Alberto Franzini
SUI SENTIERI
DEL MISTERO
I grandi perché della vita aprono
alla scoperta di Dio
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2006
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Questo fascicolo contiene una mia lezione che mi è stata
chiesta dal responsabile dellUfficio Diocesano di Pastorale Scolastica,
don Claudio Anselmi nellambito dei Corsi di formazione e di aggiornamento
degli insegnanti della Scuola materna ed elementare in materia di insegnamento
della religione cattolica.
La presente lezione è stata tenuta a Casalmaggiore, a Cremona e a Caravaggio
durante lanno scolastico 2005-2006.
Essa affronta il percorso umano fondamentale, ossia il percorso che caratterizza
luomo in quanto tale. Luomo è un cercatore di senso. E
affinchè questa ricerca giustamente definita religiosa,
in quanto colloca luomo su sentieri che provengono da lontano e vanno
lontano non appaia unutopia irrealizzabile, un sogno a buon mercato,
una fiaba illusoria e quindi foriera di delusioni come vorrebbe latteggiamento
ideologicamente scettico di tante parte della cultura occidentale contemporanea
tale ricerca è qui declinata sul sentiero dellesperienza
umana universale. Ogni uomo cammina sui sentieri del mistero, che assumono
le forme più disparate dentro al nostro vivere quotidiano.
Si tratta di cercare la verità di se stessi, del mondo,
dellintera realtà che ci circonda: la realtà è
ricca di segnali, di indicazioni, di stimoli che ci portano sul sentiero di
Dio, un sentiero che il mondo contemporaneo vorrebbe censurare in nome della
laicità. Papa Benedetto XVI da sempre combatte contro lemarginazione
di Dio dal cuore delluomo e dalla vita pubblica: e lo fa, anzitutto,
prima che in nome di Dio, in nome delluomo, che ha il diritto e il dovere
appunto di cercare la verità, perché luomo è stato
creato capace di verità. E solo lincontro e laccoglienza
della verità rendono luomo davvero libero e felice. Ogni altro
atteggiamento, che mortificasse la ricerca delluomo, ne impedisse lesito
o ne vietasse il cammino negli spazi pubblici del vivere sociale e civile,
questo, anziché essere manifestazione di laicità, è imposizione
del suo contrario, ossia del fondamentalismo laicista, che sta seducendo
come un nuovo vento liberatorio i pulpiti mediatici, le
cattedre culturali e gli areopaghi legislativi del nostro Occidente.
Il relativismo e lo scetticismo che predicano linesistenza della
verità o lincapacità, se non addirittura linutilità
o la dannosità di cercare il vero da parte delluomo finiscono
con il negare la dignità stessa della persona umana, perché
la impoveriscono, appiattendola al livello del mondo creato e togliendole
quello che ha di più prezioso, ossia la ricerca di ciò che è
trascendente.
Dedico queste riflessioni ai giovani del nostro Oratorio Maffei:
perché, insieme a don Davide, nei loro incontri settimanali
se lo riterranno opportuno contribuiscano ad approfondire, ad irrobustire
e a convalidare questi pensieri, che si presentano con il tono minore di semplici
tracce, di umili schizzi di un percorso che va portato a compimento con il
dialogo reciproco e con unattenzione diversa, meno banale e più
coraggiosamente attenta alla propria esperienza di vita, ai moti del proprio
cuore e ai desideri, per fortuna incancellabili, della propria intelligenza.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 28 agosto 2006
Memoria liturgica di SantAgostino
Lesperienza umana fondamentale è caratterizzata non solo dallesperire
singole esperienze (di tipo affettivo, conoscitivo, politico, culturale, ricreativo,
professionale, scientifico, politico
), non solo dal giudizio che si
può dare sulle singole esperienze, bensì dallaffrontare
linterrogativo di fondo su tutto ciò che luomo compie.
Linterrogativo del senso religioso è il seguente:
che senso ha tutto? La storia dellumanità è la continua
documentazione che non è mai esistito alcun uomo che non si sia posto
il problema religioso, ossia il problema dellesistenza,
del senso e della finalità della realtà: di tutta la realtà,
certo soprattutto della realtà umana, ma poiché luomo
vive in un contesto storico-ambientale, il problema del senso riguarda lintera
realtà.
