Card. ANGELO SCOLA
Patriarca di Venezia
LIBERI DI EDUCARE
PER RAFFORZARE
LA DEMOCRAZIA
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2006
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Una necessaria premessa
Pubblichiamo la parte centrale del discorso che aveva come titolo:
Educare nella società in transizione che il card.
Angelo Scola, Patriarca di Venezia, ha tenuto nella Basilica del SS. Redentore
a Venezia il 16 luglio di questanno, in occasione della tradizionale
Festa, molto sentita dalla Chiesa di Venezia. Negli ultimi anni il Patriarca
Scola offre, innestandola nel cuore di questa celebrazione, un contributo
alla riflessione della società civile, in vista di uno scambio e di
un arricchimento reciproco per la costruzione della vita buona,
personale e comunitaria. Questanno il Porporato ha messo al centro della
sua riflessione la necessaria modernizzazione del sistema di istruzione italiano:
La strada da seguire afferma il card. Scola appare quella
della scuola e delluniversità libera, autonoma e plurale nei
soggetti, nei programmi e nei metodi, ma accreditata da istituzioni nazionali
e locali.
Da anni, anche nella nostra realtà di Casalmaggiore, andiamo proponendo
lopportunità, se non addirittura la necessità, di una
scuola cattolica primaria, proprio per venire incontro a tale modernizzazione
e per offrire, sul nostro territorio, uno strumento che concretizzi quella
libertà di educare che affermata in linea di principio
dalla Carta costituzionale e dalla legge 62 del 2000 (che istituisce il sistema
scolastico nazionale composto di scuole statali autonome e di scuole paritarie)
trova ancora una grande difficoltà di attuazione, a causa di
pregiudiziali ideologiche dure da superare. A fronte di tutte le Carte internazionali,
delle risoluzioni del Parlamento europeo, della stessa Carta costituzionale
italiana che proclamano la liberà di istruzione e di insegnamento,
con il relativo diritto di aprire scuole, e il diritto-dovere dei genitori
di scegliere per i propri figli la scuola che meglio garantisca le loro convinzioni
è ancora forte in Italia la resistenza nei confronti delle scuole
libere o indipendenti. In una società sempre più plurale e composita,
resiste in Italia il mito della scuola unica, ossia della scuola di Stato.
E la pluralità di istituzioni invocata in qualunque altro campo
come espressione di autentica democrazia non viene fatta valere, caso
pressoché unico in Europa, nel campo delleducazione e dellistruzione,
dove vige praticamente una sorta di monopolio statale, nonostante la legge
62 del 2000 sopra ricordata. In tal modo, afferma il Patriarca di Venezia,
la scuola neutra e laica attuata come scuola unica di Stato ha condotto
alla pratica di unegemonia che contraddice in se stessa lattuazione
delle libertà in una società veramente plurale. Infatti trasforma
la scuola de iure pubblica in una scuola de facto privata, perché progettata,
gestita e governata da gruppi egemoni.
Dalla scuola di Stato alla scuola della società: questo è oggi
il percorso che in tanti Paesi del mondo si è andato sempre più
attuando, come naturale conseguenza del processo di autonomia che si sta sviluppando
nei sistemi scolastici di molte nazioni. Con questo non si intende affatto
esautorare lo Stato del diritto-dovere di aprire e di gestire scuole, ma indicare
un nuovo modo di svolgerlo, per renderlo sempre più rispondente ai
bisogni delle persone, delle famiglie e della società, al cui servizio
sono destinate tutte le strutture pubbliche statali. Dunque il riconoscimento
della parità della scuola non statale non va inteso come un atto contro
la scuola statale, o come la concessione di un privilegio di qualcuno
ai danni di altri, o come un cedimento della laicità dello
Stato di fronte a insorgenti confessionalismi e clericalismi: ma, più
semplicemente, come un atto dovuto. Insomma, senza una reale pluralità
di istituti scolastici, siamo in pieno regime di monopolio statale. Lo Stato
è chiamato a garantire listruzione a tutti: ma non sta scritto
da nessuna parte e non succede in nessuna autentica democrazia che lo Stato
debba essere lunico gestore dellistruzione e tanto meno lunico
soggetto delleducazione. Solo nei regimi totalitari la scuola è
gestita e controllata dal potere politico. Lesistenza di una scuola
libera alimenta la cultura, attua il diritto naturale dei genitori ad educare
i figli nella scuola che vogliono (perché i figli non sono di proprietà
statale), e favorisce come ebbe a dire diversi anni fa il card. Martini
quella sana concorrenzialità senza della quale il sistema scolastico
si impigrisce, si burocratizza e si sclerotizza. La pluralità scolastica
attua quel policentrismo di offerte che caratterizza le moderne società,
non tanto e non solo per ridurre le spese del pubblico erario (come è
noto, le scuole non statali riescono a spendere meno), quanto come espressione
della accresciuta responsabilità dei cittadini e dei soggetti intermedi.
