Card. Carlo Caffarra
Che cosè
la famiglia
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2006
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Pubblichiamo il testo della relazione che il card. Carlo Caffarra, arcivescovo
di Bologna, ha tenuto nella serata di martedì 30 maggio 2006, a chiusura
della Settimana della Famiglia, promossa dalla parrocchia dei
Ss. Pietro e Paolo di S. Pietro in Casale, presso il Cinema-Teatro Italia.
Oggi listituto coniugale e familiare è attaccato da tutte le
parti, in nome delle nuove concezioni di pensiero che stanno dilagando nel
nostro occidente e che si possono sintetizzare nella radicalizzazione-esasperazione
del laicismo sul piano pubblico-statale e del soggettivismo sul piano privato-individuale.
Entrambe le concezioni si presentano come una esaltazione del mito del progresso.
In questo senso, listituto matrimoniale, quale si è venuto consolidando
e codificando lungo i secoli, così come del resto la difesa dellembrione,
il rifiuto delleutanasia, la denuncia delle più svariate manipolazioni
nel campo della bioetica, vengono ritenuti come retaggi appartenenti ad unepoca
oscura di arretratezza e di subordinazione al potere della Chiesa.
E un dejà vu. Le varie ideologie, che soprattutto dal tempo dellilluminismo
in poi seducono la intellighenthia europea ed occidentale, prosperano proprio
annunciando una nuova e radiosa frontiera, un nuovo sole dellavvenire,
una nuova e luminosa era di prosperità e di felicità. E allora
è giocoforza sgombrare il terreno da ogni antropologia preesistente.
E poiché la visione cristiana della vita da due mila anni occupa il
centro della scena e resiste ad ogni blandizia seduttrice e manipolatoria,
è proprio lumanesimo nato dal Vangelo e cresciuto con la testimonianza
della comunità cristiana a diventare il bersaglio preferito, se non
unico, dei nuovi poteri forti che pretendono di sostituirsi alla legge morale,
diventando essi stessi fonte delle nuove moralità oggi
imperanti.
E la famiglia, con annessi e connessi, è uno dei primi bersagli che
si tenta di colpire, con un grande dispiegamento di mezzi: certo, non in modo
violento, perché ciò causerebbe reazioni e proteste, ma nei
modi diabolicamente suadenti, ben descritti da Soloviev quando parla dellAnticristo,
il quale si presenta come colui che mira a cercare il consenso di tutti e
predica la pace universale, togliendo dal cristianesimo proprio ciò
che da sempre lo caratterizza, ossia lo scandalo della croce, lo scandalo
di una opposizione insanabile fra bene e male, fra verità e menzogna.
E la situazione dei giorni nostri, in cui anche nella stessa cristianità,
oltre che nella società civile, la ragione ossia
il radicamento nella verità è fortemente ottenebrata,
a tutto vantaggio dei nuovi poteri ideologici, che oggi si presentano sotto
le forme più rassicuranti dei camici bianchi, dei predicatori di bontà
e di accoglienza verso tutto (più che verso tutti), delle maggioranze
parlamentari che si credono creatrici e proprietarie anche delletica.
E un male profondo che si insinua nella coscienza di tanti: il dispregio
di ciò che è vero, in nome dellamore a ciò che
è utile e vantaggioso.
Davvero stiamo entrando nella notte. E continuiamo a ballare allegramente,
come sul Titanic, ignari della tragedia che incombe. La Chiesa, insieme a
qualche altro spirito vigile, da tempo va segnalando gli iceberg. Ma il nostro
occidente appare distratto e forse anche ammaliato dalla necrofilia, da quella
voluptas moriendi che caratterizza le epoche di decadenza.