Seguiremo alcune piste sulle dimensioni più profonde che da sempre
caratterizzano luomo concreto e storico, il quale cerca di realizzare
il senso ultimo della propria esistenza, ma non trova né in sé,
né negli altri, né nel progresso storico, né nella scienza
e nella tecnica la risposta fondamentale a questo suo desiderio inalienabile.
1. Esperienza del senso
Luomo, diversamente dallanimale e dalla pianta, non solo vive,
ma si pone la domanda sul perché della vita, ossia sul suo senso ultimo.
Uno dei brani letterari più belli è là dove il pastore
errante dellAsia di Leopardi ripropone alla luna le domande fondamentali
che attraggono e anche angosciano ogni uomo:
Spesso quando io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in un suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa laria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir
Questa solitudine immensa? Ed io che sono?
Analogamente il poeta Giuseppe Ungaretti in sua celebre poesia, dal significativo titolo Dannazione, così si esprime:
Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
Qui Ungaretti esprime luniversale insofferenza umana del limite, rappresentato
dalla strettoia della finitezza, della caducità e della morte, che
colpisce tutti e tutto, perfino il cielo stellato, ossia la grandiosità
delluniverso. E da questa insopportabile e dannata insofferenza, esce
il grido umanissimo: perché bramo Dio? Ecco il mistero della vita umana:
la coscienza della propria tragica finitezza, che cozza contro il desiderio
di pienezza, di felicità e di immortalità (ossia di quel che
convenzionalmente il linguaggio umano chiama Dio: ossia il tuttaltro
dalluomo, seppure il suo compimento) che luomo si porta dentro
da sempre e per sempre.
Anche il Concilio Vaticano II, in un testo classico della costituzione pastorale
Gaudium et spes, quando analizza la condizione delluomo nel mondo di
oggi, annota:
Di fronte allevoluzione attuale del mondo, diventano sempre più
numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi
capitali: cosè luomo? Qual è il significato del
dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere?
Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte? Che reca
luomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa
ci sarà dopo questa vita? (n. 10).
Queste domande si trovano al fondo del nostro essere: sono inestirpabili,
perché costituiscono come la stoffa di cui è fatto luomo.
San Paolo, nel discorso davanti allAreopago, quando discorre con gli
ateniesi della ricerca di una risposta alle domande ultime che stanno al fondo
del nostro essere, le identifica proprio con quellenergia fondamentale
che tutto signoreggia e che spinge gli uomini e i popoli alla ricerca di Dio,
nel quale noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei
vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo (Atti
17, 28). Qualunque moto delluomo ha questa sorgente e dipende da quellultima,
originale, enigmatica fonte che non ha ancora un volto definito, ma che è
considerata reale, perché senza di essa la realtà non ha fondamento,
né consistenza.
Dunque ogni uomo viene ad imbattersi nella domanda di fondo: chi sono io?
Chi è luomo? Che senso ha tutta la realtà nella quale
mi trovo? E una domanda che sorge nel tempo della adolescenza e della
giovinezza in modo violento, anche se sembra oggi essere soffocata da tante
esperienze e alienata da tante pseudorisposte. La domanda non scompare con
letà adulta e diventa acuta con lapprossimarsi della vecchiaia
e della morte. Questa domanda si propone continuamente e sotto forme anche
molto diverse per tutta la vita: la si può rimandare, occultare, annullare,
ma essa riemerge sempre, perché è la domanda che qualifica lessere
umano, anzi che coincide con lessere umano.
Luomo infatti non ha la facoltà di porsi e di non porsi questa
questione, poiché egli è uomo proprio per il motivo che è
egli stesso una grande questione, come già affermava s. Agostino: Factus
sum mihimetipsi quaestio magna, ossia sono diventato a me stesso una grande
questione, una questione irrisolta con le mie sole forze umane, ma una questione
che porta in sé la radicale esigenza di risposta. Se dunque luomo
non è originariamente colui che pone tale questione, ma piuttosto essa
gli viene posta nel senso che si impone da sé sorge allora
necessariamente la domanda: da dove viene tale questione? Possiamo per il
momento rispondere che tale questione viene posta alluomo da quel mistero
assolutamente impenetrabile dal quale egli stesso proviene. La questione proviene
dallorigine stessa, ossia da quel mistero da cui è originato
luomo stesso.
