CARI AMICI
Le parole di Benedetto XVI
a Colonia per la GMG 2005
CARI AMICI
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2005
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"Cari amici
": è l'espressione nuova, diventata ormai
familiare - continuamente ricorrente nei suoi discorsi - con cui Benedetto
XVI ha scelto di rivolgersi ai suoi interlocutori, quasi eco dello stesso
Gesù, che preferiva chiamare i suoi discepoli "amici". L'ha
usata anche con i musulmani, perché l'amicizia è disponibilità
e disposizione umanissima all'incontro e al dialogo con tutti.
"Più idee che slogan" ha detto qualcuno commentando i discorsi
di Benedetto XVI a Colonia. Sì, "questo Papa - ha scritto Avvenire
presentando i suoi discorsi - è un catechista straordinario. Limpido
ed efficacissimo". A lui è riuscito il miracolo di dire cose ardue,
profonde e coraggiose in modo semplice, e quasi sottovoce, in punta di piedi,
con uno stile fraterno e rispettoso, e nello stesso tempo senza fare sconti
sulla verità.
La grande stampa - e non solo quella tedesca - si è trovata spiazzata,
perché si attendeva e forse si augurava un grande flop. E invece ha
dovuto prendere atto: non solo della statura morale e intellettuale di questo
Papa, ma anche della gioia dei giovani di incontrare nuovamente Pietro in
quell' "umile servitore della vigna del Signore", di sentir parlare
liberamente di Gesù Cristo e di poterLo adorare come il Signore di
tutti e di tutto, in un'Europa che fa sempre più fatica ad ascoltarne
e a pronunciarne il nome.
Papa Ratzinger ha messo la sua enorme preparazione teologica e culturale e
la sua esperienza spirituale al servizio della nuova missione di Successore
di Pietro e quindi di Pastore della Chiesa universale.
E tutti lo hanno capito. Hanno capito che non bastano gli slogan: occorre
scendere in profondità, avere il coraggio di cercare e soprattutto
l'umiltà di ricevere i doni di un Dio che non è rimasto nell'astrattezza
e nella fumosità dei concetti, e nemmeno può essere ritagliato
sulla misura delle altalenanze dei sentimenti individuali (è la religione
del "fai-da-te"), ma si è rivelato in una storia - la storia
della salvezza - facendosi carne e volto nel Figlio Gesù Cristo, raggiungibile
attraverso la Sacra Scrittura, la compagnia della Chiesa, i Sacramenti.
Benedetto XVI va dicendo - sulle orme di Giovanni Paolo II - che l'esilio
di Dio dall'orizzonte della storia contemporanea e dal più recente
pensiero europeo e occidentale ha finito per produrre l'eclisse dell'uomo,
la sconfitta della sua dignità, l'ottenebramento della sua ragione
circa il senso pieno dell'avventura umana e l'accecamento della sua coscienza
che porta ad abbattere ogni distinzione fra bene e male, fra verità
e menzogna.
Suonano fresche e cariche di speranza e di futuro quelle parole del Papa ai
giovani, pronunciate nel cuore della nostra vecchia Europa: "Spalancate
il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo. Concedetegli il diritto
di parlarvi. Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso".
Sì, perché forse i capipopolo dell'Occidente - sempre più
afferrati dal morbo di una modernità intesa in modo rabbiosamente laicistico
- hanno spento o stanno spegnendo nelle nostre terre quelle radici, umanistiche
e cristiane, che hanno alimentato la linfa culturale ed esistenziale che ha
reso grande la nostra storia, fecondata dalla testimonianza di tanti santi,
che sono "la scia luminosa di Dio" e dai quali soltanto, in quanto
adoratori di Dio, può venire la "vera rivoluzione, il cambiamento
decisivo del mondo".
"Non sono le ideologie che salvano il mondo - ha proclamato Papa Benedetto
ai giovani - ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro
creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò
che è veramente buono e vero".
Ce n'è abbastanza per riandare e per nutrirsi di questo messaggio.
Consegniamo non solo ai giovani, ma a tutta la nostra comunità parrocchiale
alcuni fra i più importanti discorsi del Papa a Colonia. Per non disperdere
quella ricchezza e per alimentare la gioia "di appartenere a questa grande
famiglia" che è la Chiesa, la quale "comprende il cielo e
la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra".
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 8 settembre 2005
Festa della Natività della Vergine Maria
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ALL'ARRIVO
ALL'AEROPORTO INTERNAZIONALE
DI COLONIA/BONN (Giovedì 18 agosto 2005)
Signor Presidente della Repubblica,
illustri Autorità politiche e civili,
Signori Cardinali e Venerati Fratelli nell'Episcopato,
cari cittadini della Repubblica Federale, carissimi giovani!
Con profonda gioia mi trovo oggi per la prima volta, dopo la mia elezione
alla Cattedra di Pietro, nella mia cara patria, la Germania. Posso solo ripetere
ciò che ho affermato durante un'intervista concessa a Radio Vaticana:
considero un amorevole gesto di riconciliazione che, senza che io l'abbia
voluto, la mia prima visita al di fuori dell'Italia si svolga nella mia patria:
qui a Colonia e in un momento, in un luogo e in un'occasione in cui si incontrano
giovani di tutto il mondo, di tutti i continenti, in cui scompaiono i confini
fra continenti, fra culture, fra razze e fra nazioni, perché noi tutti
siamo una cosa sola grazie alla stella che ha brillato per noi: la stella
della fede in Gesù Cristo, che ci unisce e che ci mostra il cammino
cosicché noi tutti possiamo essere una grande forza di pace al di là
di tutti i confini e di tutte le divisioni. Per questo rendo grazie di cuore
a Dio che mi ha concesso di iniziare qui nella mia patria e in un'occasione
così propiziatrice di pace. Dunque giungo a Colonia con una continuità
più profonda, come ha già detto Lei, signor Presidente, con
il mio grande e amato predecessore Giovanni Paolo II che ha avuto questa intuizione,
direi questa ispirazione, delle Giornate Mondiali della Gioventù e
che in tal modo non ha creato solo un'occasione di eccezionale significato
religioso ed ecclesiale, ma anche umano, che porta gli uomini oltre i confini
l'uno verso l'altro e contribuisce a edificare un futuro comune. Sono sinceramente
grato a tutti voi qui presenti per la calorosa accoglienza che mi è
stata riservata. Il mio deferente saluto va innanzitutto al Presidente della
Repubblica Federale, Signor Horst Köhler. La ringrazio per le cortesi
parole con le quali si è rivolto a me con tutto il cuore. Non sapevo
che un economista potesse essere anche un filosofo e un teologo! Grazie di
cuore. Estendo anche questo mio rispettoso e grato pensiero ai Rappresentanti
del Governo, ai membri del Corpo Diplomatico e alle autorità civili
e militari, il Cancelliere federale, il Presidente del Nordreno Vestfalia,
tutte le autorità qui presenti.
Con affetto fraterno saluto il Pastore dell'Arcidiocesi di Colonia, il Cardinale
Joachim Meisner. Insieme con lui saluto gli altri Presuli con il Presidente
della Conferenza Episcopale Tedesca, il Cardinale Lehmann, i sacerdoti, i
religiosi, le religiose e quanti prestano la loro preziosa collaborazione
alle diverse attività pastorali nelle Diocesi di lingua tedesca. Desidero
in questo momento abbracciare con il pensiero e con l'affetto tutti gli abitanti
dei diversi Länder della Repubblica Federale Tedesca.