Le riflessioni dellArcivescovo di Bologna ci aiutano a riprendere in
mano la ragione e a fare un po di chiarezza su uno dei temi cardinali
di ogni società, qual è il tema del matrimonio e della famiglia.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 8 settembre 2006
Festa della Natività di Maria
Il fatto che noi questa sera ci troviamo a riflettere sulla famiglia chiedendoci
che cosa essa sia, è sintomo di qualcosa di molto serio che sta accadendo
in mezzo a noi. Se noi ci chiediamo che cosa è la famiglia, significa
che essa, o meglio che la definizione che noi fino ad ora abbiamo dato di
essa, quanto meno sottoposta a discussione.
Vorrei allora offrirvi un aiuto in questa situazione: a tutti, ma specialmente
ai giovani per le ragioni che dirò in seguito. E lo farò in
due momenti. Nel primo cercherò di rispondere alla seguente domanda:
a chi dobbiamo chiedere che cosa è la famiglia? Nel secondo cercherò
di rispondere alla seguente domanda: che cosa sta accadendo e che cosa stiamo
rischiando?
1. La scuola del cuore.
Da chi/da che cosa possiamo-dobbiamo imparare che cosa è la famiglia?
A chi lo dobbiamo chiedere?
La prima risposta possibile potrebbe essere la seguente: alle consuetudini
ed alle leggi che ci governano. Apro il Codice civile e so che cosa è
la famiglia. Ed infatti gli articoli al riguardo sono letti in ogni celebrazione
del matrimonio. Questa risposta che per sé ha pure una sua intima
ragionevolezza oggi non è più adeguata e pienamente
convincente. Per almeno due motivi.
Esistono già in Europa ordinamenti giuridici che presentano al loro
interno definizioni alternative di famiglia, e non è escluso che questo
o prima o poi avvenga anche in Italia. Dalle leggi cominciano a giungere risposte
non univoche. Da ciò si dovrebbe concludere: la famiglia è ciò
che le maggioranze parlamentari che fanno le leggi, stabiliscono che sia.
Cioè: la famiglia non ha una consistenza, unidentità sua
propria indipendentemente dalle leggi che la definiscono. Non è una
società naturale, come invece recita la nostra Costituzione.
Ed inoltre i legislatori sono ovviamente uomini come noi: donde ricavano la
loro capacità di definire che cosa è la famiglia? Si limitano
a trascrivere ciò che la maggioranza dei cittadini pensa? E la maggioranza
donde trae le sue conoscenze?
La prima risposta alla nostra domanda ci ha portato comunque ad una conclusione
o meglio a porci la domanda fondamentale: esiste una forma di famiglia che
nella sua sostanza è radicata nella natura della persona umana e che
pertanto va custodita di generazione in generazione oppure ogni forma di famiglia
è una mera costruzione culturale? La seconda risposta alla domanda
a chi dobbiamo chiedere che cosa sia la famiglia, è la seguente: lo
dobbiamo chiedere alla parola di Dio. È quindi la fede che possiede
la risposta a questa domanda. Questa risposta è vera, tuttavia non
basta da sé sola. Per vari motivi. La famiglia è una realtà
che esiste anche fuori della Rivelazione. Pertanto delle due luna: o
questa è sempre e comunque opera del male oppure luomo ha la
possibilità di scoprire con verità anche fuori della fede che
cosa è la famiglia. Cioè: la ragione umana è in grado
di dirci almeno in una certa misura che cosa è la famiglia.
Prima di procedere, devo fare a questo punto una riflessione di carattere
generale, che non riguarda più la famiglia solamente. E però
di grande importanza. Tutti noi sentiamo di esser in possesso
di alcune inclinazioni fondamentali; le chiamiamo anche, nel linguaggio comune,
istinti. Faccio qualche esempio. Cè in noi linclinazione,
listinto a conservare la nostra vita; cè in noi linclinazione,
listinto a vivere in società; cè in noi linclinazione,
listinto a sentire compassione per chi soffre. E così via. Sono
inclinazioni queste che non sono frutto di una nostra deliberazione; precedono
ogni nostra decisione. Sono inclinazioni naturali. Tuttavia la realizzazione
di queste inclinazioni è affidata alla nostra libertà, e pertanto
le modalità con cui le realizziamo possono essere assai diverse. È
certo che per conservarsi in vita bisogna mangiare, ma
si può
mangiare per vivere oppure vivere per mangiare. È certo che luomo
deve vivere in società, ma una società può darsi una
configurazione democratica o dittatoriale. E così via.