Qui per mistero intendiamo non semplicemente ciò che non è ancora
conoscibile con gli attuali strumenti conoscitivi, ma che si renderà
palese non appena si allargheranno gli orizzonti del nostro conoscere; bensì
intendiamo ciò che per natura sfugge alla nostra conoscenza tematica
e sperimentale e che proprio per questo ne costituisce il fondamento.
Qui ci soccorre un brano di un teologo del Novecento, Karl Rahner:
Ogni vita sta sotto il segno di una realtà inevitabile: il mistero.
Il mistero non è il residuo non ancora esplorato, non ancora attuato
e realizzato, ma è di tutto questo la premessa e il fondamento portante.
Infatti proprio lo sguardo lanciato al di là di ogni pensabile o realizzabile
concreto, proprio limpossibilità di fondo di limitare ogni movimento
della conoscenza e della libertà tramite un dato singolo determinato,
un punto di arrivo definitivo, è condizione della possibilità
e della peculiarità della realizzazione umana della vita. Noi siamo,
pensiamo e operiamo in libertà solo se abbiamo sorpassato il già
determinato e il già compreso in un movimento che non ha alcun limite.
Se ci consideriamo come uomini sottoposti a limiti (come appunto siamo in
svariatissimi modi), abbiamo già superato i limiti; certo con una specie
di passo nel vuoto, ma si tratta pur sempre di un superamento e, inoltre,
esperiamo noi stessi come soggetti dellininterrotto andare oltre noi
stessi, verso una realtà non abbracciabile che appunto perché
tale dobbiamo definire infinita e coincidente con il mistero puro e semplice;
il mistero infatti, come condizione di tutta lattività di capire,
distinguere e coordinare, non può più venir esperito nella stessa
modalità di cui il mistero stesso è condizione (Esperienza
di Dio oggi, in Nuovi Saggi IV, Roma 1973, pp. 213-4).
Le modalità, infine, con cui sorge la questione del senso ultimo possono
rivestire le forme più diverse, a seconda delle situazioni: in una
situazione di gioia, quando la nostra esistenza e il mondo intero ci appaiono
ricchi e piacevoli; o, al contrario, in una situazione di dolore e di angoscia,
quando ci imbattiamo nello smacco o nel fallimento dei nostri progetti; nei
momenti in cui ci sentiamo accolti e amati dagli altri; in una situazione
di noia terribile, quando tutto ci appare vuoto e senza senso; oppure quando
incontriamo il mistero del fallimento e della morte. Si tratta di esperienze
che luomo non può completamente manipolare a suo piacimento,
ma che gli vengono offerte dal mistero stesso dellesistenza e che in
qualche modo rendono manifesto questo stesso mistero, ne sono per così
dire le finestre che ce lo fanno intravedere.
Luomo comunque è spinto a cercare la risposta a tali questioni,
come già suggerisce lesperienza di S. Agostino: Signore,
ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finchè non
riposa in Te. Solo la realtà di Dio, solo laffermazione
del mistero come realtà esistente oltre la nostra capacità conoscitiva
corrisponde alla struttura originaria delluomo: perché luomo
è quel livello della natura in cui esso si chiede perché
ci sono.
Diventa necessaria una precisazione, anche di carattere metodologico. Il
discorso sul mistero diventa particolarmente difficoltoso soprattutto a causa
della cultura antimetafisica oggi imperante, che, riconoscendo come reale
soltanto ciò che è concreto, finisce con il ridurre la realtà
a ciò che è sperimentalmente verificabile. Il reale invece non
va confuso e ridotto solo a ciò che è concreto. Non sono le
scienze sperimentali a dare la risposta adeguata al mistero della persona
umana, anche se sono indispensabili per comprenderne il funzionamento periferico;
bensì sono le scienze umane a suscitare e a orientare le domande più
profonde e più vere, ossia la letteratura, larte, la poesia,
la filosofia, la religione. Le scienze sperimentali studiano ciò che
è concreto, ossia ciò che empiricamente verificabile, ma sono
inadeguate a conoscere tutto ciò che è reale. La dimensione
del reale è infinita, mentre la dimensione del concreto è limitata.
