Benedetto XVI
VERA E FALSA
RIFORMA
NELLA CHIESA
Il Discorso del Papa alla Curia Romana
a 40 anni dalla conclusione
del Concilio Ecumenico Vaticano II
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2006
52
Un discorso tuttaltro che di circostanza, quello pronunciato
il 22 dicembre 2005 da Benedetto XVI nel tradizionale incontro del Papa con
i membri della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi. Papa
Benedetto XVI, di fronte ai Cardinali, ai Vescovi e ai Prelati della Curia,
non si è limitato a ripercorrere le tappe principali dellanno
che volgeva al termine, ma si è soffermato, con un articolato e denso
discorso, su alcuni temi fondamentali e su alcuni nodi che avevano bisogno
di trovare un chiaro orientamento.
Dagli ultimi giorni di Giovanni Paolo II e dalla sua cattedra della
sofferenza, Papa Ratzinger trae motivo per riformulare le grandi domande
sul persistere del male nel mondo e sulla risposta che dona il cristianesimo
mediante la redenzione operata dal Dio crocifisso, che ha conferito
un nuovo senso alla sofferenza.
Ripercorrendo la straordinaria e gioiosa esperienza della GMG di Colonia,
il Papa si sofferma sulle due immagini più significative, ricavate
dal motto di quelle giornate (Andiamo ad adorarlo): limmagine
delluomo come pellegrino che si mette alla ricerca della sua destinazione
essenziale, della verità, della vita giusta, di Dio; e limmagine
delluomo che si mette in adorazione e che, adorando Dio, raggiunge la
piena libertà.
Il Sinodo dei Vescovi sullEucaristia offre a papa Benedetto lopportunità
di notare con gioia il risveglio delladorazione eucaristica in tutta
la Chiesa. Non solo: ma anche lopportunità di sanare quel contrasto
fra Messa e adorazione eucaristica al di fuori della Messa (il Pane
eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere
mangiato) che aveva contrassegnato tutta una fase della stagione teologica
e liturgica postconciliare e aveva impoverito e desertificato la prassi orante
delle nostre comunità cristiane.
Ma il pezzo forte del discorso papale, destinato, ritengo e a
ragione, a rimanere storico, riguarda la valutazione del Concilio
Vaticano II che non era assimilabile a una Costituente, come una
certa scuola di pensiero ha voluto invece intendere. Il Papa si è intrattenuto,
in questa parte del discorso, ad analizzare ciò che è vera e
ciò che è falsa riforma nella Chiesa, sbancando per usare
terminologie del tutto improprie, ma facilmente comprensibili sia il
progressismo che il tradizionalismo. La via maestra
tra rivoluzione e restaurazione, tra sinistra
e destra, tra chi, insomma, ha visto e continua a vedere nel Vaticano
II una sorta di rifondazione della Chiesa (appunto, una Costituente,
per usare la felice espressione del Papa) e chi invece continua a ritenere
lopera del Vaticano II del tutto inutile, se non pericolosa, sta nel
vero concetto di riforma: il cammino della Chiesa riposa su una
fedeltà viva alla verità e dunque su una continuità
che non è sclerosi, ma è rinnovamento: E proprio
in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi
che consiste la natura della vera riforma, sostiene papa Benedetto.
Seguono poi altre dense considerazioni: circa il dialogo della Chiesa con
il mondo contemporaneo, soprattutto sulla questione del relativismo e della
libertà religiosa, che se considerata come espressone dellincapacità
delluomo di trovare la verità diventa canonizzazione
del relativismo; circa lo Stato moderno, laico, e dunque non confessionale,
ma non per questo neutro riguardo ai valori; circa il rapporto fra fede e
ragione, fra fede e scienze naturali; circa il posto della fede e della missione
della Chiesa, sempre più chiamata ad essere segno di contraddizione
nel mondo contemporaneo secolarizzato.
Chi si aspetta da papa Ratzinger una posizione conservatrice o
fondamentalista, si trova invece di fronte ad un pastore che unisce
in sé la competenza del teologo, la profondità delluomo
di cultura, lo sguardo dello storico, la fede del cristiano, il dialogo con
il mondo e lapertura verso il futuro, nella consapevolezza che il grande
patrimonio del Vaticano II se lo leggiamo e recepiamo guidati da una
giusta ermeneutica, può diventare sempre di più una grande forza
per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa.
