Parrocchia di S. Stefano
Casalmaggiore
2004
45
EUROPA
I
suoi fondamenti spirituali
ieri, oggi e domani
Parrocchia di S. Stefano
Casalmaggiore
2004
45
Invitato
dal presidente del Senato Marcello Pera, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto
della Congregazione per la dottrina della fede e decano del Sacro Collegio, ha
tenuto il 13 maggio scorso, nella Sala capitolare del Chiostro della Minerva a
Roma, una conferenza su "Europa: i suoi fondamenti spirituali ieri, oggi
e domani".
Il Cardinale ha ripercorso le tappe su cui si è costruita
l'identità europea: Erodoto, l'Impero Romano, papa Gelasio I, Carlo Magno,
Bisanzio, gli scismi, la nascita dello Stato moderno, l'universalizzazione della
cultura e la sua crisi. Accanto alla rilevazione delle principali tappe storiche
- che rimangono essenziali per comprendere il processo di formazione del continente
europeo - risultano fondamentali le considerazioni di carattere spirituale e religioso,
che raramente trovano spazio nelle analisi correnti. Soprattutto appaiono coraggiose
e talvolta provocatorie le riflessioni finali, riguardanti il presente e il futuro
dell'Europa e dell'Occidente. Sono riflessioni "fuori dal coro", espresse
e presentate con la competenza dello studioso e con la sapienza del cristiano
che guarda in faccia la realtà, chiamando le cose con il loro nome, anche
quando la realtà appare in tutta la sua nuda verità. Ai più
potrebbe apparire amara la conclusione del cardinale, quando parla di un Occidente
"che non ama più se stesso". Ma lo stesso rifiuto, da parte della
maggioranza dei Capi di Stato e di Governo, di inserire nel Preambolo del Trattato
Costituzionale dell'Unione Europea il riferimento alle radici cristiane dell'Europa
- rifiuto che è stato spalmato perfino su altre radici, quali ad esempio
il pensiero filosofico greco, il diritto romano, la filosofia dei Lumi - dice
tutta la disaffezione verso la propria identità da parte di coloro che
dovrebbero, se non amarla, almeno riconoscerla: anche per il motivo che, senza
una precisa e radicata identità, diventa fuorviante e privo di reale efficacia
ogni atteggiamento di dialogo. Gadamer, proprio a proposito di tolleranza - un
termine che non amo molto - afferma che "è un errore molto diffuso
quello di ritenere che la tolleranza consista nel rinunciare alla propria peculiarità,
cancellandosi di fronte all'altro". La rinuncia o la paura della propria
identità rivela piuttosto una patologia che uno spirito di dialogo. Come
è possibile infatti rispettare l'altro nella sua peculiarità (culturale,
religiosa, antropologica
) se non si è in grado di accogliere e di
rispettare la propria? E proprio di patologia parla Ratzinger, quando, nella riflessione
finale, così si esprime: "C'è un odio di sé dell'Occidente
che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico;
l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione
a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede
oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non
è più in grado di percepire ciò che è grande e puro.
L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova - certamente critica e umile
- accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità,
che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita - è talvolta
soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga
dalle cose proprie".
