 
    la risposta lha data in modo inequivocabile. 
    Abbiamo visto che qui a S. Giovanni sono convenuti molti rappresentanti della 
    politica. Li ringraziamo per la loro presenza, per la loro attenzione. Anche 
    a loro vogliamo ricordare che la nostra idea di famiglia è quella che 
    si fonda sul principio di responsabilità, principio che obbliga a giudicare 
    e valutare gli atti che si compiono non solo per le ricadute che hanno sul 
    presente ma anche sul futuro. Oggi abbiamo il diritto di sapere se chi ci 
    governa punta su un modello antropologico centrato unicamente sullautonomia 
    dellindividuo, sullutilitarismo delle affettività temporanee 
    e deboli o se invece punta a consolidare quello della dinamica famigliare 
    e pertanto di unaffettività che si incardini nella dimensione 
    della responsabilità sociale. 
    Per questo nel nostro ordinamento deve essere chiara la distinzione tra tutela 
    e promozione di un soggetto che ha una dimensione e responsabilità 
    sociale e la risposta ai bisogni delle persone.
    Il nostro essere qui oggi in tanti, lessere gioiosamente in campo non 
    è manifestare contro o a favore delluno o dellaltro schieramento 
    politico. Siamo qui perché abbiamo una visione societaria e personalista 
    del vivere insieme che centra la sua attenzione sulla persona intesa come 
    capacità e possibilità di relazione. 
    Il bene comune, il bene del Paese, il bene dellItalia, il bene delle 
    nuove generazioni è il nostro riferimento di fondo. Siamo qui come 
    cercatori del bene, di un bene che si fonda sul primato della persona, sul 
    principio di sussidiarietà, di solidarietà e di responsabilità. 
    
    Nessun integralismo o fondamentalismo da parte nostra, nessuna volontà 
    di dividere il Paese o alimentare scontri anacronistici. Questa non è 
    una piazza guelfa. Qui non si strumentalizza la religione, ma neppure si vieta 
    alla religione di illuminare la coscienza delle persone, credenti e non. Perché 
    la fede per un credente non è irrilevante nella costruzione della società. 
    Poniamo questo nostro impegno sociale a favore della famiglia e del Paese 
    non sotto il segno dellintransigenza, ma del dialogo. 
    Molte delle persone che qui sono convenute sono da sempre impegnate, per la 
    libertà, la giustizia sociale, la salvaguardia del creato e per la 
    pace contro la guerra, così come sono impegnate per la vita contro 
    tutto quello che la mortifica: dallaborto, alla fame, dagli incidenti 
    mortali sul lavoro che sono troppi e che colpiscono molte famiglie, alleutanasia. 
    È su questo terreno di difesa della libertà e della dignità 
    della persona umana che si colloca limpegno per la famiglia, per il 
    matrimonio civile e per fare in modo che le figlie e i figli abbiano un padre 
    e una madre. Non possiamo essere applauditi quando ci schieriamo contro la 
    guerra, quando ci battiamo contro la fame nel mondo, contro la pena di morte, 
    quando ci impegniamo per leconomia civile e per la giustizia sociale 
    e essere considerati oscurantisti quando vogliamo valorizzare la famiglia. 
    Per noi sono le facce diverse di un unico impegno sociale e politico. 
    Esistono questioni sociali ed economiche che pesano sulla famiglia e che le 
    impediscono di svolgere con serenità il proprio compito o addirittura 
    di nascere. Oggi le povertà e le disuguaglianze passano attraverso 
    le famiglie, le difficoltà economiche, la carenza di servizi, il costo 
    delle case e degli affitti, le metamorfosi del mercato del lavoro, la disoccupazione, 
    la precarietà, il lavoro nero sono questioni che incidono sul fare 
    famiglia. Molti sono i ritardi che dobbiamo recuperare, e in fretta. 
    
    Sostenere che la famiglia è una società naturale fondata sul 
    matrimonio e non solo sul rapporto affettivo o dinteressi tra un uomo 
    e una donna o tra persone omosessuali, non è una questione confessionale. 
    I cattolici sanno bene che cosa è il sacramento del matrimonio e, in 
    nessun modo, lo vogliono imporre a chi non crede. Premiamo perché il 
    Parlamento non introduca, per legge e in via surrettizia, i Dico. A tutti 
    coloro che hanno cercato di ridurre la portata di questo disegno di legge, 
    rispondiamo che laver posto il tema nei modi con cui è stato 
    posto ha già determinato nellimmaginario collettivo lidea 
    che vi possano essere nel futuro una normativa che contempli una pluralità 
    modelli famigliari. Questo non va bene. Si è determinata una condizione 
    culturale che dobbiamo recuperare. Ecco perché minimizzare significa 
    confermare un modello che noi non accettiamo. Opporsi ad un pluralismo di 
    modelli famigliari non è una battaglia confessionale ma civile e laica 
    che si fonda sul dettato costituzionale e punta al consolidamento del matrimonio 
    civile. Questo non vuol dire non avere a cuore i problemi che riguardano le 
    coppie di fatto: come si legge nel manifesto Piufamiglia, 
    si dice anche un chiaro « sì » alla tutela dei conviventi 
    attraverso il diritto comune. 