In questi giorni di più intensa preparazione alla Giornata Mondiale
della Gioventù, le Diocesi della Germania e, in particolare, la Diocesi
e la Città di Colonia, si sono animate per la presenza di tanti giovani,
provenienti da diverse parti del mondo. Ringrazio quanti hanno offerto la
loro competente e generosa collaborazione per l'organizzazione di questo evento
ecclesiale di portata mondiale. Il mio pensiero riconoscente va alle parrocchie,
agli istituti religiosi, alle associazioni, alle organizzazioni civili e ai
privati cittadini per la sensibilità dimostrata nell'offrire una calorosa
e adeguata ospitalità alle migliaia di pellegrini qui convenuti dai
vari continenti. Trovo bello che in tali occasioni la virtù quasi scomparsa
dell'ospitalità, che appartiene alle virtù originarie dell'uomo,
viva di nuovo e in tal modo possano incontrarsi persone di tutte le condizioni.
La Chiesa che vive in Germania e l'intera popolazione della Repubblica Federale
Tedesca possono vantare una vasta e consolidata tradizione di apertura alla
mondialità, come testimoniano, tra l'altro, le tante iniziative di
solidarietà, in particolare a favore dei Paesi in via di sviluppo.
Con questo spirito di sensibilità e di accoglienza verso quanti provengono
da tradizioni e culture diverse, ci apprestiamo a vivere a Colonia la Giornata
Mondiale della Gioventù. L'incontro di tanti giovani col Successore
di Pietro è un segno della vitalità della Chiesa. Sono felice
di stare in mezzo ai giovani, di sostenerne la fede e, a Dio piacendo, di
animarne la speranza. Al tempo stesso, sono certo di ricevere anche qualcosa
dai giovani, il fatto che il loro entusiasmo, la loro sensibilità e
la loro disponibilità mi sosterranno e mi daranno il coraggio di continuare
lungo il mio cammino al servizio della Chiesa quale Successore di Pietro e
di affrontare le sfide del futuro. A voi tutti, che siete qui presenti, e
a coloro che in queste giornate ricche di eventi hanno accolto persone di
altre parti del mondo, giunga fin d'ora il mio più cordiale saluto.
Oltre agli intensi momenti di preghiera, di riflessione, di festa insieme
con i giovani e con quanti prenderanno parte alle diverse manifestazioni avrò
l'opportunità di incontrare i Vescovi ai quali rivolgo fin d'ora il
mio fraterno saluto. Vedrò poi i rappresentanti delle altre Chiese
e comunità ecclesiali. Sarò onorato di visitare la Sinagoga,
che mi sta molto a cuore, per incontrare la comunità ebraica e accoglierò
anche i rappresentanti di alcune comunità islamiche. Si tratta di incontri
importanti per intensificare il cammino di dialogo e di cooperazione nel comune
impegno per la costruzione di un futuro più giusto e fraterno, che
sia veramente a misura d'uomo. Noi tutti sappiamo quanto sia necessario ricercare
questa via, quanto abbiamo bisogno di questo dialogo e di questa cooperazione.
Nel corso di questa Giornata Mondiale della Gioventù rifletteremo insieme
sul tema "Siamo venuti per adorarlo" (Mt 2, 2). Si tratta di un'opportunità
da non perdere per approfondire il significato dell'esistenza umana come "pellegrinaggio",
come cammino compiuto sotto la guida della "stella" alla ricerca
del Signore. Guarderemo insieme alle figure dei Magi che non avrebbero mai
potuto immaginare di divenire pellegrini anche dopo la morte, che un giorno,
le loro reliquie, sarebbero state portate in pellegrinaggio a Colonia. Guarderemo
a queste figure, che provenendo da terre diverse, furono i primi a riconoscere
in Gesù Cristo, nel Figlio della Vergine Maria, il Messia promesso
e a prostrarsi davanti a Lui (cfr Mt 2, 1-12). Alla memoria di queste figure
emblematiche sono particolarmente legate la comunità ecclesiale e la
città di Colonia. Come i Magi, tutti i credenti, in particolare i giovani,
sono chiamati ad affrontare il cammino della vita alla ricerca della verità,
della giustizia, dell'amore. Dobbiamo cercare questa stella, dobbiamo seguirla.
È un cammino la cui meta risolutiva si può trovare soltanto
mediante l'incontro con Cristo, un incontro che non si realizza senza la fede.
In questo cammino interiore possono essere di aiuto i molteplici segni che
la lunga e ricca tradizione cristiana ha lasciato in modo indelebile in questa
terra di Germania: dai grandi monumenti storici alle innumerevoli opere d'arte
sparse sul territorio, dai documenti conservati nelle biblioteche alle tradizioni
vissute con intensa partecipazione popolare, dal pensiero filosofico alla
riflessione teologica di tanti suoi pensatori, dall'eredità spirituale
all'esperienza mistica di una schiera di santi. Si tratta di un ricchissimo
patrimonio culturale e spirituale che ancora oggi, nel cuore dell'Europa,
testimonia la fecondità della fede e della tradizione cristiana e che
dobbiamo far rivivere perché ha in sé nuova forza per il futuro.
La Diocesi e la regione di Colonia, in particolare, conservano la memoria
viva di grandi testimoni, che, per così dire, sono presenti nel pellegrinaggio
iniziato con i tre Magi. Penso a san Bonifacio, penso a sant'Orsola, a sant'Alberto
Magno e, in tempi più recenti, a santa Teresa Benedetta della Croce
(Edith Stein) e al beato Adolph Kolping. Questi nostri illustri fratelli nella
fede, che lungo i secoli hanno tenuto alta la fiaccola della santità,
sono divenuti persone che hanno visto la stella e l'hanno mostrata ad altri.
Queste figure siano modelli e patroni di questo nostro incontro, della Giornata
Mondiale della Gioventù.
Mentre rinnovo a tutti voi qui presenti il mio più caloroso ringraziamento
per la cortese accoglienza, prego il Signore per il futuro cammino della Chiesa
e dell'intera società in questa Repubblica Federale di Germania. a
me tanto cara. La sua lunga storia e i grandi traguardi sociali, economici
e culturali raggiunti, siano di stimolo a proseguire con rinnovato impegno
il vostro cammino in un momento di nuovi problemi e questioni anche per gli
altri popoli del continente. La Vergine Maria, che presentò il Bambino
Gesù ai Magi, giunti a Betlemme per adorare il Salvatore, continui
a intercedere per noi, così come da secoli veglia sul popolo della
Germania dai tanti santuari sparsi nei Länder tedeschi. Il Signore benedica
voi qui presenti, come pure tutti i pellegrini e gli abitanti del Paese. Dio
protegga la Repubblica Federale di Germania!
FESTA DI ACCOGLIENZA DEI GIOVANI A COLONIA
PRESSO LA BANCHINA DEL POLLER RHEINWIESEN
(Giovedì 18 agosto 2005)
Carissimi giovani,
sono lieto di incontrarvi qui a Colonia sulle rive del Reno! Siete giunti
da varie parti della Germania, dell'Europa, del mondo, facendovi pellegrini
al seguito dei Magi. Seguendo le loro orme voi volete scoprire Gesù.
Avete accettato di mettervi in cammino per giungere anche voi a contemplare
in modo personale e insieme comunitario, il volto di Dio svelato nel bambino
del Presepio. Come voi, mi sono messo anch'io in cammino per giungere insieme
con voi ad inginocchiarmi davanti alla bianca Ostia consacrata nella quale
gli occhi della fede riconoscono la presenza reale del Salvatore del mondo.