A questo punto possiamo, dobbiamo chiederci: qualsiasi realizzazione delle
nostre inclinazioni è ugualmente vera e buona? Se no, chi discerne
una realizzazione vera e buona da una realizzazione falsa e cattiva? Prima
di rispondere, vorrei che foste ben consapevoli del fatto che questa non è
una domanda che luomo può porsi, ma la domanda più importante.
Essa infatti parte dal costatare il rischio in cui ciascuno vive di realizzare
o di perdere se stessi: di vivere invano.
La ragione è la luce che in noi opera un discernimento fra la realizzazione
vera e buona delle proprie inclinazioni e una falsa e cattiva. Siamo ad un
punto centrale della nostra riflessione di questa sera.
Ogni inclinazione porta inscritta in se stessa un orientamento verso il bene
che compete alla nostra ragione di cogliere, di interpretare. Noi naturalmente
non vogliamo vivere in società in qualsiasi modo, ma con giustizia.
Naturalmente significa che ci troviamo già orientati, prima ancora
di ogni ragionamento, verso un modo di stare con gli altri: siamo fatti per
amare e non per odiare. Che diciamo bugie è un fatto, ma nessuno desidera
essere ingannato, per fare qualche esempio. Dentro le nostre inclinazioni
sono piantati come semi di virtù che la nostra ragione sa vedere e
coltivare.
Mi è capitato di conoscere persone che mangiando un cibo, mediante
il loro gusto ne sanno riconoscere tutti gli ingredienti. Così chi
sa usare rettamente la propria ragione sa discernere nelle inclinazioni presenti
nella persona umana quei semi di verità e di bene che il Signore ha
seminato in esse.
Mi fermo e ritorno al nostro tema della famiglia. Per sapere quindi che cosa
sia la famiglia, abbiamo a disposizione la nostra ragione colla sua capacità
di interpretare i nostri desideri. Potremmo dire: facciamoci accompagnare
dalla nostra ragione alla scuola della nostra persona, alla scuola del cuore
umano. E per cuore intendo il nostro io in quanto dotato
di inclinazioni, di dinamismi che lo muovono verso la propria realizzazione
e beatitudine.
Partiamo dunque in questo itinerario.
Non cè dubbio che esiste fra luomo e la donna una reciproca
inclinazione ed attrazione: è linclinazione sessuale, essa spinge
allunione sessuale fra i due. Questo è ciò che appare
immediatamente. Proviamo però a dare una lettura di questo fatto, per
coglierne il senso.
È ancora abbastanza facile capire che questa reciproca attrazione ed
inclinazione nasce dal bisogno, dal desiderio di una completezza, di una pienezza
di vita.
Ma è proprio nel momento in cui la persona realizza la sua inclinazione
sessuale, che inizia una grave difficoltà. Lunione uomo-donna
può essere realizzata fondamentalmente in due modi. O lunità
dei due si costituisce perché luno entra in possesso dellaltro
e ne può fare uso, oppure perché liberamente decidono di appartenersi
reciprocamente.
Lappartenenza reciproca fra persone può accadere mediante il
dono reciproco di se stessi. Ma poiché il dono può nascere
solo dallamore, luno è «condellaltro»
in forza di unauto-donazione reciproca nellamore.
Dunque, siamo giunti alle seguenti conclusioni: lattrazioneinclinazione
sessuale è il bisogno e linvocazione di una pienezza; la realizzazione
di questa attrazione ed inclinazione può configurarsi nella forma o
del possesso o del dono, o delluso o dellamore.