Insomma, ogni posizione di egemonia statale, nel campo delleducazione
e dellistruzione, appare sempre più anacronistica, perché
contraddice lattuazione delle libertà.
Ancora nel 1984, i Vescovi italiani in un loro documento (La scuola cattolica
oggi in Italia), scrivevano: E ormai maturo il tempo che nel nostro
Paese prevalga, sulla concezione monopolistica della scuola, il principio
dellutilizzazione di tutte le proposte educative secondo la categoria
della reale parità, per giungere ad unadeguata legislazione in
materia.
In questo quadro si colloca anche la richiesta di rendere effettivo il diritto
della scuola cattolica, ad esistere e a poter esercitare in concreto la sua
attività, perché nei suoi confronti come disse
a Verona in occasione del IV Convegno nazionale della Chiesa italiana papa
Benedetto XVI sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi,
che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne
la funzione e nel permetterne in concreto lattività. Questa
non è unopinione personale di Papa Ratzinger, bensì la
linea educativa permanente della Chiesa cattolica, ribadita dai Papi del Novecento
e solennemente riconfermata dal Concilio Vaticano II. Non può non destare
meraviglia che nelle stesse file delle nostre comunità cristiane si
incontrano tuttora resistenze, incomprensioni, sospetti che, se legittimi
quando fossero fatti valere nei confronti di singole esperienze e di specifiche
modalità attuative, appaiono invece del tutto incomprensibili nei confronti
dellidea stessa di una scuola cattolica e di una scuola
indipendente o libera. Così si esprime la Dichiarazione Gravissimum
educationis del Vaticano II: I genitori, avendo il dovere e il
diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una
reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri,
a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel
rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni
pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possa scegliere le scuole
per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza
(n. 6). E più avanti: Tocca allo stato promuovere tutto lordinamento
scolastico, tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo
quindi ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali
della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura,
alla pacifica convivenza dei cittadini nonché a qual pluralismo, quale
oggi esiste in moltissime società (n. 6).
Affermato il principio della libertà scolastica, la Dichiarazione conciliare
afferma: Pertanto questo santo Sinodo ribadisce il diritto della Chiesa
a fondare liberamente e a dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado,
già dichiarato in tanti documenti del magistero, e ricorda che lesercizio
di un tale diritto contribuisce moltissimo anche alla tutela della libertà
di coscienza e dei diritti dei genitori come pure allo stesso progresso culturale
(n. 8).
Le stesse esigenze di multiculturalità, che contrassegnano lattuale
stagione, mettono in crisi il principio di laicità laicisticamente
inteso e spingono verso una democrazia che, proprio perché laica e
dunque rispettosa di tutte le ricchezze culturali presenti nella società,
farà sempre più fatica ad affidare leducazione e listruzione
ad una scuola unica di Stato, centralisticamente intesa e gestita,
e contrassegnata dalla neutralità nel campo valoriale. A tal proposito
si va erroneamente sostenendo che la scuola, per essere davvero espressione
di una democrazia laica e quindi aperta a tutti, non può che essere
neutra sul piano valoriale, cioè indifferente
alle diversità culturali, etniche e religiose presenti nella società.
Ma tale presunta neutralità non solo educa al ribasso e al minimalismo
e indifferentismo etico, ma sembra favorire solo una universalità astratta
(in quanto la nostra società si configura come universalità
concreta, appunto composta di varie culture e religioni). Non
solo. Tale neutralità diventa facile preda di ideologie laiciste e
relativistiche, tuttaltro che neutrali, anzi di parte,
perché veicolano una sorta di religione di Stato, ossia
quellagnosticismo che mina alla radice non solo la democrazia, ma la
stessa persona umana.