Il presente discorso di Benedetto XVI che pubblichiamo integralmente
(i titoli e i sottotitoli sono redazionali) è tutto da leggere
e da meditare, come in genere ogni suo intervento e ci aiuta ad entrare negli
avvenimenti storici rispettandone e accogliendone la profondità e la
ricchezza dei messaggi, evitando catture ideologiche e interpretazioni parcellizzanti
e unilaterali, dalle quali non è immune non solo il pensiero contemporaneo,
ma anche il nostro mondo cattolico.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 25 gennaio 2006
Festa della conversione di San Paolo
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nellEpiscopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
Expergiscere, homo: quia pro te Deus factus est homo - Svegliati, uomo,
poiché per te Dio si è fatto uomo (S. Agostino, Discorsi,
185). Con questinvito di SantAgostino a cogliere il senso autentico
del Natale di Cristo, apro il mio incontro con voi, cari collaboratori della
Curia Romana, in prossimità ormai delle festività natalizie.
A ciascuno rivolgo il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per i
sentimenti di devozione e di affetto, di cui si è fatto efficace interprete
il Cardinale Decano, al quale va il mio pensiero riconoscente. Iddio si è
fatto uomo per noi: è questo il messaggio che ogni anno dalla silenziosa
grotta di Betlemme si diffonde sin nei più sperduti angoli della terra.
Il Natale è festa di luce e di pace, è giorno di interiore stupore
e di gioia che si espande nelluniverso, perché Dio si è
fatto uomo. Dallumile grotta di Betlemme leterno Figlio
di Dio, divenuto piccolo Bambino, si rivolge a ciascuno di noi: ci interpella,
ci invita a rinascere in lui perché, insieme a lui, possiamo vivere
eternamente nella comunione della Santissima Trinità.
LANNO DI GIOVANNI PAOLO II
Con il cuore colmo della gioia che deriva da questa consapevolezza, riandiamo
col pensiero alle vicende dellanno che volge al suo tramonto. Stanno
alle nostre spalle grandi avvenimenti, che hanno segnato profondamente la
vita della Chiesa. Penso innanzitutto alla dipartita del nostro amato Santo
Padre Giovanni Paolo II, preceduta da un lungo cammino di sofferenza e di
graduale perdita della parola. Nessun Papa ci ha lasciato una quantità
di testi pari a quella che ci ha lasciato lui; nessun Papa in precedenza ha
potuto visitare, come lui, tutto il mondo e parlare in modo diretto agli uomini
di tutti i continenti. Ma, alla fine, gli è toccato un cammino di sofferenza
e di silenzio. Restano indimenticabili per noi le immagini della Domenica
delle Palme quando, col ramo di olivo nella mano e segnato dal dolore, egli
stava alla finestra e ci dava la benedizione del Signore in procinto di incamminarsi
verso la Croce. Poi l'immagine di quando nella sua cappella privata, tenendo
in mano il Crocifisso, partecipava alla Via Crucis nel Colosseo, dove tante
volte aveva guidato la processione portando egli stesso la Croce. Infine la
muta benedizione della Domenica di Pasqua, nella quale, attraverso tutto il
dolore, vedevamo rifulgere la promessa della risurrezione, della vita eterna.
La cattedra della sofferenza
Il Santo Padre, con le sue parole e le sue opere, ci ha donato cose grandi;
ma non meno importante è la lezione che ci ha dato dalla cattedra della
sofferenza e del silenzio. Nel suo ultimo libro Memoria e Identità
(Rizzoli 2005) ci ha lasciato uninterpretazione della sofferenza che
non è una teoria teologica o filosofica, ma un frutto maturato lungo
il suo personale cammino di sofferenza, da lui percorso col sostegno della
fede nel Signore crocifisso. Questa interpretazione, che egli aveva elaborato
nella fede e che dava senso alla sua sofferenza vissuta in comunione con quella
del Signore, parlava attraverso il suo muto dolore trasformandolo in un grande
messaggio. Sia all'inizio come ancora una volta alla fine del menzionato libro,
il Papa si mostra profondamente toccato dallo spettacolo del potere del male
che, nel secolo appena terminato, ci è stato dato di sperimentare in
modo drammatico.