È inevitabile che ci chiediamo: quale delle due forme è quella
vera e giusta? È solo la seconda, poiché luso degrada
la persona al rango di cosa; solo la seconda, poiché solo lamore
è la risposta adeguata alla realtà della persona. Quando lattrazione
e inclinazione sessuale si realizza nella forma del possesso, si realizza
in maniera falsa [in realtà cioè non si realizza] e in maniera
ingiusta. Falsa perché equipara la persona ad un oggetto; ingiusta
perché non tratta la persona come merita di essere trattata. Solo la
forma del dono realizza la sessualità nella verità e nella giustizia.
Il dono di sé non semplicemente del proprio avere ha
una sua logica intima non rispettando la quale il dono di sé in realtà
non accade. Non può non essere totale: lavere è misurabile;
lessere è incommensurabile. Non può essere totale se non
è definitivo: la definitività esclude la particolare misura
del tempo.
Siamo dunque giunti alla seguente conclusione. Lattrazione inclinazione
sessuale chiede, esige di realizzarsi in unauto-donazione totale e definitiva.
Ma questa non è la definizione di matrimonio che sostanzialmente ha
accompagnato la storia dellumanità? La realizzazione ragionevole
conforme cioè alla realtà dellinclinazione sessuale
della sessualità umana è il matrimonio, inteso come unione
legittima fra un uomo e una donna.
Questa modalità di realizzare se stessi nel dono da parte delle persone,
«è segnata dalla diversità del loro corpo e del loro sesso,
e contemporaneamente dallunione in questa diversità e attraverso
questa» [K. Wojtyla, Metafisica della persona, Bompiani ed., Milano
2003, pag. 1475]. La categoria del dono è la chiave interpretativa
della realtà coniugale: del dono nella ed attraverso la propria mascolinità/femminilità.
Esiste unintima unità fra il dono ed il modo di essere proprio
della donna e delluomo. «La sfera sessuale è di certo qualcosa
di proprio rispetto allamore, ma tra essa e lamore coniugale cè
per così dire unarmonia prestabilita. Il suo senso
autentico è per esperienza inseparabile dal suo carattere di espressione
e dispiegamento di uno specifico tipo di amore» [D. von Hildeband, Reinheit
und Jungfraulichkeit, ed. EOS-Verlag, Erzabtei St. Otilien 1981, pag. 22].
Ma oltre a ciò la sessualità umana è capace di generare
nuove persone umane. Questa capacità è del tutto uguale a quella
animale? Oppure la nostra ragione scopre in essa una sua propria originalità?
Cercherò ora di rispondere a queste domande.
Esiste un legame molto intimo fra la comunione personale, che si forma e si
stabilisce fra uomo e donna come marito e moglie, ed il loro diventare genitori.
È un legame che può essere pensato nella metafora del frutto.
Il frutto esprime al massimo la capacità della pianta: il diventare
genitori esprime un amore coniugale che raggiunge il vertice della sua forza.
Potrei mostrarvi questo legame percorrendo varie piste. Mi limito a percorrerne
brevemente una:
quella che fino ad ora abbiamo percorsa.
Vorrei partire da un paradosso cui assistiamo ogni giorno: è normale
che nascano i bambini; è straordinario che nascano i bambini. È
normale: rientra nei fenomeni propri di ogni specie vivente; è abbastanza
spiegabile in base alle conoscenze scientifiche della fisiologia riproduttiva.
La normalità si evidenzia nella registrazione numerica dei nati: esiste
degli stessi presso ogni ufficio di anagrafe un registro con numerazione progressiva.
È straordinario: non è nato un individuo che permette il perpetuarsi
della specie umana, ma una persona che non è semplicemente un individuo
della specie umana. È nata una persona che non è numerabile
[le persone non fanno numero] perché è irripetibile. E
venuto allesistenza qualcuno di unico. Posso dire la stessa cosa dicendo:
il concepimento di una nuova persona umana è un evento e biologico
e spirituale. Fra i due eventi non cè estraneità; luno
è dentro allaltro: è il concepimento di una persona.