Insieme, continueremo a meditare sul tema di questa Giornata Mondiale della
Gioventù: "Siamo venuti per adorarlo" (Mt 2,2).
Con immensa gioia vi saluto e vi accolgo, cari giovani, qui venuti da vicino
o da lontano, camminando sulle strade del mondo e su quelle della vostra vita.
Un particolare saluto rivolgo a quanti sono venuti dall'"Oriente",
come i Magi. Voi siete i rappresentanti delle innumerevoli folle di nostri
fratelli e sorelle in umanità, che aspettano senza saperlo il sorgere
della stella nei loro cieli per essere condotti a Cristo, Luce delle Genti,
e per trovare in Lui la risposta appagante per la sete dei loro cuori. Saluto
con affetto anche quanti tra voi non sono battezzati, quanti non conoscono
ancora Cristo o non si riconoscono nella Chiesa. Proprio a voi il Papa Giovanni
Paolo II ha rivolto un particolare invito a questo incontro; vi ringrazio
di aver deciso di venire a Colonia. Qualcuno tra voi potrebbe forse far propria
la descrizione che Edith Stein faceva della propria adolescenza, lei che visse
poi nel Carmelo di Colonia: "Avevo coscientemente e deliberatamente perso
l'abitudine di pregare". Durante queste giornate, potrete rifare l'esperienza
toccante della preghiera come dialogo con Dio, da cui ci sappiamo amati e
che vogliamo amare a nostra volta. A tutti vorrei dire con insistenza: spalancate
il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il "diritto
di parlarvi" durante questi giorni! Aprite le porte della vostra libertà
al suo amore misericordioso! Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo,
lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la
sua grazia il vostro cuore. In questi giorni benedetti di condivisione e di
gioia, fate l'esperienza liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia
e della tenerezza di Dio verso gli uomini. Nella Chiesa e mediante la Chiesa
raggiungerete Cristo che vi aspetta.
Arrivando oggi a Colonia per partecipare con voi alla XX Giornata Mondiale
della Gioventù, mi è spontaneo ricordare con emozione e riconoscenza
il Servo di Dio tanto amato da tutti noi Giovanni Paolo II, che ebbe l'idea
luminosa di chiamare a raccolta i giovani del mondo intero per celebrare insieme
Cristo, unico Redentore del genere umano. Grazie al dialogo profondo che si
è sviluppato nel corso di oltre vent'anni tra il Papa e i giovani,
molti di loro hanno potuto approfondire la fede, stringere legami di comunione,
appassionarsi alla Buona Novella della salvezza in Cristo e proclamarla in
tante parti della terra. Questo grande Papa ha saputo capire le sfide che
si presentano ai giovani di oggi e, confermando la sua fiducia in loro, non
ha esitato ad incitarli ad essere coraggiosi annunciatori del Vangelo e intrepidi
costruttori della civiltà della verità, dell'amore e della pace.
Oggi tocca a me raccogliere questa straordinaria eredità spirituale
che Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato. Lui vi ha amati, voi l'avete capito
e lo avete ricambiato con lo slancio della vostra età. Ora tutti insieme
abbiamo il compito di metterne in pratica gli insegnamenti. Con questo impegno
siamo qui a Colonia, pellegrini sulle orme dei Magi. Secondo la tradizione,
i loro nomi in lingua greca erano Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Nel suo
Vangelo, Matteo riporta la domanda che ardeva nel cuore dei Magi: "Dov'è
il Re dei Giudei che è nato?" (Mt 2, 2). La ricerca di Lui era
il motivo per cui avevano affrontato il lungo viaggio fino a Gerusalemme.
Per questo avevano sopportato fatiche e privazioni senza cedere allo scoraggiamento
e alla tentazione di ritornare sui loro passi. Ora che erano vicini alla meta,
non avevano da porre altra domanda che questa. Anche noi siamo venuti a Colonia
perché sentivamo urgere nel cuore, sebbene in forma diversa, la stessa
domanda che spingeva gli uomini dall'Oriente a mettersi in cammino. È
vero che noi oggi non cerchiamo più un re; ma siamo preoccupati per
la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo i criteri per la mia vita,
dove i criteri per collaborare in modo responsabile all'edificazione del presente
e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi - a chi affidarmi? Dov'è
Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore?
Porre simili domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non
è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il
potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli
uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli. Porre tali domande significa
poi cercare Qualcuno che non si inganna e non può ingannare ed è
perciò in grado di offrire una certezza così salda da consentire
di vivere per essa e, nel caso, anche di morire.
Quando all'orizzonte dell'esistenza tale risposta si profila bisogna, cari
amici, saper fare le scelte necessarie. È come quando ci si trova ad
un bivio: quale strada prendere? Quella suggerita dalle passioni o quella
indicata dalla stella che brilla nella coscienza? I Magi, udita la risposta:
"A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per
mezzo del profeta" (Mt 2, 5), scelsero di continuare la strada e di andare
fino in fondo, illuminati da questa parola. Da Gerusalemme andarono a Betlemme,
ossia dalla parola che indicava loro dov'era il Re dei Giudei che stavano
cercando fino all'incontro con quel Re che era al contempo l'Agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo. Quella parola è detta anche per noi.
Anche noi dobbiamo fare la nostra scelta. In realtà, a ben pensare,
è proprio questa l'esperienza che facciamo nella partecipazione ad
ogni Eucaristia. In ogni Messa, infatti, l'incontro con la Parola di Dio ci
introduce alla partecipazione al mistero della croce e risurrezione di Cristo
e così ci introduce alla Mensa eucaristica, all'unione con Cristo.
Sull'altare è presente Colui che i Magi videro steso sulla paglia:
Cristo, il Pane vivo disceso dal cielo per dare la vita al mondo, il vero
Agnello che dà la propria vita per la salvezza dell'umanità.
Illuminati dalla Parola, è sempre a Betlemme - la "Casa del pane"
- che potremo fare l'incontro sconvolgente con l'inconcepibile grandezza di
un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia,
di darsi come cibo sull'altare.
Possiamo immaginare lo stupore dei Magi davanti al Bambino in fasce! Solo
la fede permise loro di riconoscere nei tratti di quel bambino il Re che cercavano,
il Dio verso il quale la stella li aveva orientati. In Lui, colmando il fossato
esistente tra il finito e l'infinito, tra il visibile e l'invisibile, l'Eterno
è entrato nel tempo, il Mistero si è fatto conoscere consegnandosi
a noi nelle membra fragili di un piccolo bambino. "I Magi sono pieni
di stupore davanti a ciò che vedono; il cielo sulla terra e la terra
nel cielo; l'uomo in Dio e Dio nell'uomo; vedono racchiuso in un piccolissimo
corpo chi non può essere contenuto da tutto il mondo" (San Pietro
Crisologo, Sermone 160, n. 2). Durante queste giornate, in quest'"Anno
dell'Eucaristia", ci volgeremo con lo stesso stupore verso Cristo presente
nel Tabernacolo della misericordia, nel Sacramento dell'Altare.
Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete
diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth,
nascosto nell'Eucaristia. Solo lui dà pienezza di vita all'umanità!
Con Maria, dite il vostro "sì" a quel Dio che intende donarsi
a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all'inizio del mio pontificato: "Chi
fa entrare Cristo [nella propria vita] non perde nulla, nulla - assolutamente
nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No, solo in
questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia
si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana.
Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e
ciò che libera" (Omelia per l'inizio del ministero di Supremo
Pastore, 24 aprile 2005). Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie
di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per
la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo.
In queste giornate vi invito ad impegnarvi senza riserve a servire Cristo,
costi quel che costi. L'incontro con Gesù Cristo vi permetterà
di gustare interiormente la gioia della sua presenza viva e vivificante per
poi testimoniarla intorno a voi. Che la vostra presenza in questa città
sia già il primo segno di annuncio del Vangelo mediante la testimonianza
del vostro comportamento e della vostra gioia di vivere. Facciamo salire dal
nostro cuore un inno di lode e di azione di grazie al Padre per i tanti benefici
che ci ha concesso e per il dono della fede che celebreremo insieme, manifestandolo
al mondo da questa terra posta al centro dell'Europa, di un'Europa che molto
deve al Vangelo e ai suoi testimoni lungo i secoli.
Mi farò ora pellegrino alla cattedrale di Colonia per venerarvi le
reliquie dei santi Magi, che hanno accettato di lasciare tutto per seguire
la stella che li guidava al Salvatore del genere umano. Anche voi, cari giovani,
avete già avuto, o avrete, l'occasione di fare lo stesso pellegrinaggio.
Queste reliquie non sono che il segno fragile e povero di ciò che essi
furono e di ciò che essi vissero tanti secoli or sono. Le reliquie
ci indirizzano a Dio stesso: è Lui infatti che, con la forza della
sua grazia, concede ad esseri fragili il coraggio di testimoniarlo davanti
al mondo. Invitandoci a venerare i resti mortali dei martiri e dei santi,
la Chiesa non dimentica che, in definitiva, si tratta sì di povere
ossa umane, ma di ossa che appartenevano a persone visitate dalla potenza
viva di Dio. Le reliquie dei santi sono tracce di quella presenza invisibile
ma reale che illumina le tenebre del mondo, manifestando il Regno dei cieli
che è dentro di noi. Esse gridano con noi e per noi: "Maranatha!"
- "Vieni Signore Gesù!". Carissimi, con queste parole vi
saluto e vi do appuntamento alla veglia di sabato sera. A tutti, arrivederci!
VISITA ALLA SINAGOGA DI COLONIA (Venerdì 19 agosto 2005)
Distinte autorità ebraiche, gentili signore, illustri signori,
saluto tutti coloro che sono già stati nominati. Schalom lêchém!
Era mio profondo desiderio, in occasione della mia prima visita in Germania
dopo l'elezione a successore dell'apostolo Pietro, di incontrare la comunità
ebraica di Colonia e i rappresentanti del giudaismo tedesco. Con questa visita
vorrei riallacciarmi all'evento del 17 novembre 1980, quando il mio venerato
predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio in Germania, incontrò
a Magonza il Comitato Centrale Ebraico in Germania e la Conferenza Rabbinica.
Voglio confermare anche in questa circostanza che con grande vigore intendo
continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell'amicizia
con il popolo ebraico, in cui Papa Giovanni Paolo II ha fatto passi decisivi
(cfr Discorso alla Delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious
Consultations del 9 giugno 2005: L'Oss. Rom. 10 giugno 2005, p. 5).
La comunità ebraica di Colonia può sentirsi veramente "a
casa" in questa città. È questa, infatti, la sede più
antica di una comunità ebraica sul territorio tedesco: risale, l'abbiamo
saputo con esattezza, alla Colonia dell'epoca romana. La storia dei rapporti
tra comunità ebraica e comunità cristiana è complessa
e spesso dolorosa. Ci sono stati periodi benedetti di buona convivenza, ma
c'è stata anche la cacciata degli ebrei da Colonia nell'anno 1424.
Nel XX secolo, poi, nel tempo più buio della storia tedesca ed europea,
una folle ideologia razzista, di matrice neopagana, fu all'origine del tentativo,
progettato e sistematicamente messo in atto dal regime, di sterminare l'ebraismo
europeo: si ebbe allora quella che è passata alla storia come la Shoà.
Le vittime di questo crimine inaudito, e fino a quel momento anche inimmaginabile,
ammontano nella sola Colonia a 11.000 conosciute per nome; in realtà,
sono state sicuramente molte di più. Non si riconosceva più
la santità di Dio, e per questo si calpestava anche la sacralità
della vita umana.
In quest'anno 2005 si celebra il 60 anniversario della liberazione dei campi
di concentramento nazisti, nei quali milioni di ebrei - uomini, donne e bambini
- sono stati fatti morire nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori.
Faccio mie le parole scritte dal mio venerato Predecessore in occasione del
60 anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch'io: "Chino
il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione
del mysterium iniquitatis". Gli avvenimenti terribili di allora devono
"incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare
alla pace" (Messaggio per la liberazione di Auschwitz: 15 gennaio 2005).
Dobbiamo ricordarci insieme di Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da
Lui creato: Egli, ammonisce il Libro della Sapienza, è "amante
della vita" (11, 26).
Ricorre quest'anno anche il 40 anniversario della promulgazione della Dichiarazione
Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha aperto nuove prospettive
nei rapporti ebreo-cristiani all'insegna del dialogo e della solidarietà.
Questa Dichiarazione, nel quarto capitolo, ricorda le nostre radici comuni
e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono.
Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede
(cfr Gal 3, 7; Rm 4, 11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè
e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani
si nutre dei Salmi. Con l'apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che "i
doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11, 29; cfr 9, 6.11;
11, 1s). In considerazione della radice ebraica del cristianesimo (cfr Rm
11, 16-24), il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei Vescovi
tedeschi, affermò: "Chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo"
(Insegnamenti, vol. III/2, 1980, p. 1272).
La Dichiarazione conciliare Nostra aetate, pertanto, "deplora gli odii,
le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro
gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque" (n. 4). Dio ci ha creati tutti
"a sua immagine" (cfr Gn 1, 27), onorandoci con questo di una dignità
trascendente. Davanti a Dio tutti gli uomini hanno la stessa dignità,
a qualunque popolo, cultura o religione appartengano. Per questa ragione la
Dichiarazione Nostra aetate parla con grande stima anche dei musulmani (cfr
n. 3) e degli appartenenti alle altre religioni (cfr n. 2). Sulla base della
dignità umana comune a tutti, la Chiesa cattolica "esecra come
contraria alla volontà di Cristo qualsiasi discriminazione tra gli
uomini o persecuzione perpetrata per motivi di razza o di colore, di condizione
sociale o di religione" (Ibid., n. 5). La Chiesa è consapevole
del suo dovere di trasmettere, nella catechesi per i giovani come in ogni
aspetto della sua vita, questa dottrina alle nuove generazioni che non sono
state testimoni degli avvenimenti terribili accaduti prima e durante la Seconda
Guerra Mondiale. È un compito di speciale importanza in quanto oggi
purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo e si manifestano varie
forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri. Come non vedere
in ciò un motivo di preoccupazione e di vigilanza? La Chiesa cattolica
si impegna - lo riaffermo anche in questa circostanza - per la tolleranza,
il rispetto, l'amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni.