Gli interrogativi sul male
Dice testualmente: Non è stato un male in edizione piccola
È stato un male di proporzioni gigantesche, un male che si è
avvalso delle strutture statali per compiere la sua opera nefasta, un male
eretto a sistema" (pag. 198). Il male è forse invincibile? È
la vera ultima potenza della storia? A causa dell'esperienza del male, la
questione della redenzione, per Papa Woyti?a, era diventata l'essenziale e
centrale domanda della sua vita e del suo pensare come cristiano. Esiste un
limite contro il quale la potenza del male s'infrange? Sì, esso esiste,
risponde il Papa in questo suo libro, come anche nella sua Enciclica sulla
redenzione. Il potere che al male mette un limite è la misericordia
divina. Alla violenza, all'ostentazione del male si oppone nella storia
come il totalmente altro di Dio, come la potenza propria di Dio
la divina misericordia. L'agnello è più forte del drago,
potremmo dire con l'Apocalisse.
La questione della redenzione
Alla fine del libro, nello sguardo retrospettivo sull'attentato del 13 maggio
1981 ed anche sulla base dell'esperienza del suo cammino con Dio e con il
mondo, Giovanni Paolo II ha approfondito ulteriormente questa risposta. Il
limite del potere del male, la potenza che, in definitiva, lo vince è
così egli ci dice la sofferenza di Dio, la sofferenza
del Figlio di Dio sulla Croce: La sofferenza di Dio crocifisso non è
soltanto una forma di sofferenza accanto alle altre
Cristo, soffrendo
per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza, l'ha introdotta
in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore
La passione
di Cristo sulla Croce ha dato un senso radicalmente nuovo alla sofferenza,
l'ha trasformata dal di dentro
È la sofferenza che brucia e consuma
il male con la fiamma dell'amore
Ogni sofferenza umana, ogni dolore,
ogni infermità racchiude una promessa di salvezza
Il male
esiste nel mondo anche per risvegliare in noi l'amore, che è dono di
sé
a chi è visitato dalla sofferenza
Cristo è
il Redentore del mondo: Per le sue piaghe noi siamo stati guariti
(Is 53, 5) (pag. 198 ss.). Tutto questo non è semplicemente teologia
dotta, ma espressione di una fede vissuta e maturata nella sofferenza. Certo,
noi dobbiamo fare del tutto per attenuare la sofferenza ed impedire l'ingiustizia
che provoca la sofferenza degli innocenti. Tuttavia dobbiamo anche fare del
tutto perché gli uomini possano scoprire il senso della sofferenza,
per essere così in grado di accettare la propria sofferenza e unirla
alla sofferenza di Cristo. In questo modo essa si fonde insieme con l'amore
redentore e diventa, di conseguenza, una forza contro il male nel mondo.
Sconvolgente affetto della gente
La risposta che si è avuta in tutto il mondo alla morte del Papa è
stata una manifestazione sconvolgente di riconoscenza per il fatto che egli,
nel suo ministero, si è offerto totalmente a Dio per il mondo; un ringraziamento
per il fatto che egli, in un mondo pieno di odio e di violenza, ci ha insegnato
nuovamente l'amare e il soffrire a servizio degli altri; ci ha mostrato, per
così dire, dal vivo il Redentore, la redenzione, e ci ha dato la certezza
che, di fatto, il male non ha l'ultima parola nel mondo.
Due altri avvenimenti, avviati ancora da Papa Giovanni Paolo II, vorrei ora
menzionare, se pur brevemente: si tratta della Giornata Mondiale della Gioventù
celebrata a Colonia e del Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia che ha concluso
anche l'Anno dellEucaristia, inaugurato da Papa Giovanni Paolo II.
LA GMG DI COLONIA EVENTO DI GIOIA
La Giornata Mondiale della Gioventù è rimasta nella memoria
di tutti coloro che erano presenti come un grande dono. Oltre un milione di
giovani si radunarono nella Città di Colonia, situata sul fiume Reno,
e nelle città vicine per ascoltare insieme la Parola di Dio, per pregare
insieme, per ricevere i sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia,
per cantare e festeggiare insieme, per gioire dellesistenza e per adorare
e ricevere il Signore eucaristico durante i grandi incontri del sabato sera
e della domenica. Durante tutti quei giorni regnava semplicemente la gioia.
A prescindere dai servizi d'ordine, la polizia non ebbe niente da fare
il Signore aveva radunato la sua famiglia, superando sensibilmente ogni frontiera
e barriera e, nella grande comunione tra di noi, ci aveva fatto sperimentare
la sua presenza. Il motto scelto per quelle giornate Andiamo
ad adorarlo conteneva due grandi immagini che, fin dall'inizio,
favorirono l'approccio giusto.