La comunione coniugale è lunico luogo adeguato perché
impedisce che questo fatto perda il suo carattere di straordinarietà,
diventi un dato statistico. È quando il concepimento di una nuova persona
umana avviene nellamore coniugale che la nuova persona umana è
riconosciuta nella sua unicità ed irripetibilità. La separazione
del concepimento dallatto dellamore coniugale espone la persona
del concepito in vitro al non riconoscimento della sua dignità di persona.
È un prodotto. Ora, si riproducono le cose, non le persone.
E così, come vedete, nella sua realtà intera di sponsalità-genitorialità-fraternità
«è la famiglia e deve esserlo quel peculiare ordinamento
di forze in cui ogni uomo è importante e necessario per il fatto che
è e in virtù del chi è; [è] lordinamento
il più intimamente umano edificato sul valore della persona
e orientato sotto ogni aspetto verso questo valore» [K. Wojtyla, Metafisica
, cit., pag. 1464].
Ho terminato il primo punto. Rifacciamo molto velocemente il cammino percorso.
Ci siamo chiesti: dove posso imparare che cosa è la famiglia? Ho risposto:
nel cuore delluomo e della donna. Ci siamo chiesti: chi mi conduce a
questa scuola? Ho risposto: la nostra ragione rettamente usata. Finalmente:
che cosa mi si insegna in questa scuola? Che la famiglia è fondata
e radicata nel matrimonio il quale deve essere inteso come lunione legittima
di un uomo con una donna, in ordine alla generazione ed educazione di nuove
persone umane.
2. Che cosa sta accadendo che cosa stiamo rischiando?
Sono sicuro che durante tutto il percorso che con la nostra riflessione abbiamo
compiuto, non vi ha mai abbandonato il pensiero che nella società
in cui viviamo ci sono proposte contrarie ai risultati cui è giunta
la riflessione sulla sessualità umana esposta sopra. Diventa sempre
più forte, anche nei grandi mezzi della comunicazione sociale, lopinione
secondo la quale gli Stati dovrebbero considerare veri matrimoni anche le
convivenze omosessuali, o quanto meno equipararli. Il 18 gennaio 2006 con
468 voti a favore, 149 contrari e 41 astenuti il Parlamento Europeo ha approvato
una risoluzione che invita ad equiparare le coppie omosessuali a quelle tra
uomo e donna e condanna come omofobici gli Stati e le Nazioni che si oppongono
al riconoscimento delle coppie gay. Che cosa sta accadendo nella nostra civiltà
occidentale? Che cosa stiamo rischiando? Vorrei in questo secondo punto rispondere
a queste due domande: in modo molto sintetico ed anche incompleto, ma
il tempo a disposizione si è fatto breve.
Premetto subito che la mia riflessione affronta il problema dal punto di vista
della ragione e delletica pubblica, non privata. Mi spiego. Parlerò
di forme diverse di matrimonio e famiglia, cioè di convivenze
di fatto e di convivenze omosessuali ma non per rispondere alla domanda: sono
realizzazioni vere e giuste della sessualità umana? Ma per rispondere
alla domanda: la legge civile come deve considerare le forme di realizzazione
della sessualità umana diverse da quella matrimoniale?
Il problema oggi si è terribilmente complicato poiché in esso
si introducono temi, esigenze che attengono allethos pubblico del nostro
Occidente.
La risposta che oggi cerca di imporsi come lunica coerente con le basi
della nostra convivenza civile è sostanzialmente la seguente.
Ogni concezione della propria sessualità ha uguale diritto di
essere praticata. Questa affermazione è lapplicazione di
un principio basilare delle nostre società liberali: il principio di
autonomia. Unico limite che si deve porre è quando la realizzazione
della propria concezione della sessualità viola diritti soggettivi
di terzi: pedofilia e stupro.