    Operare perché sia data centralità culturale, politica e sociale 
    alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperto alla 
    fecondità, esige che questo legame sia sostenuto e che si determini 
    una condizione culturale che veda cattolici e laici agire di concerto e non 
    attraverso contrapposizioni o anacronistiche contro-manifestazioni. 
    Oltre alla questione culturale che riteniamo centrale e orientativa di tutte 
    le politiche per la famiglia, poniamo in campo altre priorità economiche 
    e sociali, che speriamo siano assunte dallazione politica, ad iniziare 
    dalla prossima conferenza governativa. 
    Affermiamo la necessità che il nostro Paese si doti finalmente di normative 
    organiche per la famiglia che affrontino il tema della protezione del diritto 
    alla vita dogni essere umano: dal concepimento alla morte naturale; 
    che assumano la famiglia come soggetto sociale da sostenere con politiche 
    specifiche attraverso criteri che la promuovano fin dal suo sorgere e che 
    accompagnino il processo di generatività dal concepimento alla nascita 
    e alla crescita dei bambini, degli adolescenti, dei giovani (consultori, asilo 
    nido, salute, scuola e formazione), del lavoro dei coniugi con lintroduzione 
    di flessibilità per la cura famigliare, dellistruzione dei figli, 
    attraverso il sostegno al reddito, con politiche fiscali, tariffarie e degli 
    affitti ispirate allequità, e dellaccompagnamento in tutte 
    le azioni di cura parentale (handicappati, non autosufficienti, malattia, 
    malattie terminali) che le famiglie sono chiamate a svolgere. 
    In pratica se un tempo abbiamo costruito, per contrastare le disuguaglianze 
    generate dal nascere e dal consolidarsi della società industriale, 
    un sistema di protezione sociale attorno alla figura del lavoratore, oggi 
    occorre, se vogliamo evitare il crescere di disuguaglianze, riformare in profondità 
    il nostro welfare e ricentrarlo sulle esigenze della famiglia. 
    Questa è la sfida che ci poniamo e che poniamo e che ci chiede di stare 
    in campo con chiarezza di principi per il bene del Paese e della società 
    italiana. 
    Come si vede dai comportamenti e dalla presenza delle famiglie con i loro 
    figli, di molti fidanzati, di giovani e di nonni, non siamo venuti in piazza 
    per fare spettacolo mediatico, non è nelle nostre tradizioni. Ci siamo 
    da cattolici e laici, da italiani che fanno riferimento alla Costituzione 
    e che chiedono che di quella carta si tenga conto. Le famiglie italiane vogliono 
    anche affermare una soggettività sociale e una domanda politica e ricordare 
    che sono un po stanche di essere considerate solo come elettori. È 
    qui un grande movimento sociale e civile che fa delle proposte e che vuole 
    essere ascoltato ma anche partecipare. 
    Per chiudere vorrei solo ricordare a tutti noi e a chi ci ascolta che questiniziativa 
    sinserisce con forza in un grande movimento europeo di popolo; negli 
    ultimi anni sono state organizzate in Europa dalle associazioni famigliari 
    cinque grandi manifestazioni: in Belgio, Portogallo, due in Spagna e recentemente 
    in Francia. Tutte convocate, pur nelle differenze nazionali, sullonda 
    dellimpegno per la vita, la famiglia, la libertà deducazione 
    e per rivendicare un maggior impegno a favore dei nuclei famigliari. Iniziative 
    di popolo, perché i ceti popolari, a differenza di chi frequenta i 
    salotti buoni, conoscono invece bene il valore della famiglia. Questo è 
    il nostro modo di stare in Europa, nellEuropa delle profonde ed inestirpabili 
    radici cristiane. 
    Mi sia consentito di augurare a Benedetto XVI° un incontro felice con 
    il popolo brasiliano e di esprimere tutta la solidarietà a Mons. Bagnasco 
    per gli insulti e gli attacchi. Le siamo vicini, le vogliamo bene. 
    Ora voglio dire ad alta voce ed insieme con voi: VIVA LA FAMIGLIA, VIVA LITALIA.