Nei quarant'anni trascorsi dalla Dichiarazione conciliare Nostra aetate, in
Germania e a livello internazionale è stato fatto molto per il miglioramento
e l'approfondimento dei rapporti tra ebrei e cristiani. Accanto alle relazioni
ufficiali, grazie soprattutto alla collaborazione tra gli specialisti in scienze
bibliche, sono nate molte amicizie. Ricordo, a questo proposito, le varie
dichiarazioni della Conferenza Episcopale Tedesca e l'attività benefica
della "Società per la collaborazione cristiano-ebraica di Colonia",
che hanno contribuito a far sì che la comunità ebraica, a partire
dall'anno 1945, potesse di nuovo sentirsi veramente "a casa" qui
a Colonia e instaurasse una buona convivenza con le comunità cristiane.
Resta però ancora molto da fare. Dobbiamo conoscerci a vicenda molto
di più e molto meglio. Perciò incoraggio un dialogo sincero
e fiducioso tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile
giungere ad un'interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse
e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico,
del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questo dialogo, se vuole essere
sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle:
anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci
distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci
e amarci a vicenda.
Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato,
ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani.
Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a
crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più
concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei
diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori
della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo
(cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune. I dieci comandamenti
non sono un peso, ma l'indicazione del cammino verso una vita riuscita. Lo
sono, in particolare, per i giovani che incontro in questi giorni e che mi
stanno tanto a cuore. Il mio augurio è che essi sappiano riconoscere
nel Decalogo, questo nostro fondamento comune, la lampada per i loro passi,
la luce per il loro cammino (cfr Sal 119, 105). Ai giovani gli adulti hanno
la responsabilità di passare la fiaccola della speranza che da Dio
è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché "mai
più" le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future,
con l'aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico
in cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza.
Concludo con le parole del Salmo 29, che sono un augurio ed anche una preghiera:
"Il Signore darà forza al suo popolo, il Signore benedirà
il suo popolo con la pace".
Voglia Egli esaudirci!
INCONTRO ECUMENICO
(Arcivescovado di Colonia Venerdì, 19 agosto 2005)
Cari fratelli e care sorelle!
dopo una giornata impegnativa concedetemi di rimanere seduto. Ciò non
significa che io voglia parlare "ex cathedra". Mi scuso anche per
il ritardo. Purtroppo i Vespri hanno richiesto più tempo del previsto
e il traffico è stato più lento di quanto si potesse immaginare.
Desidero ora esprimere la gioia di potere, in occasione di questa mia visita
in Germania, incontrare e salutare molto cordialmente Voi, rappresentanti
delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.
Provenendo io stesso da questo Paese, conosco bene la situazione penosa che
la rottura dell'unità nella professione della fede ha comportato per
tante persone e tante famiglie. Anche per questo motivo, subito dopo la mia
elezione a Vescovo di Roma, quale Successore dell'apostolo Pietro, ho manifestato
il fermo proposito di assumere il ricupero della piena e visibile unità
dei cristiani come una priorità del mio Pontificato. Con ciò
ho consapevolmente voluto ricalcare le orme di due miei grandi Predecessori:
di Paolo VI che, ormai più di quarant'anni fa, firmò il Decreto
conciliare sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, e di Giovanni Paolo II,
che fece poi di questo documento il criterio ispiratore del suo agire. La
Germania nel dialogo ecumenico riveste senza dubbio un posto di particolare
importanza. Noi siamo il Paese d'origine della Riforma; però la Germania
è anche uno dei Paesi da cui è partito il movimento ecumenico
del XX secolo. A seguito dei flussi migratori del secolo scorso, anche cristiani
delle Chiese ortodosse e delle antiche Chiese dell'Oriente hanno trovato in
questo Paese una nuova patria. Ciò ha indubbiamente favorito il confronto
e lo scambio, cosicché ora esiste fra noi un dialogo a tre. Insieme
ci rallegriamo nel constatare che il dialogo, col passare del tempo, ha suscitato
una riscoperta della nostra fratellanza e creato tra i cristiani delle varie
Chiese e Comunità ecclesiali un clima più aperto e fiducioso.
Il mio venerato Predecessore nella sua Enciclica Ut unum sint (1995) ha indicato
proprio in questo un frutto particolarmente significativo del dialogo (cfr
nn. 41s.; 64).
Ritengo che non sia poi così scontato che ci consideriamo veramente
fratelli, che ci amiamo, che ci sentiamo insieme testimoni di Gesù
Cristo. Questa fraternità è in sé, come credo, un frutto
molto importante del dialogo, di cui dobbiamo essere lieti e che dovremmo
continuare a curare e a praticare.
La fraternità tra i cristiani non è semplicemente un vago sentimento
e nemmeno nasce da una forma di indifferenza verso la verità. Essa
è fondata, come Lei, illustre Vescovo, ha appena detto, sulla realtà
soprannaturale dell'unico Battesimo, che ci inserisce tutti nell'unico Corpo
di Cristo (cfr 1 Cor 12, 13; Gal 3, 28; Col 2, 12). Insieme confessiamo Gesù
Cristo come Dio e Signore; insieme lo riconosciamo come unico mediatore tra
Dio e gli uomini (cfr 1 Tm 2, 5), sottolineando la nostra comune appartenenza
a Lui (cfr Unitatis redintegratio, 22; Ut unum sint, 42). A partire da questo
essenziale fondamento del Battesimo, che è una realtà da Lui
proveniente, una realtà nell'essere e poi nel professare, nel credere
e nell'agire, a partire da questo decisivo fondamento il dialogo ha portato
i suoi frutti e continuerà a farlo. Vorrei menzionare il riesame, auspicato
da Papa Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in Germania, delle reciproche
condanne. Penso con un po' di nostalgia a quella prima visita. Ho potuto essere
presente quando eravamo insieme a Magonza in un circolo relativamente piccolo
e autenticamente fraterno. Furono poste delle questioni e il Papa elaborò
una grande visione teologica, nella quale la reciprocità aveva un suo
spazio. Da quel colloquio scaturì poi la commissione a livello episcopale
e cioè ecclesiale, sotto la responsabilità ecclesiale, che con
l'aiuto dei teologi portò infine all'importante risultato della "Dichiarazione
comune sulla dottrina della giustificazione" del 1999 e a un accordo
su questioni fondamentali che fin dal XVI secolo erano state oggetto di controversie.
Bisogna inoltre riconoscere con gratitudine i risultati costituiti dalle varie
comuni prese di posizione su importanti argomenti quali le fondamentali questioni
sulla difesa della vita e sulla promozione della giustizia e della pace. Sono
ben consapevole che molti cristiani in Germania, e non solo qui, si aspettano
ulteriori passi concreti di avvicinamento e anche io me li aspetto. Infatti
è il comandamento del Signore, ma anche l'imperativo dell'ora presente,
di continuare in modo convinto il dialogo a tutti i livelli della vita della
Chiesa. Ciò deve ovviamente avvenire con sincerità e realismo,
con pazienza e perseveranza nella fedeltà al dettato della coscienza,
nella consapevolezza che è il Signore, che poi dona l'unità,
che non siamo noi a crearla, che è Lui a donarla, ma che dobbiamo andargli
incontro.
Non intendo sviluppare qui un programma per i temi immediati del dialogo.
Questo è compito dei teologi in collaborazione con i Vescovi: i teologi
sulla base della loro conoscenza del problema, i Vescovi a partire dalla loro
conoscenza della situazione concreta delle Chiese nel nostro Paese e nel mondo.