Dunque nessuna pratica della sessualità deve essere trattata
dalle leggi meglio di unaltra, poiché se così fosse, la
parzialità di trattamento sarebbe ingiusta comportando una scelta ideologica.
Questa seconda affermazione è lapplicazione dellaltro principio
basilare delle nostre società liberali: il principio di uguaglianza.
La riposta dunque alla prima domanda è la seguente: se vogliamo custodire
i due pilastri della nostra società occidentale, autonomia ed uguaglianza,
il matrimonio ed altre forma di realizzazione della propria sessualità
devono essere trattate dalla legge con uguale trattamento.
In teoria, la legge civile ha a disposizione cinque trattamenti: punizione,
tolleranza, ignoranza, rispetto, condivisione. Lasciamo subito fuori della
nostra considerazione la prima e la seconda, che non hanno nulla a che far
col tema che stiamo trattando. Poiché la società non può
costituirsi senza rispettare e condividere listituto matrimoniale, si
propone che uguale rispetto e condivisione la legge civile deve avere nei
confronti degli altri modi di realizzare la propria sessualità in concreto.
Cioè matrimonio, convivenze di fatto, convivenze omosessuali esigono
da parte della legge uguale rispetto e condivisione. È importante notare
che luguaglianza nel rispetto e nella condivisione esige anche uguaglianza
nellattribuzione delle risorse pubbliche.
Di fronte a questa posizione il mio pensiero è il seguente. È
una tesi insostenibile perché contrasta il bene comune, ed espone la
società civile a gravi rischi. Lidea di fondo, la tesi che sostengo,
è la seguente: tra le diverse forme di vita sociale e i diversi stili
di vita personale lo Stato deve privilegiare e favorire quelli che creano
e custodiscono valori sociali o «capitali sociali», a preferenza
di quelle forme e stili di vita che non li costituiscono o li usurano.
Mi limito ad una sola riflessione, ma che reputo fondamentale. La convivenza
civile non può sussistere se non è pervasa da uno spirito particolare,
da un ethos impastato di fiducia reciproca, di senso del bene comune, di fraternità,
di responsabilità. La convivenza civile ha bisogno di questi capitali
sociali. La legge quindi deve favorire le formazioni sociali che li
producono.
È davvero giunto il momento di interrogarsi se una totale neutralità
dello Stato di fronte a qualsiasi concezione di vita buona alla fine
non dilapidi il suo [dello Stato] necessario ordine normativo ed i capitali
sociali indispensabili. In questo senso, il relativismo etico soprattutto,
ma anche lagnosticismo etico non è una base consistente per una
giusta convivenza umana.
Ora ritorniamo al nostro tema. La vita coniugale intesa nel senso tradizionale
esposto sopra ha in se stessa e per se sessa una preziosità ed una
bontà umana che merita di essere difesa e privilegiata da chi la responsabilità
del bene comune.
Ho parlato di bene comune. Esso denota la bontà propria
della relazione sociale; è la bontà propria insita nella relazione
sociale. Esso è parte costitutiva del bene della persona poiché
questa è costitutivamente sociale; laffermazione e la realizzazione
di se stesso implica necessariamente laffermazione di ogni altra persona.
Il fatto umano originario è che luomo ècon luomo.
Una visione individualistica delluomo secondo la quale la relazione
allaltro non è originaria e non appartiene alla natura della
persona, è falsa. Costruire una civiltà ed una cultura giuridica
su questa base; edificare la civitas su questa visione, porta inevitabilmente
a negare il bene della persona.
Orbene, se riflettiamo sulla società coniugale nel senso tradizionale,
vediamo che in essa si realizza in nuce il bene intero insito nella relazione
sociale. In questo senso profondo da sempre la sapienza giuridica dei popoli
afferma che prima societas in coniugio, ove la primarietà denota non
ovviamente una qualità cronologica ma una principalità. Come
a dire: ciò che la società umana è come tale, è
già al principio presente nella società coniugale.