Le riflessioni del card. Angelo Scola sono un notevole contributo a scuotere
prassi consolidate e impostazioni dogmatiche anacronistiche e a mettersi con
più decisione su strade nuove, richieste dai tempi che stiamo vivendo.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 15 novembre 2006
Memoria liturgica di S. Alberto Magno
1. Educazione e progresso
Avere cura del gregge è il compito affidato dal Redentore alla Sua
Chiesa e da essa sentito come primario. In un certo senso tale compito ne
definisce la natura profonda. Ben consapevole del comando «erunt semper
docibiles Dei» (cfr. Gv 6, 45), la Chiesa è, per essenza e permanentemente,
soggetto educativo.
Nel quadro dellindomabile passione pedagogica della Chiesa intendo questanno
concentrare la mia attenzione su di una questione cruciale: quella delleducazione.
Lo faccio anzitutto per obbedire alla mia missione ecclesiale, ma voi permetterete
che - come è consuetudine in occasione della festa del Redentore -
il Patriarca possa offrire, con le debite distinzioni, alcuni suggerimenti
nel desiderio di contribuire alla vita civile del nostro Paese e in particolare
del Nordest cui, in qualità di Presidente della Conferenza Episcopale
Triveneta, egli rivolge speciale attenzione.
Leducazione è manifestazione primaria e fondamentale di quella
cura che, anche questanno, il nostro Redentore ci testimonia. Nel 40°
anniversario della morte di don Milani risuona forte lI care della celebre
Lettera a una professoressa che significa non solo prendersi cura, ma anche
farsi carico di e quindi sentirsi responsabile del bene dellaltro.
Anche questa ricorrenza è un invito a chinarci su questo tema decisivo
per il presente e per il futuro. Senza educazione infatti non cè
progresso. Progresso viene da pro-gredior, corro avanti. Può
esserci progresso perché non mi reputo già arrivato. Se non
mi aspettassi nulla di nuovo, se ritenessi di essere arrivato, non avrei più
bisogno di correre in avanti, di progredire. Ma per progredire, per innovare
è necessario educare. In ogni settore dellumana intrapresa oggi
si richiede innovazione e giustamente se ne identificano i fattori portanti.
Una cosa è certa: non ci sarà innovazione se leducazione
non sarà rimessa al centro dellinteresse e delle preoccupazioni
delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi, di tutta la società
civile e quindi dello Stato stesso. A maggior ragione per la transizione in
atto nel Nordest dove, come abbiamo avuto modo di ricordare qualche anno fa,
il modello di sviluppo è chiamato a diventare modello di civiltà.
Non a caso si parla di capitale umano e di capitale sociale come di risorse
imprescindibili per reggere la sfida dellinternazionalizzazione delleconomia
nella civiltà delle reti. In particolare la circolazione o lerosione
di capitale sociale - inteso come il frutto maturo di relazioni sociali improntate
alla fiducia e alla collaborazione - rappresenta la cartina al tornasole della
capacità educativa delle comunità locali.
2. Educare: relazione consapevole della persona con la realtà
Sarebbe illusorio parlare di educazione senza chiamare espressamente in causa
tre categorie fondamentali: persona, realtà, libertà. Poiché
è manifestazione sublime di cura, forma piena di governo,
leducazione nasce e vive di rapporti interpersonali. Non vi è
cura senza farsi carico di tutta la persona. E la persona, a differenza del
semplice individuo, mette in campo la relazione. Relazione con gli altri secondo
una gerarchia di prossimità che, iniziando dai genitori, si dilata
alla famiglia, ai vicini, alla scuola, alluniversità, al variegato
mondo del lavoro. Relazione poi con le cose ed il cosmo, con le
circostanze e la storia.
Leducazione è, in sintesi, la capacità di mettere consapevolmente
in relazione la persona con la realtà. Tutta la persona e tutta la
realtà sono in gioco nel rapporto costitutivo - interpersonale, ma
sempre immerso in comunità - tra educatore ed educando. Leducazione
è nello stesso tempo questione personalissima ed affare di popolo.
Si può ben capire che non vi possa essere educazione senza libertà.
Se educare è prendersi cura dellaltro, allora questo
significa pro-vocare la sua libertà ad ospitare la realtà, in
un confronto appassionato, a 360 gradi. In questo senso leducazione
esige da tutti gli attori in campo auto-esposizione e testimonianza.