Luomo pellegrino che cerca
Vi era innanzitutto l'immagine del pellegrinaggio, l'immagine dell'uomo che,
guardando al di là dei suoi affari e del suo quotidiano, si mette alla
ricerca della sua destinazione essenziale, della verità, della vita
giusta, di Dio. Questa immagine dell'uomo in cammino verso la meta della vita
racchiudeva in se ancora due indicazioni chiare. C'era innanzitutto linvito
a non vedere il mondo che ci circonda soltanto come la materia grezza con
cui noi possiamo fare qualcosa, ma a cercare di scoprire in esso la calligrafia
del Creatore, la ragione creatrice e l'amore da cui è nato il
mondo e di cui ci parla l'universo, se noi ci rendiamo attenti, se i nostri
sensi interiori si svegliano e acquistano percettività per le dimensioni
più profonde della realtà. Come secondo elemento si aggiungeva
poi l'invito a mettersi in ascolto della rivelazione storica che, sola, può
offrirci la chiave di lettura per il silenzioso mistero della creazione, indicandoci
concretamente la via verso il vero Padrone del mondo e della storia che si
nasconde nella povertà della stalla di Betlemme.
Luomo libero che adora
L'altra immagine contenuta nel motto della Giornata Mondiale della Gioventù
era l'uomo in adorazione: Siamo venuti per adorarlo. Prima di
ogni attività e di ogni mutamento del mondo deve esserci l'adorazione.
Solo essa ci rende veramente liberi; essa soltanto ci dà i criteri
per il nostro agire. Proprio in un mondo in cui progressivamente vengono meno
i criteri di orientamento ed esiste la minaccia che ognuno faccia di se stesso
il proprio criterio, è fondamentale sottolineare l'adorazione. Per
tutti coloro che erano presenti rimane indimenticabile lintenso silenzio
di quel milione di giovani, un silenzio che ci univa e sollevava tutti quando
il Signore nel Sacramento era posto sull'altare. Serbiamo nel cuore le immagini
di Colonia: sono una indicazione che continua ad operare. Senza menzionare
singoli nomi, vorrei in questa occasione ringraziare tutti coloro che hanno
reso possibile la Giornata Mondiale della Gioventù; soprattutto, però,
ringraziamo insieme il Signore, perché in definitiva solo Lui poteva
donarci quelle giornate nel modo in cui le abbiamo vissute.
SINODO DEI VESCOVI SULLEUCARISTIA
La parola "adorazione" ci porta al secondo grande avvenimento di
cui vorrei parlare: il Sinodo dei Vescovi e l'Anno dellEucaristia. Papa
Giovanni Paolo II, con l'Enciclica Ecclesia de Eucharistia e con la Lettera
apostolica Mane nobiscum Domine ci aveva già donato le indicazioni
essenziali e al contempo, con la sua esperienza personale della fede eucaristica,
aveva concretizzato l'insegnamento della Chiesa. Inoltre, la Congregazione
per il Culto Divino, in stretto collegamento con l'Enciclica, aveva pubblicato
l'istruzione Redemptionis Sacramentum come aiuto pratico per la giusta realizzazione
della Costituzione conciliare sulla liturgia e della riforma liturgica. Oltre
tutto ciò, era veramente possibile dire ancora qualcosa di nuovo, sviluppare
ulteriormente linsieme della dottrina? Proprio questa fu la grande esperienza
del Sinodo quando, nei contributi dei Padri, si è vista rispecchiarsi
la ricchezza della vita eucaristica della Chiesa di oggi e si è manifestata
l'inesauribilità della sua fede eucaristica.
Risveglio delladorazione eucaristica
Quello che i Padri hanno pensato ed espresso dovrà essere presentato,
in stretto collegamento con le Propositiones del Sinodo, in un documento post-sinodale.