Questa non è solo la situazione dell'Occidente
laico e relativista, ma mi sembra anche il clima di tante nostre comunità
cristiane, che appaiono - anche agli occhi degli agnostici, dei non praticanti
e dei credenti di altre religioni - percorse dal morbo della sfiducia e della
stanchezza, prive di passione nel vivere e nell'annunciare il Vangelo di Gesù
Cristo, unico Salvatore dell'umanità
Ratzinger si augura che i cristiani
tornino ad essere una "minoranza creativa", perché il destino
di una società dipende sempre da minoranze creative: come è capitato
agli inizi dell'avventura cristiana, come è capitato in tanti altri tornanti
della sua storia bimillenaria. E perché non potrebbe o non dovrebbe capitare
anche oggi? Ma impegnarsi per diventare una "minoranza creativa" significa
anche avere il coraggio di percorrere strade nuove e inedite: affinché
il vino nuovo del cristianesimo non sia svigorito negli otri vecchi delle nostre
paure e non sia immiserito nelle nostre ostinazioni pastorali.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 11 luglio 2004
Festa di San Benedetto,
patrono d'Europa
L'Europa - Cos'è essa propriamente? Questa domanda
è stata sempre nuovamente posta, in maniera espressa, dal cardinal Józef
Glemp in uno dei circoli linguistici del Sinodo Episcopale sull'Europa: dove comincia,
dove finisce l'Europa? Perché ad esempio la Siberia non appartiene all'Europa,
sebbene essa sia abitata anche da europei, la cui modalità di pensare e
di vivere è inoltre del tutto europea? E dove si perdono i confini dell'Europa
nel sud della comunità di popoli della Russia? Dove corre il suo confine
nell'Atlantico? Quali isole sono Europa, e quali invece non lo sono, e perché
non lo sono? In questi incontri divenne perfettamente chiaro che Europa solo in
maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l'Europa non è
un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è invece
un concetto culturale e storico.
1. Il sorgere dell'Europa
Questo
risulta in modo assai evidente se tentiamo di risalire alle origini dell'Europa.
Chi parla dell'origine dell'Europa, rinvia solitamente ad Erodoto (ca. 484-425
a. C.), il quale certamente è il primo a conoscere l'Europa come concetto
geografico, e la definisce così: "i Persiani considerano come cosa
di loro proprietà l'Asia e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono
che l'Europa e il mondo greco siano un paese a parte". I confini dell'Europa
stessa non vengono addotti, ma è chiaro che terre che oggi sono il nucleo
dell'Europa odierna giacevano completamente al di fuori del campo visivo dell'antico
storico. Di fatto con la formazione degli stati ellenistici e dell'Impero Romano
si era formato un continente che divenne la base della successiva Europa, ma che
esibiva tutt'altri confini: erano le terre tutt'attorno al Mediterraneo, le quali
in virtù dei loro legami culturali, in virtù dei traffici e dei
commerci, in virtù del comune sistema politico formavano le une insieme
alle altre un vero e proprio continente. Solo l'avanzata trionfale dell'Islam
nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo,
lo ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò
che fino ad allora era stato un continente si suddivideva adesso oramai in tre
continenti: Asia, Africa, Europa.
In oriente la trasformazione del mondo antico
si compì più lentamente che in occidente: l'Impero Romano con Costantinopoli
come punto centrale resistette laggiù - anche se sempre più spinto
ai margini - fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo attorno
all'anno 700 è completamente caduta fuori di quello che fino ad allora
era un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una sempre più
forte estensione verso il nord. Il limes, che sino ad allora era stato un confine
continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio storico, che ora abbraccia
la Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleo vere e proprie, e si protende
in maniera crescente verso la Scandinavia. In questo processo di spostamento dei
confini la continuità ideale con il precedente continente mediterraneo,
misurato geograficamente in termini differenti, venne garantita da una costruzione
di teologia della storia: in collegamento con il libro di Daniele, si considerava
l'Impero Romano rinnovato e trasformato dalla fede cristiana come l'ultimo e permanente
regno della storia del mondo in generale, e si definiva perciò la compagine
di popoli e di stati che era in via di formazione come il permanente Sacrum Imperium
Romanum.
Questo processo di una nuova identificazione storica e culturale è
stato compiuto in maniera del tutto consapevole sotto il regno di Carlo Magno,
e qui emerge ora nuovamente anche l'antico nome di Europa, in un significato mutato:
questo vocabolo venne ora impiegato addirittura come definizione del regno di
Carlo Magno, ed esprimeva al tempo stesso la coscienza della continuità
e della novità con cui la nuova compagine di stati si presentava come la
forza propriamente carica di futuro. Carica di futuro proprio perché si
concepiva in continuità con la storia del mondo fino ad allora e ultimamente
ancorata in ciò che permane sempre.