Come afferma suggestivamente la sociologa Margaret Archer «ciò
di cui ci prendiamo maggiormente cura» nasce da un «processo attivo
di riflessione che avviene in un dialogo interiore». Il processo educativo
del prendersi cura evidenzia cioè, le «nostre premure
fondamentali» (ultimate concerns) le quali sono «ciò che
ci rende esseri morali».
3. Libertà di educazione, misura della democrazia
La solenne azione liturgica che stiamo celebrando è evento paradigmatico
di educazione. LEucaristia, infatti, si attua nella traditio che Cristo
ha voluto fosse permanente frutto della Sua auto-esposizione, cioè
del sacrificio redentivo della croce che vince la morte a nostro favore. In
quella cena pasquale, presi il pane ed il vino, li trasformò nel Corpo
e Sangue del Suo anticipato sacrificio e diede ai Suoi lordine di fare
la stessa cosa in Sua perenne memoria. Gli Apostoli ed i ministri loro successori
ancora oggi continuano a compiere questo gesto sublime di traditio. Paolo
lo descrive in modo incomparabile: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore
quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23): una definizione
perfetta, e non solo per i cristiani, della dinamica educativa. Prendersi
reciprocamente cura dellaltro e del legame con lui, dando vita ad un
corpo generativo, in grado a sua volta di prendersi cura dei figli propri
e più in generale delle nuove generazioni consente la realizzazione
di una caring society.
Una traditio aperta allad-ventura (al futuro), poggiata sulla testimonianza,
tesa a che la libertà delleducando vada incontro al reale con
umile curiositas, ne assapori la pienezza, non si blocchi di fronte alla contraddizione
e al male suo e degli altri: a questo deve tendere con il contributo della
intera comunità di appartenenza ogni comunicazione di sapere. Da quella
più elementare e decisiva, che inizia in seno alla vita della famiglia,
fino a quella scolastica ed universitaria, via via per tutto il corso della
vita.
Se laver cura richiesto ad ogni educazione domanda la capacità
di coniugare libertà - personale e comunitaria - e realtà, allora
si capisce come la libertà di educazione sia un irrinunciabile carattere
distintivo di una società veramente libera. Il grado di civiltà
di una società si giudica soprattutto a partire dal peso e dalla libertà
dati al fattore educativo da parte delle Istituzioni che sono chiamate a promuoverlo
e a garantirlo.
La libertà di educazione misura la natura autenticamente democratica
e popolare di una società. Di conseguenza giudica anche la capacità
dello Stato di svolgere la sua funzione di promotore e garante di una società
civile in cui le persone e tutti i corpi intermedi anzitutto i genitori
e le famiglie in piena libertà possano esercitare, tra gli altri,
il diritto fondamentale primario di istruzione e di insegnamento. Ma questultimo
resterebbe velleitario se non fosse accompagnato dal diritto di costituire
delle associazioni e di intraprendere delle attività sociali, culturali
ed economiche.
4. Il mito della scuola unica
Se guardiamo ora alla situazione italiana, senza isolarla dal contesto generale
(soprattutto europeo) e dai problemi provocati dai molteplici, rapidi e spesso
dolorosi processi di transizione in atto, che dire del nostro sistema scolastico
ed universitario?
La libertà di educazione è obiettivamente garantita a tutti
i soggetti che hanno il diritto di imparare cui si connette quello di ricercare
ed insegnare?
In questa sede non intendo mettere anzitutto a tema la questione della scuola
cattolica con lannoso problema di una obiettiva (e quindi anche finanziaria)
parità scolastica. Mi interrogo sulla libertà di educazione
nella nostra scuola ed università in generale, tentando una valutazione
del sistema pedagogico-universitario come tale.
Non voglio neppure ingrossare la fila di quanti, ormai da decenni, parlano
di crisi della scuola e delluniversità. È un luogo comune.
Tanto meno voglio sottovalutare lopera che ogni giorno, spesso con grande
abnegazione, genitori, docenti, studenti, personale addetto, compiono nelle
scuole di ogni ordine e grado e nelle università in quellazione
di cura che attua la vera educazione.
Mi sembra tuttavia onesto riconoscere che la scuola e luniversità
italiane devono ancora compiere un lungo cammino di trasformazione per garantire
veramente il diritto alla piena libertà di educazione.