In questa infatti laltro è affermato in quanto altro, ma, nelluguaglianza
dellessere e della dignità. Lalterità radicale in
cui si dualizza la natura umana è costituita da femminilità
e mascolinità: la persona umana è uomo e donna. Ma nello stesso
tempo uomo e donna sono allo stesso grado persona umana. Si ha allinterno
dellidentica natura umana la tensione dialettica fra alterità
[= luomo non è come la donna] ed identità [= uomo e donna
sono ugualmente persone], che trova la sua soluzione archetipale nella comunità
coniugale. Ho detto archetipale. Cioè: quanto accade nella
comunità coniugale è «arché-typos» di ogni
vero e buon rapporto sociale ove laltro è affermato e riconosciuto
come tale [nella sua alterità] ma dentro al riconoscimento dellidentica
dignità di persona: laltro come se stesso. Non a caso il secondo
capitolo della Genesi narra la nascita del rapporto sociale, luscita
dalla solitudine originaria, non in un indistinto incontro con laltro,
ma nel porsi della donna di fronte alluomo.
È nella comunione coniugale che si costituisce il capitale sociale,
che nella comunità omosessuale non viene neppure iniziato. Questa è
la diversità essenziale fra le due.
Ne deriva che nelledificazione di un sociale umano buono, in altre parole
in ordine alla difesa e promozione del bene comune umano, restare neutrali
di fronte al fatto che la comunità sessuale-affettiva fra persone umane
si configuri eterosessualmente o omosessualmente, significa restare neutrali
di fronte al bene comune: a che si edifichi o non una vita associata buona.
Penso di trovare una conferma dellingiustizia insita nellequiparazione
civile di cui stiamo parlando, in una conseguenza che a lungo termine non
potrebbe non manifestarsi, dal momento che essa [equiparazione] la contiene
in germe.
Lequiparazione fra convivenza omosessuale e comunità coniugale
è pensabile solo partendo dallaffermazione che non esiste una
modalità nel realizzare la propria sessualità-affettività
che possa essere socialmente non riconosciuta, purché sia rispettata
lautonomia dei partners e la loro libertà. Esclusi quindi pedofilia
e stupro, lequiparazione di cui stiamo parlando eliminerebbe nellethos
e nella ragione pubblica quei principi in base ai quali la nostra cultura
giuridica ha rifiutato la poligamia ed il poliamore, ovvero la molteplicità
simultanea di relazioni sessuali stabili.
Ho parlato finora di equiparazione fra matrimonio e convivenze omosessuali.
A questo punto devo inserire la riflessione sulla forma di convivenza eterosessuale
senza vincolo coniugale vero e proprio: le unioni di fatto. Ciò che
la differenzia dalla comunità coniugale è il rifiuto precisamente
del reciproco vincolarsi, cioè del reciproco consegnarsi. È
in sostanza una convenzione fra due individui che vogliono rimanere tali,
cercando di avere da questa convivenza vantaggi e benessere affettivi o altri
[non necessariamente illegali]. Il «bene sociale» insito in questa
convivenza è quindi essenzialmente diverso da quello insito nella comunità
coniugale in senso tradizionale. Ora ciò che non è uguale non
può essere equiparato. E ancora una volta la conseguenza della progressiva
legittimazione della molteplicità simultanea di relazioni sessuali
non è da escludere come conseguenza anche dellequiparazione fra
convivenza di fatto e comunità coniugale.
Ma in ordine alla costituzione del «capitale sociale» è
necessario prendere anche in considerazione il grande tema della generazione
della persona.
Partiamo da un riflessione semplice. Ciò che qualifica in modo proprio
e specifico la genitorialità umana non è semplicemente la generazione
biologica, ma la generazione nel figlio dellumano, cioè leducazione.
Penso che non sia difficile capire che in ordine al bene umano comune il fatto
educativo sia di importanza decisiva. Chi dunque ha responsabilità
primaria del bene comune può rimanere neutrale a che la persona sia
generata [nel senso profondo sopra indicato] allinterno di una
comunità coniugale o di una convivenza di fatto? A che la persona sia
generata allinterno di una comunità coniugale oppure possa essere
affidata ad una coppia omosessuale riconosciuta come coppia genitoriale?