Un esempio per tutti. Le scienze sperimentali mi diranno come è composta
chimicamente una lacrima: di acqua, di sali minerali e di quantaltro;
ma non mi diranno mai se quella lacrima è di gioia o di dolore. E così
è la persona umana: le scienze sperimentali mi diranno come è
composta la persona umana; ma non mi diranno mai qual è il senso, la
qualità, il fine, il mistero della persona umana. Laffermazione
di ciò che è trascendente, ossia di ciò che trascende
la fisica (metafisica) non può essere posta dalla scienza, come
del resto la sua negazione. Perché la scienza possa legittimamente
porre simili affermazioni, si dovrebbe arrivare a sostenere che la scienza
ha come oggetto lessere nella sua totalità. In questo caso la
scienza, diventando scientismo (oggi molto diffuso nella nostra cultura) si
arrogherebbe il posto e il compito della filosofia e della religione. Un grande
teologo del Novecento, H. De Lubac, ha scritto molto opportunamente:
Se affidassimo alla scienza il compito di affermare o di negare Dio,
si cadrebbe prigionieri dellillusione che fa della conoscenza scientifica
il solo tipo di conoscenza valida, dimenticando il soggetto conoscente. Ecco
perché la prova di Dio deve spesso oggi iniziare da un processo preliminare
che consiste nel situare, definire, caratterizzare, fondare e quindi criticare
lattività scientifica, al fine di sapere ciò che si è
in diritto di attendere da essa e ciò che essa è in grado di
apportare o rigettare. Se poi la conoscenza di tipo scientifico viene
considerata come lunica forma valida di conoscenza, se, in altri termini,
si facesse strada la convinzione che nelluniverso non si trovano
che degli oggetti, interamente conoscibili e decomponibili mediante
lanalisi, e mai dei soggetti mai degli esseri
lattitudine delluomo di fronte a questo universo non può
essere in alcun modo né di contemplazione, né di preghiera,
né di fede (H. De Lubac, Athéisme et sens de lhomme,
Paris 1968, pp. 49-50).
Se dunque luomo fosse il soggetto di una tale scienza che non potesse
concepire che degli oggetti, allora non solo Dio, ma anche luomo non
esisterebbe più come uomo. La cultura scientista sottende unantropologia
immanentista e depauperata. Assolutizzando la dimensione tecnico-demiurgica
delluomo, arriva di fatto a mutilare luomo stesso, a renderlo
impermeabile rispetto alle altre dimensioni che non siano accessibili ad una
griglia tecnico-scientifica. Emarginando la metafisica, si emarginano anche
tutti gli altri aspetti non oggettivabili e non verificabili sul piano scientifico
e si finisce per avvallare una concezione errata o parziale della ragione
umana: una ragione ridotta a pura funzione calcolatrice. Un uomo che diventasse
incapace di ascolto, di meraviglia, di accoglienza, di presa di coscienza
di fronte al grande mistero della realtà e dellesistenza, un
uomo che si mettesse nellimpossibilità di stupirsi, di gioire,
- perché in forza di questa ipervalutazione della ragione scientifica
ha confinato nel regno dellimmaturità o della alienazione mitologica
o della nevrosi psicologica tutta la dimensione simbolica e spirituale della
sua esistenza non soltanto sarà un uomo non-religioso,
ma si ridurrà ad essere meno-uomo.
Se dunque le domande ultime sono la stoffa, il costitutivo della coscienza umana, come fanno a destarsi? Cercheremo ora di individuare la struttura della reazione che luomo ha di fronte alla realtà, per individuarne le dinamiche fondamentali.
2. Lo stupore della realtà
Se uscissimo dal seno materno con letà che abbiamo ora da adulti,
la prima dinamica che si accende di fronte alla realtà sarebbe di stupore
e di meraviglia. Saremmo stupiti di fronte alle cose che vediamo,
ossia di fronte allessere. Il primo sentimento delluomo
è quello di essere di fronte ad una realtà che non è
sua, che non ha fabbricato lui, che esiste indipendentemente da lui e da cui
lui dipende. Già San Paolo, nella lettera ai Romani, afferma che chi
non crede in Dio è inescusabile, perché deve rinnegare questa
originale esperienza dellAltro: Ciò che di Dio si può
conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti
dalla creazione del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere
contemplate con lintelletto nelle opere da lui compiute, come la sua
eterna potenza e divinità; essi dunque sono inescusabili, perché,
pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie
come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata
la loro mente ottusa (1, 19-21).