È anzitutto necessario superare un fattore di blocco che dal punto
di vista del principio al di là quindi dei problemi strutturali
e di quelli contingenti che non sono di competenza del Patriarca impedisce
lattuazione di una piena libertà di educazione nelle scuole di
ogni ordine e grado e nelle università del nostro Paese. Lo esprimo
con una felice formula coniata dallamericano Charles Glenn: lostacolo
principale per un cambiamento innovatore del nostro sistema educativo è
il mito della scuola unica. Questo modello, al di là degli indubbi
meriti storici, persiste oggi oltre ogni ragionevolezza. Infatti in una società
frammentata e plurale come quella attuale esso è radicalmente inefficace.
5. Ragioni storiche
è impossibile in questa sede ricostruire, anche solo a grandi linee,
la storia del modello di scuola unica vigente nel nostro Paese. Non è
tuttavia difficile riconoscere che le esigenze, nate con lunità
dItalia, di promuovere la lingua nazionale ed il senso di appartenenza
alla nuova repubblica, hanno portato a concepire la scuola come luogo di formazione
del patrimonio di valori elementari comuni propri del nuovo cittadino. A tale
modello si sono però intrecciate prospettive ideologiche.
Non senza accenti anticattolici sia da parte della Destra che della Sinistra
storiche i diversi progetti - che ebbero poi nella celebre riforma Gentile,
sostanzialmente confermata nei principi dalla Costituzione del 47, lo
sbocco più duraturo ancora oggi dominante - hanno sempre optato per
il modello della scuola unica statale, ritenuta la più idonea a garantire
libertà ed uguaglianza.
La scuola indipendente, di qualunque matrice culturale, è stata ed
è sostanzialmente sopportata quando non guardata con sospetto come
potenziale fattore di divisione. Il massimo che le è stato consentito
- la parità - come dice la parola stessa, la relega ad essere sostanzialmente
una copia, più o meno riuscita, della scuola unica di Stato. E solo
nel 2000 - con la Legge 62 che istituisce il sistema scolastico nazionale
composto di scuole statali autonome e di scuole paritarie - si riconosce,
almeno sulla carta, il ruolo pubblico della scuola non statale. A ben vedere,
con lintroduzione della autonomia non avrebbe più
alcun senso operare distinzioni legate al tipo di gestione. La validità
di una scuola autonoma non dipende dallessere statale o indipendente,
ma dal suo progetto educativo. Nel nostro paese però decentramento
ed autonomia scolastici sono lontani dallessere compiuti. Permane una
forte riluttanza a riconoscere che la diversità non è solo un
rischio, ma anche unopportunità di arricchimento. Di fronte ai
comprensibili ostacoli rispunta la tentazione di affidarsi alle decisioni
di un centralismo che libera dalle responsabilità inevitabilmente legate
allesercizio affascinante della libertà.
6. Un diverso compito per lo Stato in campo educativo: dalla gestione al
governo
Quale via percorrere? Non vè altra strada che quella del coraggio di applicare fino in fondo anche al campo delleducazione il principio delle libertà realizzate sempre più invocato in tutti i settori delle democrazie laiche e plurali odierne. Questo solo può dare di fatto piena soddisfazione al diritto alleducazione dei genitori e, a partire dalla maggiore età, a quello degli stessi studenti. Diritto che, coniugato agli altri sopra richiamati, consenta ad enti associati di promuovere liberamente scuole ed università nel Paese. Lo Stato deve rinunciare in linea di massima a farsi attore propositivo diretto di progetti scolastici ed universitari per lasciare questo compito alla società civile. Deve impegnarsi invece a garantire, attraverso opportune forme di accreditamento, le condizioni oggettive di rispetto della Costituzione, soprattutto lequità nel diritto allaccesso e alla riuscita e la qualità delle proposte formulate. Lo Stato deve passare dalla gestione al puro governo del sistema scolastico-universitario. A questa scelta non osta larticolo 33 della Costituzione. Il cosiddetto processo di Bologna in atto per le università potrebbe fornire elementi utili in questa direzione. È necessario però affermare che le scuole libere, promosse da liberi attori in forza del principio di sussidiarietà, dovranno attuare anche il principio di solidarietà per garantire leffettivo e qualificato accesso di tutti allistruzione gratuita obbligatoria e, a certe condizioni, a quella superiore ed universitaria. E gli organi statali saranno chiamati, attraverso il processo di accreditamento, a rigorose verifiche.
7. Neutralità scolastica ed egemonia
Eliminare il blocco della scuola unica consentirà di superare due
difetti che hanno segnato la nostra storia e segnano il nostro presente nel
delicato campo educativo.