Mi sia concessa soltanto una piccola annotazione: si dice che ora, dopo il
chiarimento relativo alla Dottrina della giustificazione, l'elaborazione delle
questioni ecclesiologiche e delle questioni relative al ministero sia l'ostacolo
principale che rimane da superare. Ciò in definitiva è vero,
ma devo anche dire che non amo questa terminologia e da un certo punto di
vista questa delimitazione del problema, poiché sembra che ora dovremmo
dibattere delle istituzioni invece che della Parola di Dio, come se dovessimo
porre al centro le nostre istituzioni e fare per esse una guerra. Penso che
in questo modo il problema ecclesiologico così come quello del "ministerium"
non vengano affrontati correttamente. La questione vera è la presenza
della Parola nel mondo. La Chiesa primitiva nel secondo secolo ha preso una
triplice decisione: innanzitutto di stabilire il canone, sottolineando in
tal modo la sovranità della Parola e spiegando che non solo il Vecchio
Testamento è "hai graphai", ma che il Nuovo Testamento costituisce
con esso un'unica Scrittura e in tal modo è per noi il nostro vero
sovrano. Ma al contempo la Chiesa ha formulato la successione apostolica,
il ministero episcopale, nella consapevolezza che la Parola e il testimone
vanno insieme, che cioè la Parola è viva e presente solo grazie
al testimone e, per così dire, da esso riceve la sua interpretazione,
e che reciprocamente il testimone è tale solo se testimonia la Parola.
E infine, la Chiesa ha aggiunto come terza cosa la "regula fidei"
quale chiave interpretativa. Credo che questa vicendevole compenetrazione
costituisca oggetto di dissenso fra noi, sebbene siamo uniti su cose fondamentali.
Quindi, quando parliamo di ecclesiologia e di ministero, dovremmo parlare
preferibilmente di questo intreccio di Parola, testimone e regola di fede
e considerarlo come questione ecclesiologica e quindi insieme come questione
della Parola di Dio, della sua sovranità e della sua umiltà,
in quanto il Signore affida la sua Parola ai testimoni e ne concede l'interpretazione,
che però deve commisurarsi sempre alla "regula fidei" e alla
serietà della Parola. Scusatemi se ho espresso qui un'opinione personale,
ma mi sembrava giusto farlo.
Una priorità urgente nel dialogo ecumenico è costituita poi
dalle grandi questioni etiche poste dal nostro tempo; in questo campo gli
uomini di oggi in ricerca si aspettano con buona ragione una risposta comune
da parte dei cristiani, che, grazie a Dio, in molti casi si è trovata.
Esistono talmente tante dichiarazioni comuni della Conferenza Episcopale Tedesca
e della Chiesa Evangelica in Germania, che possiamo solo esserne grati. Ma
purtroppo non sempre questo avviene. A causa di contraddizioni in questo campo
la testimonianza evangelica e l'orientamento etico che dobbiamo ai fedeli
e alla società perdono di forza, assumendo non di rado caratteristiche
vaghe, e così veniamo meno al nostro dovere di dare al nostro tempo
la testimonianza necessaria. Le nostre divisioni sono in contrasto con la
volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini.
Penso che dovremmo impegnarci con rinnovata energia e dedizione a recare una
testimonianza comune nell'ambito di queste grandi sfide etiche del nostro
tempo.
Ed ora chiediamoci: che cosa significa ristabilire l'unità di tutti
i cristiani? Sappiamo tutti che esistono numerosi modelli di unità
e voi sapete anche che la Chiesa cattolica si prefigge il raggiungimento della
piena unità visibile dei discepoli di Gesù Cristo secondo la
definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi
documenti (cfr Lumen gentium, nn. 8;13; Unitatis redintegratio, nn. 2; 4 ecc.).
Tale unità, secondo la nostra convinzione, sussiste, sì, nella
Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta (cfr Unitatis
redintegratio, n. 4); la Chiesa infatti non è scomparsa totalmente
dal mondo. D'altra parte questa unità non significa quello che si potrebbe
chiamare ecumenismo del ritorno: rinnegare cioè e rifiutare la propria
storia di fede. Assolutamente no! Non significa uniformità in tutte
le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche
e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità
nell'unità: nell'Omelia per la solennità dei santi apostoli
Pietro e Paolo, lo scorso 29 giugno, ho rilevato che piena unità e
vera cattolicità nel senso originario della parola vanno insieme. Condizione
necessaria perché questa coesistenza si realizzi è che l'impegno
per l'unità si purifichi e si rinnovi continuamente, cresca e maturi.
A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è
più di uno scambio di pensieri, di un'impresa accademica: è
uno scambio di doni (cfr Ut unum sint, n. 28), nel quale le Chiese e le Comunità
ecclesiali possono mettere a disposizione i loro tesori (cfr Lumen gentium,
nn. 8; 15; Unitatis redintegratio, nn. 3; 14s; Ut unum sint, nn. 10-14). È
proprio grazie a questo impegno che il cammino può proseguire passo
passo fino a quando, come dice la Lettera agli Efesini, finalmente arriveremo
"tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio,
allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità
di Cristo" (Ef 4, 13). È ovvio che un tale dialogo può
svilupparsi solo in un contesto di sincera e coerente spiritualità.
Non possiamo "fare" l'unità con le sole nostre forze. La
possiamo soltanto ottenere come dono dello Spirito Santo. Perciò l'ecumenismo
spirituale, e cioè la preghiera, la conversione e la santificazione
della vita costituiscono il cuore dell'incontro e del movimento ecumenico
(cfr Unitatis redintegratio, n. 8; Ut unum sint, nn. 15s; 21 ecc.). Si potrebbe
anche dire: la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere secondo il
Vangelo.
Desidero anche io in questo contesto ricordare il grande pioniere dell'unità,
Padre Roger Schutz, che è stato strappato alla vita in modo così
tragico. Lo conoscevo personalmente da tempo e avevo con lui un rapporto di
cordiale amicizia. Mi ha spesso reso visita e, come ho già detto a
Roma, il giorno della sua uccisione ho ricevuto una sua lettera che mi è
rimasta nel cuore perché in essa sottolineava la sua adesione al mio
cammino e mi annunciava di volermi venire a trovare. Ora ci visita dall'alto
e ci parla. Penso che dovremmo ascoltarlo, ascoltare dal di dentro il suo
ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza
verso un ecumenismo interiorizzato e spiritualizzato.
Vedo un confortante motivo di ottimismo nel fatto che oggi si sta sviluppando
una sorta di "rete" di collegamento spirituale tra cattolici e cristiani
delle varie Chiese e Comunità ecclesiali: ciascuno si impegna nella
preghiera, nella revisione della propria vita, nella purificazione della memoria,
nell'apertura della carità. Il padre dell'ecumenismo spirituale, Paul
Couturier, ha parlato a questo riguardo di un "chiostro invisibile",
che raccoglie tra le sue mura queste anime appassionate di Cristo e della
sua Chiesa. Io sono convinto che, se un numero crescente di persone si unirà
interiormente alla preghiera del Signore "perché tutti siano una
sola cosa" (Gv 17, 21), una tale preghiera nel nome di Gesù non
cadrà nel vuoto (cfr Gv 14, 13; 15, 7.16 ecc.). Con l'aiuto che viene
dall'Alto, troveremo, nelle varie questioni tuttora aperte, soluzioni praticabili,
e il desiderio di unità alla fine, quando e come Egli vorrà,
sarà appagato. Ora andiamo insieme lungo questa via nella consapevolezza
che l'essere in cammino insieme è un tipo di unità. Rendiamo
grazie a Dio per questo e preghiamolo affinché continui a guidarci
tutti.
INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI
DI ALCUNE COMUNITÀ MUSULMANE
(Arcivescovado di Colonia, Sabato 20 agosto 2005)
Cari amici musulmani,
è motivo di grande gioia per me accogliervi e porgervi il mio cordiale
saluto. Sono qui per incontrare i giovani venuti da ogni parte d'Europa e
del mondo. I giovani sono il futuro dell'umanità e la speranza delle
nazioni. Il mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, disse un giorno
ai giovani musulmani riuniti nello stadio di Casablanca (Marocco): "I
giovani possono costruire un futuro migliore, se pongono innanzitutto la loro
fede in Dio e si impegnano poi a costruire questo mondo nuovo secondo il disegno
di Dio, con saggezza e fiducia" (Insegnamenti, VIII/2, 1985, p. 500).
E' in questa prospettiva che mi rivolgo a voi, cari amici musulmani, per condividere
con voi le mie speranze e mettervi a parte anche delle mie preoccupazioni
in questi momenti particolarmente difficili della storia del nostro tempo.
Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza,
tra le preoccupazioni, quella che nasce dalla constatazione del dilagante
fenomeno del terrorismo. Continuano a ripetersi in varie parti del mondo azioni
terroristiche, che seminano morte e distruzione, gettando molti nostri fratelli
e sorelle nel pianto e nella disperazione. Gli ideatori e programmatori di
questi attentati mostrano di voler avvelenare i nostri rapporti, servendosi
di tutti i mezzi, anche della religione, per opporsi ad ogni sforzo di convivenza
pacifica, leale e serena. Il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è
una scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita
e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza. Se insieme riusciremo
ad estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma
di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, freneremo
l'ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone,
ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo,
ma non impossibile. Il credente infatti sa di poter contare, nonostante la
propria fragilità, sulla forza spirituale della preghiera.
Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti
alle pressioni negative dell'ambiente, i valori del rispetto reciproco, della
solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra
sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione
in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità
della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono
devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto
in essere per attuarlo. E' questo un messaggio scandito in modo inconfondibile
dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E' un messaggio che occorre
ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l'eco nei cuori, il mondo sarebbe
esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della
centralità della persona si può trovare una comune base di intesa,
superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente
delle ideologie.
Nell'incontro che ho avuto in aprile con i Delegati delle Chiese e Comunità
ecclesiali e con i rappresentanti di varie Tradizioni religiose dissi: "Vi
assicuro che la Chiesa vuole continuare a costruire ponti di amicizia con
i seguaci di tutte le religioni, al fine di ricercare il bene autentico di
ogni persona e della società nel suo insieme" (in: L'Osservatore
Romano, 25 aprile 2005, p. 4). L'esperienza del passato ci insegna che il
rispetto mutuo e la comprensione non hanno sempre contraddistinto i rapporti
tra cristiani e musulmani. Quante pagine di storia registrano le battaglie
e le guerre affrontate invocando, da una parte e dall'altra, il nome di Dio,
quasi che combattere il nemico e uccidere l'avversario potesse essere cosa
a Lui gradita. Il ricordo di questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna,
ben sapendo quali atrocità siano state commesse nel nome della religione.
Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori.
Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando
ciascuno l'identità dell'altro. La difesa della libertà religiosa,
in questo senso, è un imperativo costante e il rispetto delle minoranze
un segno indiscutibile di vera civiltà.
A questo proposito, è sempre opportuno richiamare quanto i Padri del
Concilio Vaticano II hanno detto circa i rapporti con i musulmani. "La
Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente
e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra,
che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore
ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale
la fede islamica volentieri si riferisce... Se nel corso dei secoli non pochi
dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto
Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente
la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per
tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà"
(Dichiarazione Nostra Aetate, n. 3).
Voi, stimati amici, rappresentate alcune Comunità musulmane esistenti
in questo Paese nel quale sono nato, ho studiato e ho vissuto una buona parte
della mia vita. Proprio per questo era mio desiderio incontrarvi. Voi guidate
i credenti dell'Islam e li educate nella fede musulmana. L'insegnamento è
il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è
la strada maestra nell'educazione della mente. Voi avete, pertanto, una grande
responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani
e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci
propone. Non c'è spazio per l'apatia e il disimpegno ed ancor meno
per la parzialità e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura né
al pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l'ottimismo e la speranza. Il
dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può
ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità
vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro. I giovani, provenienti
da tante parti del mondo, sono qui a Colonia come testimoni viventi di solidarietà,
di fratellanza e di amore. Vi auguro con tutto il cuore, cari amici musulmani,
che il Dio misericordioso e compassionevole vi protegga, vi benedica e vi
illumini sempre. Il Dio della pace sollevi i nostri cuori, alimenti la nostra
speranza e guidi i nostri passi sulle strade del mondo. Grazie!
VEGLIA CON I GIOVANI
(Colonia, Spianata di Marienfeld, Sabato 20 agosto 2005)
Cari giovani!
Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti
a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati
nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria
sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore
di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per
loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta
la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato
in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso
il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era
in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio
esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito
parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re
che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui
avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano
messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto,
della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi
ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo.
Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia"
(Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio
- si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio,
per potersi mettere al servizio di essa.
Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti
e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano
che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano
cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però
s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere
che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva
insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga
e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione,
si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che
Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò
il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si
prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso.
Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo,
dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è
diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è
diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui.
Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere.
Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto
degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26,
53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere
inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della
storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si
oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso -
è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi
devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità
sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro
adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra -
doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto
e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere
questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio
potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente
seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano
insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in
questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può
essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono.
Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta
per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo
divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono
diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del
perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa
mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di
Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a
trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme
del vero Re, al seguito di Gesù.
Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché
quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare
la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo
Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto
i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno
costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel
Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È
la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore,
lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine;
questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro
illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa
di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio
venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo
momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche
lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere
cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere
secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno
cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto
donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci
indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce
ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi
i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure
nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno
sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità
di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine
dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare
a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila,
Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi
dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi
del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio.
Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare",
e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo
la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.
I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in
modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera
rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato
abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere
più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani
il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto
di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento.
L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si
chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità
e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il
volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della
nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono
e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve
a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso
tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?
Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti
coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita
la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio.
I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino
di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù
a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si
trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo
seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto.
Allora cammineremo sulla via giusta.
Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un
Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù
che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione
dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso
sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo,
e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni
e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo
II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa,
ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo
dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In
tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare
con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con
i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante
il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri
difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù,
che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia
umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante
la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti
i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere
a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e
amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia
bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo
e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra.
In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo
con la stella che illumina la storia.
"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi
lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia
lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia
sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente
in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto
di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e
muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è
presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore
che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio
e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.
SANTA MESSA NELLA SPIANATA DI MARIENFELD
(Domenica, 21 agosto 2005)
Cari giovani!
Davanti all'Ostia sacra, nella quale Gesù per noi si è fatto
pane che dall'interno sostiene e nutre la nostra vita (cfr Gv 6, 35), abbiamo
ieri sera cominciato il cammino interiore dell'adorazione. Nell'Eucaristia
l'adorazione deve diventare unione. Con la Celebrazione eucaristica ci troviamo
in quell'"ora" di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni.