Lebreo A.J. Heschel scrive a proposito:
Lassoluto stupore è per lintelligenza della realtà
di Dio ciò che la chiarezza e la distinzione sono per la comprensione
delle idee matematiche. Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime
(Dio alla ricerca delluomo, Torino 1969, pp. 273-4).
La realtà appare dunque come un dato, ossia come un dono, da accogliere
nello stupore. E questo stupore che suscita la domanda ultima dentro
di noi: non una registrazione a freddo, non una semplice costatazione intellettuale,
ma una meraviglia gravida di attrattiva.
Non cè posizione più retrograda e falsa di chi ritiene
che la religione sia nata dalla paura. La paura non è il primo sentimento
delluomo. Il primo sentimento è unattrazione. La paura
nasce in un secondo momento come riflesso del pericolo percepito che quella
attrazione venga meno. Prima di tutto vi è lamore allessere,
lo stupore di fronte alla realtà, che si manifesta come attaccamento
alla vita: successivamente sorge il timore che quellevidenza scompaia,
che lessere sfugga di mano
La religiosità è anzitutto
laffermarsi e lo svilupparsi dellattrazione e della ricerca circa
il senso dellessere. La paura è unombra che cala come seconda
reazione.
Unaltra grande modalità attraverso la quale io mi imbatto nella
realtà è data dalla parola altro, alterità.
Qui si intravedono almeno tre sfumature.
La prima sfumatura è appunto quella della alterità
del reale, come cosa genericamente intesa.
In un frangente successivo distinguo in questa realtà i volti, le cose,
gli ambienti.
Solo in un terzo momento io mi accorgo di me stesso.
Questa è anche la traiettoria del bambino che diventa uomo.
3. Il cosmo
Luomo, una volta che si accorge di questo essere reale,
percepisce anche che cè un ordine dentro questa realtà.
Questa realtà è cosmica (in greco cosmos vuol dire
appunto ordine). Lordine porta con sé la bellezza: lo stupore
originario, di cui si parlava sopra, implica lattrazione verso la bellezza
armonica. Qui si coglie tutta limportanza delle riflessioni di San Tommaso
dAquino, grande sostenitore della capacità metafisica
della ragione umana. Scrutando e riflettendo sui dati percepiti dai sensi,
la ragione delluomo è in grado di giungere alla necessità
della causa che sta allorigine di ogni realtà sensibile. La Bibbia,
nel libro della Sapienza, ha un passo molto chiaro in proposito:
Davvero stolti per natura tutti gli uomini
che vivevano nellignoranza di Dio,
e dai beni visibili non riconobbero colui che è,
non riconobbero lartefice, pur considerandone le opere.
Ma o il fuoco o il vento o laria sottile
o la volta stellata o lacqua impetuosa o i luminari del cielo
considerarono come dèi, reggitori del mondo.
Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per déi,
pensino quanto è superiore il loro Signore,
perché li ha creati lo stesso autore della bellezza.
Se sono colpiti dalla loro potenza e attività,
pensino da ciò a quanto è più potente colui che li ha
formati.
Di fatti dalla grandezza e bellezza delle creature
per analogia si conosce lautore (13, 1-5).
Il brano biblico introduce la parola analogia, che è molto
importante nel nostro itinerario.
4. Analogia
E una parola che deriva dal greco (anà, sopra; lògos,
parola, discorso). Lanalogia dunque rivela la struttura di impatto delluomo
con la realtà, che suscita nelluomo una spinta che lo induce
a cercare e a trovare un significato della realtà stessa, un significato
che sta più in là, che è oltre, che è appunto
anà, più in su.
Lanalogia spinge a vivere sempre intensamente il reale senza preclusioni,
cioè senza rinnegare e dimenticare nulla. Non è umano, cioè
non è ragionevole, considerare lesperienza limitatamente alla
sua superficie, senza scendere nel profondo.