Nell'autocomprensione che andava
così formandosi è espressa parimenti la consapevolezza della definitività,
così come al tempo stesso la consapevolezza di una missione.
È
vero che il concetto di Europa è pressoché nuovamente scomparso
dopo la fine del regno carolingio ed è rimasto solamente conservato nel
linguaggio dei dotti; nel linguaggio popolare esso trapassa solamente all'inizio
dell'epoca moderna - certo in connessione con il pericolo dei Turchi, come modalità
di autoidentificazione -, per imporsi in generale nel XVIII secolo. Indipendentemente
da questa storia del termine, il costituirsi del regno dei Franchi come l'Impero
Romano mai tramontato e ora rinato significa di fatto il passo decisivo verso
ciò che noi oggi intendiamo quando parliamo di Europa.
Certo non possiamo
dimenticare che c'è anche una seconda radice dell'Europa, di un'Europa
non occidentale: l'Impero Romano aveva in effetti, come già detto, resistito
a Bisanzio contro le tempeste della migrazione dei popoli e dell'invasione islamica.
Bisanzio intendeva se stessa come la vera Roma; qui di fatto l'Impero non era
mai tramontato, ragion per cui si continuava ad avanzare una rivendicazione nei
confronti dell'altra metà, quella occidentale, dell'Impero. Anche questo
Impero Romano d'Oriente si è esteso ulteriormente verso il nord, fin dentro
il mondo slavo, e si è creato un proprio mondo, greco-romano, che si differenzia
rispetto all'Europa latina dell'occidente in virtù di una diversa liturgia,
una diversa costituzione ecclesiastica, una diversa scrittura, e in virtù
della rinuncia al latino come comune lingua insegnata.
Certamente ci sono anche
sufficienti elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico, comune
continente: in primo luogo la comune eredità della Bibbia e della Chiesa
antica, la quale del resto in entrambi i mondi rinvia aldilà di se stessa
verso un'origine che ora giace al di fuori dell'Europa, e cioè in Palestina;
inoltre la stessa comune idea di Impero, la comune comprensione di fondo della
Chiesa e quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del diritto e degli
strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il monachesimo, che nei grandi
sommovimenti della storia è rimasto l'essenziale portatore non solamente
della continuità culturale, bensì soprattutto dei fondamentali valori
religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell'uomo, e in quanto forza pre-politica
e sovra-politica divenne portatore delle sempre nuovamente necessarie rinascite.
Tra
le due Europe, pur in mezzo alla comunanza dell'essenziale eredità ecclesiale,
c'è tuttavia ancora una profonda differenza, alla cui importanza ha accennato
specialmente Endre von Ivanka: a Bisanzio Impero e Chiesa appaiono quasi identificati
l'uno con l'altro; l'imperatore è capo anche della Chiesa. Egli intende
se stesso come rappresentante di Cristo, e in collegamento con la figura di Melchisedek,
che era al tempo stesso re e sacerdote (Gen 14,18), porta dal VI secolo il titolo
ufficiale di "re e sacerdote". Per il fatto che a partire da Costantino
l'imperatore se ne era andato via da Roma, nell'antica capitale dell'Impero poté
svilupparsi la posizione autonoma del vescovo di Roma come successore di Pietro
e pastore supremo della Chiesa; qui già dall'inizio dell'era costantiniana
viene insegnata una dualità di potestà: imperatore e papa hanno
in effetti potestà separate, nessuno dispone della totalità. Il
papa Gelasio I (492-496) ha formulato la visione dell'Occidente nella sua famosa
lettera all'imperatore Anastasio e ancor più chiaramente nel suo quarto
trattato, dove egli di fronte alla tipologia bizantina di Melchisedek sottolinea
che l'unità delle potestà sta esclusivamente in Cristo: "questi
infatti, a causa della debolezza umana (superbia!), ha separato per i tempi successivi
i due ministeri, affinché nessuno si insuperbisca" (c. 11). Per le
cose della vita eterna gli imperatori cristiani hanno bisogno dei sacerdoti (pontifices),
e questi a loro volta si attengono, per il corso temporale delle cose, alle disposizioni
imperiali. I sacerdoti devono seguire nelle cose mondane le leggi dell'imperatore
insediato per ordine divino, mentre questi deve sottomettersi nelle cose divine
al sacerdote. Con ciò è introdotta una separazione e distinzione
delle potestà, la quale divenne di massima importanza per il successivo
sviluppo dell'Europa, e che per così dire ha posto i fondamenti di ciò
che è propriamente tipico dell'Occidente.