Mediante l'Eucaristia questa sua "ora" diventa la nostra ora, presenza
sua in mezzo a noi. Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale
d'Israele, il memoriale dell'azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele
dalla schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d'Israele.
Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene
una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato;
lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà mediante
la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono
la somma della Legge e dei Profeti: "Questo è il mio Corpo dato
in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue".
E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il
compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo
e facendo in quel momento.
Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo
e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli
anticipa la sua morte, l'accetta nel suo intimo e la trasforma in un'azione
di amore. Quello che dall'esterno è violenza brutale - la crocifissione
-, dall'interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È
questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e
che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine
ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui
Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). Già da sempre tutti
gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione
del mondo. Ora questo è l'atto centrale di trasformazione che solo
è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma
in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte
in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata,
è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per
così dire, intimamente ferita, così che non può più
essere lei l'ultima parola. È questa, per usare un'immagine a noi oggi
ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell'essere -
la vittoria dell'amore sull'odio, la vittoria dell'amore sulla morte. Soltanto
questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi
la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli
altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo
di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto,
e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire
il suo Corpo, perché realmente dona se stesso.
Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte
in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano
il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve
fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue
di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a
nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei
di Lui. Tutti mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo
una cosa sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è
più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro
di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi
agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi
realmente la misura dominante del mondo. Io trovo un'allusione molto bella
a questo nuovo passo che l'Ultima Cena ci ha donato nella differente accezione
che la parola "adorazione" ha in greco e in latino. La parola greca
suona proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento
di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa
che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente
autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene,
per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni. Questo gesto è necessario,
anche se la nostra brama di libertà in un primo momento resiste a questa
prospettiva. Il farla completamente nostra sarà possibile soltanto
nel secondo passo che l'Ultima Cena ci dischiude. La parola latina per adorazione
è ad-oratio - contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in
fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale
ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso,
perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della
più intima verità del nostro essere.
Torniamo ancora all'Ultima Cena. La novità che lì si verificò,
stava nella nuova profondità dell'antica preghiera di benedizione d'Israele,
che da allora diventa la parola della trasformazione e dona a noi la partecipazione
all'"ora" di Cristo. Gesù non ci ha dato il compito di ripetere
la Cena pasquale che, del resto, in quanto anniversario, non è ripetibile
a piacimento. Ci ha dato il compito di entrare nella sua "ora".
Entriamo in essa mediante la parola del potere sacro della consacrazione -
una trasformazione che si realizza mediante la preghiera di lode, che ci pone
in continuità con Israele e con tutta la storia della salvezza, e al
contempo ci dona la novità verso cui quella preghiera per sua intima
natura tendeva. Questa preghiera - chiamata dalla Chiesa "preghiera eucaristica"
- pone in essere l'Eucaristia. Essa è parola di potere, che trasforma
i doni della terra in modo del tutto nuovo nel dono di sé di Dio e
ci coinvolge in questo processo di trasformazione. Per questo chiamiamo questo
avvenimento Eucaristia, che è la traduzione della parola ebraica beracha
- ringraziamento, lode, benedizione, e così trasformazione a partire
dal Signore: presenza della sua "ora". L'ora di Gesù è
l'ora in cui vince l'amore. In altri termini: è Dio che ha vinto, perché
Egli è l'Amore. L'ora di Gesù vuole diventare la nostra ora
e lo diventerà, se noi, mediante la celebrazione dell'Eucaristia, ci
lasciamo tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di
mira. L'Eucaristia deve diventare il centro della nostra vita. Non è
positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l'Eucaristia è
parte della domenica. Al mattino di Pasqua, prima le donne e poi i discepoli
ebbero la grazia di vedere il Signore. D'allora in poi essi seppero che ormai
il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe stato il giorno di Lui,
di Cristo. Il giorno dell'inizio della creazione diventava il giorno del rinnovamento
della creazione. Creazione e redenzione vanno insieme. Per questo è
così importante la domenica. È bello che oggi, in molte culture,
la domenica sia un giorno libero o, insieme col sabato, costituisca addirittura
il cosiddetto "fine-settimana" libero. Questo tempo libero, tuttavia,
rimane vuoto se in esso non c'è Dio. Cari amici! Qualche volta, in
un primo momento, può risultare piuttosto scomodo dover programmare
nella domenica anche la Messa. Ma se vi ponete impegno, constaterete poi che
è proprio questo che dà il giusto centro al tempo libero. Non
lasciatevi dissuadere dal partecipare all'Eucaristia domenicale ed aiutate
anche gli altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la
gioia di cui abbiamo bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più
nelle sue profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in
questo senso - ne vale la pena! Scopriamo l'intima ricchezza della liturgia
della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma
è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l'amore
per l'Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel
quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio
alla nostra vita.
Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non
si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del
mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente
anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione,
di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: Non è
possibile che questa sia la vita! Davvero no. E così insieme con la
dimenticanza di Dio esiste come un boom del religioso. Non voglio screditare
tutto ciò che c'è in questo contesto. Può esserci anche
la gioia sincera della scoperta. Ma, per dire il vero, non di rado la religione
diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace, e certuni
sanno anche trarne un profitto. Ma la religione cercata alla maniera del "fai
da te" alla fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell'ora della
crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella
che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo
sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso
di Lui. Per questo è così importante l'amore per la Sacra Scrittura
e, di conseguenza, importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude
il senso della Scrittura. È lo Spirito Santo che guida la Chiesa nella
sua fede crescente e l'ha fatta e la fa penetrare sempre di più nelle
profondità della verità (cfr Gv 16, 13). Papa Giovanni Paolo
II ci ha donato un'opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è
spiegata in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso
recentemente ho potuto presentare il Compendio di tale Catechismo, che è
stato anche elaborato a richiesta del defunto Papa. Sono due libri fondamentali
che vorrei raccomandare a tutti voi.
Ovviamente, i libri da soli non bastano. Formate delle comunità sulla
base della fede! Negli ultimi decenni sono nati movimenti e comunità
in cui la forza del Vangelo si fa sentire con vivacità. Cercate la
comunione nella fede come compagni di cammino che insieme continuano a seguire
la strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell'Oriente ci hanno indicato
per primi. La spontaneità delle nuove comunità è importante,
ma è pure importante conservare la comunione col Papa e con i Vescovi.
Sono essi a garantire che non si sta cercando dei sentieri privati, ma invece
si sta vivendo in quella grande famiglia di Dio che il Signore ha fondato
con i dodici Apostoli.
Ancora una volta devo ritornare all'Eucaristia. "Poiché c'è
un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo" dice san Paolo
(1 Cor 10, 17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo
Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa
sola anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi
nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità
per le necessità dell'altro. Deve manifestarsi nella disponibilità
a condividere. Deve manifestarsi nell'impegno per il prossimo, per quello
vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda sempre
da vicino.
Esistono oggi forme di volontariato, modelli di servizio vicendevole, di cui
proprio la nostra società ha urgentemente bisogno. Non dobbiamo, ad
esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine, non dobbiamo passare
oltre di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo in virtù della
comunione con Cristo, allora ci si aprono gli occhi. Allora non ci adatteremo
più a vivacchiare preoccupati solo di noi stessi, ma vedremo dove e
come siamo necessari.
Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto
più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi
solo delle comodità che ci vengono offerte. Io so che voi come giovani
aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo
agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza
dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro
amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo.
Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di Dio!
Amen.