Il positivismo, che domina la mentalità delluomo di oggi, esclude,
invece, la sollecitazione a scoprire il significato che ci viene suggerito
dallimpatto originario con la realtà. Vorrebbe imporre alluomo
di fermarsi a ciò che appare; ma questo è soffocante. Infatti,
quanto più uno vive intensamente il suo impatto con la realtà,
tanto più incomincia a conoscere qualcosa del mistero. Ciò che
blocca la dimensione religiosa autentica è una mancanza di serietà
e di presa di coscienza del reale. Da qui la conclusione: il mondo è
come un parola, un lògos, che rinvia ad altro, è come un invito
che fa intravedere un significato, che sta oltre, più su, anà.
Il mondo è come un segno che mi rimanda ad altro. Il segno è
una realtà il cui senso è unaltra realtà; è
una realtà sperimentabile che acquista il suo significato conducendo
ad unaltra realtà. Anche nei nostri rapporti quotidiani facciamo
ogni giorno esperienza del segno: un regalo, un saluto, una stretta
di mano, un bacio
sono segni che non si esauriscono in se stessi, ma
diventano significativi proprio perché rimandano ad altro.
Così è lintero mondo: è un grande segno che rimanda
ad altro, anzi ad un Altro.
5. Realtà provvidenziale
Non solo luomo si accorge che la realtà è bella, attira,
rimanda ad altro: constata anche che essa si muove secondo un disegno di ragionevolezza
e di favore. Questa realtà fa il giorno e la notte, il mattino e la
sera, stabilisce i cicli per cui luomo può ritemprarsi e sostenersi,
può riprodursi generando la vita. Le religioni più antiche mettevano
in risalto il mistero della fecondità della terra e della donna.
E quello che adombra anche la Bibbia, dopo il diluvio:
Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò:
Non maledirò più il suolo a causa delluomo,
perché listinto del cuore umano è incline al male fin
dalladolescenza;
né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.
Finché durerà la terra,
seme e messe, freddo e caldo,
estate e inverno, giorno e notte
non cesseranno (Gen 8, 21-22).
Ed è quello che adombra San Paolo nel suo discorso a Listra, in Asia
Minore, quando, avendo egli compiuto un miracolo, tutta la gente era andata
da lui e da Barnaba, prendendo lui per Ermete (il dio più piccolo)
e Barnaba per Zeus (il dio più alto e più forte):
Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani,
mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità
al Dio vivente che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che
in essi si trovano. Egli nelle generazioni passate ha lasciato che ogni popolo
seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando,
concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo
e riempiendo di letizia i vostri cuori (Atti 14, 15-17).
Queste sono le tracce del discorso originale di ogni religione antica: il senso del divino come provvidenza.
6. Lio dipendente
A questo punto, quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza,
dallo stupore, ed è reso grato, lieto, perché questa presenza
può essere benefica e provvidenziale, luomo prende coscienza
di sé come io, ad un livello maturo che gli fa comprendere
la statura della sua identità.
Io mi rendo conto che levidenza più grande e profonda che percepisco
è che io non mi faccio da me. Non mi do lessere, non mi do la
realtà che sono: piuttosto, sono dato. E il traguardo
adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa daltro.
Quanto più io scendo dentro me stesso, mi pongo la domanda: donde scaturisco?
Non da me: da Altro, che mi ha pensato e voluto uomo o donna, qui e ora
Si tratta della intuizione, che in ogni tempo della storia lo spirito umano
più acuto ha avvertito, di questa misteriosa presenza che allorigine
del mio io. Io sono Tu che mi fai. Questo Tu è ancora assolutamente
senza volto: ma è pur sempre la sorgente da dove io sono scaturito.
Tu che mi fai è Colui che la tradizione religiosa chiama
Dio, è Colui che è infinitamente più di me, è
Colui per il quale io sono.