Mi riferisco da una parte ad una concezione equivoca della neutralità
scolastica, spesso colpevole, dallaltra, di aver trasformato scuole
ed università in terreno di lotta per legemonia. Si sostiene
che la scuola può essere laica solo se neutra, cioè indifferente
a tutte le diversità, ivi comprese quelle etniche, culturali
e religiose, destinate a crescere esponenzialmente con la massiccia presenza
di studenti di origine straniera.
E, cosa del tutto inaccettabile, questa neutralità laica della scuola
viene affidata attraverso la scuola unica di Stato ritenuta come
lunico modello in grado di garantire una trasmissione di saperi tesa
allarmonica convivenza democratica basata su valori comuni, i cosiddetti
valori di cittadinanza.
Alla giusta obiezione che nessuna ricerca scientifica a livello di qualsiasi
scienza e quindi nessun insegnamento od apprendimento può essere indifferente
rispetto alla Weltanschauung del soggetto, si crede di rispondere con largomento
del cosiddetto libero confronto fra le diverse visioni. Secondo i suoi sostenitori
questa posizione, consentendo a ciascun educando di compiere la sua sintesi
personale, ne esalterebbe la libertà.
Non pretendo qui di discutere questa tesi pedagogica perché non posso
entrare, in questa sede, nel delicato dibattito circa la natura e i metodi
delleducazione. Notiamo però che esso è sempre più
urgente a causa della radicale messa in discussione del tema dei valori e
della loro comunicazione. Insigni pedagogisti parlano in proposito di crisi
ormai endemica dellistruzione. Sarà sufficiente rilevare il dato
che gli stessi diritti umani e la stessa democrazia che, nella visione
della scuola neutra unica, dovrebbero costituirne il quadro portante - sono
oggi messi duramente alla prova. La loro universalità astratta
non sempre riesce a comporsi con luniversalità concreta
delle culture e delle religioni (in modo particolare di quella islamica).
Questa ovvia considerazione basta per dire che anche le giuste esigenze sottese
al principio di laicità declinato in una democrazia procedurale non
potranno continuare ad essere affidate ad una scuola unica di
Stato. Tanto più che la crescente frammentazione e pluralità
della società italiana, sempre più carica di contraddizioni,
è destinata ad aggravare a dismisura la perdita di efficacia educativa
di istituzioni scolastiche che continuassero a subire linevitabile rigidità
ed ingessatura della scuola unica.
In secondo luogo la scuola neutra e laica attuata come scuola unica di Stato
ha condotto alla pratica di unegemonia che contraddice in se stessa
lattuazione delle libertà in una società veramente plurale.
Infatti trasforma la scuola de iure pubblica in una scuola de facto privata
perché progettata, gestita e governata da gruppi egemoni. Non interessa
in questa sede chi abbia esercitato tale egemonia.
8. I sostanziali vantaggi di un sistema scolastico libero
Lasciarci alle spalle il modello della scuola unica per scegliere fino in
fondo la strada dellattuazione del pieno diritto alla libertà
di educazione riconosciuta ai soggetti che ne sono detentori in primis
ai genitori e alle famiglie - presenta invece innegabili vantaggi. Mi limito
ad elencarli.
Anzitutto può mettere in moto la forza pedagogica creativa della pluralità
dei corpi intermedi che già normalmente agiscono e si confrontano nel
paese.
In secondo luogo può finalmente consentire una autonomia scolastica
non formale ma che si eserciti sulle materie, sui programmi, e ancor più
sulla cura dei soggetti che, come abbiamo detto, è il fondamento di
ogni educazione.
In terzo luogo può raccogliere la sfida di elaborare, con molta maggior
efficacia, una cultura di sintesi, capace di esaltare tutte le diversità.
Una simile scuola potrà meglio inserirsi nel processo di meticciato
di civiltà per orientarlo positivamente.
In quarto luogo permette una sana emulazione e confronto tra scuole, allinterno
delle condizioni minime fissate e controllate dallo Stato, per eliminare le
situazioni carenti, migliorare la qualità del sistema, fare un uso
adeguato delle risorse economiche e realizzare leccellenza.
In quinto luogo accelera linevitabile processo di integrazione con altri
sistemi scolastici europei e non solo, eliminando definitivamente lanomalia
per cui lItalia è stata fino al 2000 il solo paese, con la Grecia,
a identificare scuola pubblica con scuola di stato.