È un motivo fondamentale ed una ragione fra le più convincenti
che la comunità coniugale debba essere protetta e non equiparata in
nessun modo a nessunaltra convivenza sessuale-affettiva, la sua singolare
idoneità ad assicurare ai figli la necessaria educazione perché
possano crescere umanamente bene.
Se questo è vero come i fatti dimostrano, lequiparazione che
rifiutiamo, è da ritenersi ingiusta perché non rispetterebbe
luguaglianza di ogni persona umana. Equiparare in ordine alla genitorialità
matrimonio, convivenze di fatto e convivenze omosessuali significa essere
neutrali di fronte al fatto che non sono assicurate le stesse condizioni educative
alla persona che ha diritto di essere educata. È di fatto impedita
luguaglianza a livello dellesercizio di un diritto fondamentale
delluomo.
Termino con una riflessione di carattere più generale. Anche se non
raramente negata nella teoria giuridica, la rilevanza educativa della legge
civile è un fatto. Essa contribuisce non raramente e non superficialmente
a formare lethos pubblico e i convincimenti della ragione pubblica.
Ciò è particolarmente vero per listituzione matrimoniale.
La legge può configurare la comunità coniugale come una forma
di comunione sessuale-affettiva cui i singoli sono liberi di accedere, ma
la cui definizione non è a disposizione di chi si sposa: non può
essere formulata e riformulata a piacimento. Oppure la legge può decidere,
attraverso lequiparazione di cui parlavo, che il matrimonio ricevuto
dalla tradizione è frutto di mera convenzione sociale e che pertanto
il matrimonio può essere pensato e realizzato nei modi corrispondenti
ai desideri, interessi e scopi propri di ogni individuo.
Il risultato della seconda scelta giuridica non sarà a lungo termine
che nellethos e nella ragione pubblica matrimonio ed altre forme di
convivenze avranno la stessa stima e riconoscimento? Il risultato sarà
che lequiparazione di fatto sosterrà quelle visioni delluomo
che non sono ospitali vero la monogamia, e che alla fine potrebbe minare listituzione
matrimoniale alla base.
Il prof. Joseph Raz ha scritto: «la monogamia, ammesso che rappresenti
lunica valida forma di matrimonio, non è alla portata dellindividuo.
Per poterla vivere, essa richiede una cultura che la riconosce e che la sostenga
attraverso latteggiamento del settore pubblico e delle istituzioni»
(desumo questo testo dal sito www.zenit.org).
Ovviamente Raz non intendeva dire che la persona in qualsiasi ordinamento
giuridico non possa essere capace di comprendere e di scegliere il matrimonio.
Egli pensa - e consento con lui - che il matrimonio è un istituto fragile
se non è sostenuto dalle leggi e dalle istituzioni. Lorientamento
della ragione pubblica è decisivo per difendere il matrimonio. La mia
tesi è che lequiparazione costituisce una rinuncia a questa difesa,
e quindi una abdicazione alla promozione del bene umano comune.
Conclusione
Abbiamo percorso un lungo e faticoso cammino. A noi credenti la fede offre
un cammino più breve. Essa ci dona una luce che purifica la nostra
ragione e la sostiene. Non assimileremo mai abbastanza la grande dottrina
cristiana del matrimonio e della famiglia.
Questo tuttavia non ci esime dal rendere ragione della nostra fede a chi non
crede; dal rendere ragione che la verità che la fede ci insegna circa
il matrimonio e la famiglia, non è solo cristiana. È semplicemente
umana: il Vangelo del matrimonio è la risposta adeguata ai desideri
più profondi delluomo e della donna che si sposano. Con Cristo
arriva al banchetto nuziale il miglior vino. Lo dico soprattutto a voi giovani.