Vorrei qui solo sottolineare ancora una volta quel punto che, poco fa, abbiamo
già registrato nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù:
l'adorazione del Signore risorto, presente nell'Eucaristia con carne e sangue,
con corpo e anima, con divinità e umanità. È commovente
per me vedere come dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia
dell'adorazione eucaristica e si manifestino i suoi frutti. Nel periodo della
riforma liturgica spesso la Messa e l'adorazione fuori di essa erano viste
come in contrasto tra loro: il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato
per essere contemplato, ma per essere mangiato, secondo unobiezione
allora diffusa. Nell'esperienza di preghiera della Chiesa si è ormai
manifestata la mancanza di senso di una tale contrapposizione. Già
Agostino aveva detto:
nemo autem illam carnem manducat, nisi
prius adoraverit;
peccemus non adorando - Nessuno mangia questa carne
senza prima adorarla;
peccheremmo se non la adorassimo (cfr Enarr.
in Ps 98,9 CCL XXXIX 1385). Di fatto, non è che nell'Eucaristia riceviamo
semplicemente una qualche cosa. Essa è l'incontro e l'unificazione
di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi
a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto
realizzarsi secondo le modalità dell'adorazione. Ricevere l'Eucaristia
significa adorare Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così
diventiamo una cosa sola con Lui. Perciò, lo sviluppo dell'adorazione
eucaristica, come ha preso forma nel corso del Medioevo, era la più
coerente conseguenza dello stesso mistero eucaristico: soltanto nell'adorazione
può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto
personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che
nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo
tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli
uni dagli altri.
40° DI CONCLUSIONE DEL VATICANO II
L'ultimo evento di questanno su cui vorrei soffermarmi in questa occasione
è la celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant'anni
fa. Tale memoria suscita la domanda: Qual è stato il risultato del
Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione
del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che
cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della
Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile,
anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione
che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della
Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale
nel buio della tempesta, dicendo fra l'altro: Il grido rauco di coloro
che per la discordia si ergono luno contro laltro, le chiacchiere
incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai
quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina
della fede
(De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis,
pag. 524). Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in
grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile?
Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o come
diremmo oggi dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura
e di applicazione.
Due interpretazioni a confronto
I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie
si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione,
l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti.
Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare ermeneutica
della discontinuità e della rottura; essa non di rado si è
potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della
teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'ermeneutica della riforma,
del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il
Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa,
rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in
cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una
rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che
i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello
spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per
raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro
e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi,
però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli
slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero
il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con
essi bisognerebbe andare avanti.
Chiave della discontinuità
Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il
vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare
coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità
nella quale si esprimerebbe lintenzione più profonda, sebbene
ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i
testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un
vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e,
di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò,
però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In
questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina
una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno
di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del
popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale
mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo,
perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e
ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna
e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita
nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto,
sono fiduciari del dono del Signore. Sono amministratori dei misteri
di Dio (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati fedeli e saggi
(cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del
Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio,
ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore: Poiché
sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto (cfr
Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica
della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si
rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano
diventare una cosa sola.
Chiave della riforma
All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma,
come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura
del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione
del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni
XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando
dice che il Concilio vuole trasmettere pura ed integra la dottrina,
senza attenuazioni o travisamenti, e continua: Il nostro dovere
non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo
unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà
e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige
È
necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente
rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze
del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè
le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è
il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso
senso e la stessa portata (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta
Declarationes, 1974, pp. 863-865).
Una fedeltà dinamica
È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata
verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale
con essa; è chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto
se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che,
daltra parte, la riflessione sulla fede esige anche che si viva questa
fede. In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente
esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica.
Ma ovunque questa interpretazione è stata lorientamento che ha
guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono
maturati frutti nuovi. Quarantanni dopo il Concilio possiamo rilevare
che il positivo è più grande e più vivo di quanto non
potesse apparire nellagitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo
che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce
così anche la nostra profonda gratitudine per lopera svolta dal
Concilio.
Il nodo dellantropologia
Paolo VI, nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato
ancora una specifica motivazione per cui un'ermeneutica della discontinuità
potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull'uomo, che contraddistingue
il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema
dell'antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua
fede, da una parte, e l'uomo ed il mondo di oggi, dall'altra (ibid., pp. 1066
s.). La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine
generico di mondo di oggi ne scegliamo un altro più preciso:
il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età
moderna. Questo rapporto aveva avuto un inizio molto problematico con il processo
a Galileo. Si era poi spezzato totalmente, quando Kant definì la religione
entro la pura ragione e quando, nella fase radicale della rivoluzione
francese, venne diffusa un'immagine dello Stato e dell'uomo che alla Chiesa
ed alla fede praticamente non voleva più concedere alcuno spazio.