Luomo è quel livello della natura in cui essa si accorge di non
farsi da sé, in cui essa diventa esperienza della propria contingenza.,
coscienza della propria creaturalità. Luomo si esperimenta contingente:
esistente per volontà di altri o di un Altro, perché non si
fa da sé. Allora lIo sono in realtà viene
identificato con Io sono fatto. Luomo scopre che la propria
identità sta nella creaturalità, nellessere voluto e posseduto
da un Altro. Questa coscienza è ben rappresentata dal bambino tra le
braccia del padre e della madre: per cui può entrare in qualsiasi situazione
dellesistenza con una tranquillità profonda, con un atteggiamento
di letizia. Non cè sistema curativo ed educativo che possa prendere
il posto del padre e della madre, se non mutilando luomo, se non provocando
ferite mortali nelluomo. Così è nel suo rapporto con lAltro:
non cè sistema curativo ed educativo che possa prescindere dal
mistero di Dio. Mutilare Dio, cancellare Dio dallorizzonte della vita
umana significa annullare luomo stesso in ciò che egli ha di
più profondo, in ciò che egli è.
7. La legge nel cuore
Nellio umano, che si accosta alla realtà ed è sorpreso
da essa, freme unaltra voce, quella della coscienza, che approva il
bene e condanna il male. E ciò che la
Bibbia e San Paolo definiscono come la legge scritta nei nostri cuori:
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo
la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano
che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla
testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora
li accusano ora li difendono (Rom 2, 14-15).
La sorgente del nostro essere ci mette dentro la vibrazione del bene e il
rimorso del male. Dunque lesperienza dellio reca con sé
la coscienza del bene e del male, la coscienza di qualcosa cui non si può
rifiutare lomaggio della propria approvazione o laccusa della
propria negazione. Comunque venga applicata questa categoria del bene perché
è bene, e del male perché è male, essa è inestirpabile,
perché risponde ad una destinazione ultima, risponde al nesso con il
nostro destino. E qualcosa che mi si impone, mi obbliga a giudicarlo
e a riconoscerlo come bene o male. E il binario con cui Colui che ci
crea convoglia a sé tutta la nostra esistenza: il binario di un bene
cui è legato il senso stesso della vita, della propria esistenza, del
reale; che è bene e giusto perché è così, non
perché è dichiarato così da una legge positiva, ma perché
non è alla mercé di niente (Iussum quia bonum, e non bonum
quia iussuma: una cosa è comandata in quanto è buona, non è
buona in quanto è comandata). Che una madre voglia bene al suo bambino
fino a morire per lui, è bene perché è bene; che si aiuti
un estraneo anche con il sacrificio di se stessi e della propria vita, è
bene perché è bene
8. Il limite, il dolore, la morte
Un ultima modalità con cui si accende la domanda ultima sulla vita
è il senso del limite, che arriva fino allesperienza della morte.
Perché luomo chiama limite la morte, se non portasse in sé
la traccia del non limite? Perché luomo, diversamente dallanimale,
ha la coscienza di andare incontro alla morte (sein zum Tode, essere
per morire, diceva Heidegger), anche se cerca di rimuoverla in tutti i modi?
E la morte è davvero la fine, e quindi anche il fine di tutto? Perché
luomo si ribella allidea stessa di morire? Come spiegare il fatto
che luomo non trova affatto naturale il morire? E chi risarcisce luomo
di tutti i mali, di tutti i dolori, di tutte le disgrazie, di tutte le ingiustizie,
di tutti i fallimenti soprattutto di quei mali che non dipendono dalla
sua libera volontà di cui è abbondantemente contrassegnata
lesistenza delluomo singolo e dellintera storia umana?
Soltanto luomo è cosciente di andare verso la morte. Egli solo
in qualche modo anticipa la morte mediante la coscienza della sua venuta imprescindibile.
Questa coscienza della morte che si incarna nella sconfinata cronaca
delle morti quotidiane si distende come unombra sulla sua vita
e gli ripropone linesorabile questione del senso del vivere. Si tratta
di un contrasto insanabile, che pone una forte ipoteca sul senso stesso del
vivere: è un contrasto tra il significato della vita, che domanda un
amore infinito, un compimento definitivo, e il tramonto di questo significato,
rappresentato dalla morte. Dove trovare il senso del vivere, se tutto
se stessi, gli altri, il mondo è destinato alla morte?
A tale domanda luomo non può che affidarsi, ragionevolmente,
a quel mistero da cui proviene, a quella Alterità che rappresenta la
sorgente del suo essere e di tutto lessere.