Lo Stato e gli Enti Locali dovrebbero aiutare le famiglie e gli enti intermedi
a divenire consapevoli dei propri diritti e ad esercitarli creativamente,
anziché continuare a sostituirsi ad essi considerandoli come eternamente
incapaci e bisognosi di tutela.
In questottica il diritto alleducazione verrebbe riconosciuto
a tutti i soggetti in grado di simili intraprese scolastiche ed universitarie
veramente pubbliche, cioè al servizio di tutti. Qualunque scuola libera
dovrà essere scuola di tutti e per tutti. In una società laica
veramente plurale, in cui la democrazia si fa per procedure, possono infatti
trovare posto scuole ed università che optano per diversi modelli pedagogici.
Qualsiasi ente le gestisca, toccherà alla libertà dei genitori,
degli studenti e dei docenti operare le proprie scelte.
Sarebbe meritorio che, oltre allo Stato, anche tutte le istituzioni locali
regione, provincia e comune mettessero compiutamente a frutto
le competenze di cui già dispongono e si facessero più direttamente
carico di questa prospettiva.
In ogni caso essa mi sembra improcrastinabile per raccogliere le istanze di
articolate libertà, sempre più pressanti da parte della società
civile in tutto il paese.
9. Il soggetto del sapere: unità pedagogica, pluralità di istituzioni
Una piena libertà di educazione, poggiata su un sistema effettivamente
plurale, è esigita anche dalla molteplicità e complessità
delle discipline in cui versa oggi loggetto dei saperi che scuola ed
università sono chiamate ad elaborare e a comunicare. Questo stato
di cose orienta alla formulazione di un patto educativo fra famiglia,
scuola e i diversi soggetti sociali, culturali ed imprenditoriali perché
contribuiscano a liberi progetti educativi. Leducazione infatti è
lesito di una rete di relazioni tra soggetti educanti. È anzitutto
un fatto corale, non una funzione specialistica. Ciò non
preclude, anzi comprende, la necessità di distinguere compiti e responsabilità
tra i diversi soggetti. Sarebbe utopico contrastare lelevato tasso di
complessità e differenziazione, immaginando un ritorno a forme pre-moderne
di comunitarismo.
Una piena libertà di educazione potrebbe inoltre più facilmente
consentire quellunità del soggetto del sapere che a me pare inseparabile
dallaver cura che, come abbiamo detto, regge ogni proposta educativa.
Lunità del soggetto del sapere poggia su due principi che possono
essere accettati da una società che si vuole autenticamente laica e
plurale come quella italiana di oggi. Il principio della conoscibilità
del reale e quello della capacità dellumana ragione di ospitarlo.
I diversi soggetti (corpi intermedi), che in una società veramente
democratica godano di una completa libertà di iniziativa scolastica,
sono in grado di convenire facilmente sui questi due principi basilari. Infatti
tali soggetti, autenticamente liberi anche se legati a particolari e talora
divaricanti Weltanschauungen, non divergono sulla apertura della libertà
umana alla verità. Divergono se mai sulla misura esatta di questa capacità
o sul diametro di questa apertura o sulla definizione più o meno stretta
o larga del termine verità. Solo chi cadesse nellideologia assoluta
che pretenda di affermare, in nome della libertà, lassenza di
ogni livello anche minimo di verità giungerebbe a negare la possibilità
di una scuola veramente libera. Ma una simile posizione configura una società
in cui la democrazia è puramente ideologica e la libertà è
già venuta sostanzialmente meno.
La strada della scuola e delluniversità libera, autonoma e plurale
nei soggetti, nei programmi e nei metodi, ma accreditata da organismi istituzionali
nazionali e locali, ultimamente rispondenti alla Costituzione, appare la via
per una autentica modernizzazione del sistema di istruzione nel nostro paese.
Un tale sistema avrebbe il vantaggio di aprirsi al mondo del lavoro e dellimpresa
secondo parametri di flessibilità non più rinviabili. Diritto
allo studio di tutti, eccellenza e meritocrazia potrebbero trovarvi più
agevole sintesi.
In questottica verrebbe superata di colpo anche lannosa questione
della scuola paritaria e con essa lobiettiva ingiustizia che oggi costringe
migliaia di famiglie a pagare due volte il proprio diritto alla libertà
di educazione.