La Chiesa di fronte alla cultura moderna
Lo scontro della fede della Chiesa con un liberalismo radicale ed anche con
scienze naturali che pretendevano di abbracciare con le loro conoscenze tutta
la realtà fino ai suoi confini, proponendosi caparbiamente di rendere
superflua lipotesi Dio, aveva provocato nell'Ottocento,
sotto Pio IX, da parte della Chiesa aspre e radicali condanne di tale spirito
dell'età moderna. Quindi, apparentemente non c'era più nessun
ambito aperto per unintesa positiva e fruttuosa, e drastici erano pure
i rifiuti da parte di coloro che si sentivano i rappresentanti dell'età
moderna. Nel frattempo, tuttavia, anche l'età moderna aveva conosciuto
degli sviluppi. Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto
un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali
emerse nella seconda fase della rivoluzione francese. Le scienze naturali
cominciavano, in modo sempre più chiaro, a riflettere sul proprio limite,
imposto dallo stesso loro metodo che, pur realizzando cose grandiose, tuttavia
non era in grado di comprendere la globalità della realtà. Così,
tutte e due le parti cominciavano progressivamente ad aprirsi luna all'altra.
Chiesa e Stato moderno
Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la seconda
guerra mondiale, uomini di Stato cattolici avevano dimostrato che può
esistere uno Stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo
ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo.
La dottrina sociale cattolica, via via sviluppatasi, era diventata un modello
importante tra il liberalismo radicale e la teoria marxista dello Stato. Le
scienze naturali, che senza riserva facevano professione di un proprio metodo
in cui Dio non aveva accesso, si rendevano conto sempre più chiaramente
che questo metodo non comprendeva la totalità della realtà e
aprivano quindi nuovamente le porte a Dio, sapendo che la realtà è
più grande del metodo naturalistico e di ciò che esso può
abbracciare. Si potrebbe dire che si erano formati tre cerchi di domande,
che ora attendevano una risposta. Innanzitutto occorreva definire in modo
nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del
resto, non soltanto le scienze naturali, ma anche la scienza storica perché,
in una certa scuola, il metodo storico-critico reclamava per sé l'ultima
parola nella interpretazione della Bibbia e, pretendendo la piena esclusività
per la sua comprensione delle Sacre Scritture, si opponeva in punti importanti
allinterpretazione che la fede della Chiesa aveva elaborato. In secondo
luogo, era da definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa e Stato moderno,
che concedeva spazio a cittadini di varie religioni ed ideologie, comportandosi
verso queste religioni in modo imparziale e assumendo semplicemente la responsabilità
per una convivenza ordinata e tollerante tra i cittadini e per la loro libertà
di esercitare la propria religione. Con ciò, in terzo luogo, era collegato
in modo più generale il problema della tolleranza religiosa
una questione che richiedeva una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana
e religioni del mondo. In particolare, di fronte ai recenti crimini del regime
nazionalsocialista e, in genere, in uno sguardo retrospettivo su una lunga
storia difficile, bisognava valutare e definire in modo nuovo il rapporto
tra la Chiesa e la fede di Israele.
Novità nella continuità
Sono tutti temi di grande portata su cui non è possibile soffermarsi
più ampiamente in questo contesto. È chiaro che in tutti questi
settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una
qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata
di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse
distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava
non abbandonata la continuità nei principi fatto questo che
facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme
di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste
la natura della vera riforma. In questo processo di novità nella continuità
dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni
della Chiesa riguardanti cose contingenti per esempio, certe forme
concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia
dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché
riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava
imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono laspetto
duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro.
I principi e i contesti
Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla
situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così
le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione
a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà
di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo
di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo,
allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo
improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero
senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede
che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base
alla dignità interiore della verità, è legato a tale
conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare
la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza
umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può
essere imposta dall'esterno, ma deve essere fatta propria dalluomo solo
mediante il processo del convincimento.
La libertà di coscienza
Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà
religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente
il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole
di trovarsi con ciò in piena sintonia con l'insegnamento di Gesù
stesso (cfr Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri
di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori
e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere (cfr 1 Tm
2,2); ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli,
e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato. I martiri
della Chiesa primitiva sono morti per la loro fede in quel Dio che si era
rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per
la libertà di coscienza e per la libertà di professione della
propria fede una professione che da nessuno Stato può essere
imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio,
nella libertà della coscienza. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta
ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà
della fede. Essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste
per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere
con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta
loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano una risposta con
cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l'unità
tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli.