9. Conclusione
Il vertice della ragione sta nellintuizione dellesistenza di
una spiegazione che supera la sua misura. Non è solo un gioco di parole:
la ragione, in quanto facoltà che cerca di comprendere la realtà,
è costretta dalla sua natura ad ammettere lesistenza di ciò
che è incomprensibile. La ragione è costretta ad ammettere non
solo lesistenza della fisica, ma anche della metafisica. A questo punto
lo struggimento della ragione è quello di poter conoscere lincognito.
La vita della ragione è data dalla volontà di penetrare lignoto
(lUlisse dantesco), di passare oltre le colonne dErcole, simbolo
del limite continuamente posto dallesistenza a questo desiderio. E
proprio la tensione ad entrare nellignoto che definisce lenergia
tipica della ragione, che è contrassegnata dal marchio semper
quid ultra, sempre qualcosa oltre.
Negli Atti degli Apostoli san Paolo, davanti ai filosofi che si
raccoglievano nellAreopago di Atene, dice:
Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è
signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani
delluomo, né dalle mani delluomo si lascia servire come
se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita
e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli
uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi
ha stabilito lordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché
cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché
non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed
esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di
lui noi stirpe siamo (17, 24-28).
Tutto landare umano, tutto il tentativo di questa forza operosa
che ci affatica di moto in moto (U. Foscolo, Dei sepolcri, vv.19-20),
è la conoscenza di Dio. Scoprire e incontrare il mistero è il
motivo della ragione, la sua forza motrice.
Il mito antico che esprime questo immane sforzo delluomo è il
mito di Ulisse. In Dante Alighieri esso ha trovato una forza espressiva come
mai altrove. Ulisse è luomo intelligente che vuole misurare con
il proprio acume tutte le cose. Ulisse percorre in lungo e in largo tutto
il mare nostrum. Ma, arrivato alle colonne dErcole, si trova di fronte
alla persuasione comune che la pienezza della saggezza non è possibile:
al di là delle colonne, non vè più nulla di sicuro,
cè il vuoto e la pazzia. Come chi va oltre le colonne dErcole
è ritenuto un temerario e un pazzo, così chi va oltre i confini
sperimentali positivisticamente intesi, oggi è considerato alla stessa
stregua. Ma Ulisse, arrivato alle colonne dErcole, sentiva non solo
che quella non era la fine e la catastrofe, ma che era un nuovo inizio. Infranse
la saggezza allora imperante e andò oltre: andar oltre era nella sua
natura di uomo, per cui in quella sua decisione si sentì uomo fino
in fondo.
Questa è la lotta di sempre: tra lumano, ossia il senso religioso
e il disumano, che coincide con la posizione positivistica di tanta parte
della mentalità odierna, che afferma: Ragazzo mio, lunica
cosa sicura è ciò che tu constati e misuri scientificamente,
sperimentalmente; al di là di questo cè inutile fantasia,
anzi cè pazzia e falsità, cè mito e fiaba.
E proprio nel superamento di queste colonne dErcole, nello scavalcamento
dei confini imposti dalla falsa saggezza, che uno comincia a sentirsi uomo,
perché incontra loceano del significato. Per Ulisse e per i suoi
compagni, desiderosi di andare oltre, le colonne dErcole
non erano un confine, ma un invito e un segno ad andare oltre.
Il mito di Ulisse è descritto dalla Bibbia in termini ancor più
espressivi, quando Giacobbe, tornando dallesilio, di notte ingaggia
una lotta con un personaggio sconosciuto, che allalba riesce ad infliggere
un colpo allanca, per cui Giacobbe andrà zoppo per tutta la vita.
Giacobbe verrà chiamato Israele, che significa: Ho lottato con
Dio (cf.Gen 32, 23-33).
Questa è la statura delluomo nella tradizione ebraico-cristiana.
La vita, luomo, è tensione, è lotta, è rapporto
con lal di là: una lotta senza vedere il volto dellAltro,
che si rivelerà più tardi come il Dio-con-noi, lEmmanuele.
Chi vive questa lotta, è colpito allanca e diventa zoppo, ossia
se ne va in mezzo agli altri ormai segnato: non è più come gli
altri uomini, è diverso dagli altri uomini.