Una discontinuità apparente
Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede
della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto
o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità
ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità.
La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa
una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue
il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni
di Dio, annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr
Lumen gentium, 8). Chi si era aspettato che con questo sì
fondamentale all'età moderna tutte le tensioni si dileguassero e lapertura
verso il mondo così realizzata trasformasse tutto in pura armonia,
aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della
stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità
della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione
storica è una minaccia per il cammino dell'uomo. Questi pericoli, con
le nuove possibilità e con il nuovo potere dell'uomo sulla materia
e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni: uno
sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente.
Chiesa segno di contraddizione
Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un "segno di contraddizione"
(Lc 2,34) non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale,
aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa
Paolo VI e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire
questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori
dell'uomo. Era invece senz'altro suo intendimento accantonare contraddizioni
erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l'esigenza del Vangelo
in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l'età
moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come apertura
verso il mondo, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto
tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. La situazione
che il Concilio doveva affrontare è senz'altro paragonabile ad avvenimenti
di epoche precedenti. San Pietro, nella sua prima lettera, aveva esortato
i cristiani ad essere sempre pronti a dar risposta (apo-logia) a chiunque
avesse loro chiesto il logos, la ragione della loro fede (cfr 3,15). Questo
significava che la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione
con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l'interpretazione
la linea di distinzione, ma anche il contatto e l'affinità tra loro
nell'unica ragione donata da Dio.
Un rinnovato incontro fra fede e ragione
Quando nel XIII secolo, mediante filosofi ebrei ed arabi, il pensiero aristotelico
entrò in contatto con la cristianità medievale formata nella
tradizione platonica, e fede e ragione rischiarono di entrare in una contraddizione
inconciliabile, fu soprattutto san Tommaso d'Aquino a mediare il nuovo incontro
tra fede e filosofia aristotelica, mettendo così la fede in una relazione
positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo. La faticosa disputa
tra la ragione moderna e la fede cristiana che, in un primo momento, col processo
a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma
col Concilio Vaticano II arrivò lora in cui si richiedeva un
ampio ripensamento. Il suo contenuto, nei testi conciliari, è tracciato
sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la
direzione essenziale, cosicché il dialogo tra ragione e fede, oggi
particolarmente importante, in base al Vaticano II ha trovato il suo orientamento.
Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale,
ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo
con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento. Così possiamo
oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se
lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può
essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario
rinnovamento della Chiesa.
LO SCORSO 19 APRILE: NON PICCOLO SPAVENTO
Infine, devo forse ancora far memoria di quel 19 aprile di quest'anno, in
cui il Collegio Cardinalizio, con mio non piccolo spavento, mi ha eletto a
successore di Papa Giovanni Paolo II, a successore di san Pietro sulla cattedra
del Vescovo di Roma? Un tale compito stava del tutto fuori di ciò che
avrei mai potuto immaginare come mia vocazione. Così, fu soltanto con
un grande atto di fiducia in Dio che potei dire nell'obbedienza il mio sì
a questa scelta. Come allora, così chiedo anche oggi a tutti Voi la
preghiera, sulla cui forza e sostegno io conto. Al contempo desidero ringraziare
di cuore in quest'ora tutti coloro che mi hanno accolto e mi accolgono tuttora
con tanta fiducia, bontà e comprensione, accompagnandomi giorno per
giorno con la loro preghiera.
Il Natale è ormai vicino. Il Signore Dio alle minacce della storia
non si è opposto con il potere esteriore, come noi uomini, secondo
le prospettive di questo nostro mondo, ci saremmo aspettati. L'arma sua è
la bontà. Si è rivelato come bimbo, nato in una stalla. È
proprio così che contrappone il suo potere completamente diverso alle
potenze distruttive della violenza. Proprio così Egli ci salva. Proprio
così ci mostra ciò che salva. Vogliamo, in questi giorni natalizi,
andargli incontro pieni di fiducia, come i pastori, come i sapienti dell'Oriente.
Chiediamo a Maria di condurci al Signore. Chiediamo a Lui stesso di far brillare
il suo volto su di noi. Chiediamogli di vincere Egli stesso la violenza nel
mondo e di farci sperimentare il potere della sua bontà. Con questi
sentimenti imparto di cuore a tutti Voi la Benedizione Apostolica.