Poiché da ambo le parti
di contro a tali delimitazioni rimase vivo sempre l'impulso alla totalità,
la brama di porre il proprio potere al di sopra dell'altro, questo principio di
separazione è divenuto anche la sorgente di infinite sofferenze. Come esso
debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente
rimane un problema fondamentale anche per l'Europa di oggi e di domani.
2. La svolta verso l'epoca moderna
Se in base a quanto sin qui detto possiamo
considerare il sorgere dell'impero carolingio da una parte, e la continuazione
dell'impero romano a Bisanzio e la sua missione verso i popoli slavi dall'altra
parte come la vera e propria nascita del continente Europa, l'inizio dell'epoca
moderna significa per ambedue le Europe una svolta, un cambiamento radicale, che
concerne sia l'essenza di questo continente, sia i suoi contorni geografici.
Nel
1453 Costantinopoli venne conquistata dai Turchi. O.Hiltbrunner commenta questo
evento in maniera laconica: "gli ultimi ... dotti emigrarono... verso l'Italia
e trasmisero agli umanisti del Rinascimento la conoscenza dei testi originali
greci; ma l'Oriente sprofondò nell'assenza di cultura". Questa affermazione
può essere formulata in maniera un po' troppo rozza, poiché in effetti
anche il regno della dinastia degli Osman aveva la sua cultura; ma è vero
che la cultura greco-cristiana, europea, di Bisanzio trovò con ciò
la sua fine. Così una delle due ali dell'Europa rischiò in tal modo
di scomparire, ma l'eredità bizantina non era morta: Mosca dichiara se
stessa come la terza Roma, fonda ora un proprio patriarcato sulla base dell'idea
di una seconda translatio imperii e si presenta dunque come una nuova metamorfosi
del Sacrum Imperium - come una propria forma di Europa, che tuttavia rimase unita
con l'Occidente e si orientò sempre più verso di esso, fino a che
Pietro il Grande tentò di farla diventare un paese occidentale. Questo
spostamento verso nord dell'Europa bizantina portò con sé il fatto
che ora anche i confini del continente si misero in movimento ampiamente verso
oriente. La fissazione degli Urali come frontiera è oltremodo arbitraria,
in ogni caso il mondo a oriente di essi diventò sempre più una specie
di sottostruttura dell'Europa, né Asia né Europa, essenzialmente
forgiato dal soggetto Europa, senza partecipare però esso stesso del suo
carattere di soggetto: oggetto, e non portatore esso stesso della sua storia.
Forse con ciò è definita, tutto sommato, l'essenza di uno stato
coloniale.
Possiamo dunque, a riguardo dell'Europa bizantina, non occidentale,
all'inizio dell'epoca moderna, parlare di un duplice evento: da una parte vi è
il dissolvimento dell'antica Bisanzio con la sua continuità storica nei
confronti dell'Impero Romano; dall'altra parte questa seconda Europa ottiene con
Mosca un nuovo centro e amplia i suoi confini verso oriente, per erigere infine
in Siberia una specie di pre-struttura coloniale.
Contemporaneamente possiamo
constatare anche in occidente un duplice processo con notevole significato storico.
Una grande parte del mondo germanico si distacca da Roma; sorge una nuova, illuminata
forma di cristianesimo, cosicché attraverso l'occidente scorre d'ora in
poi una linea di separazione, la quale forma chiaramente anche un limes culturale,
un confine tra due diverse modalità di pensare e di rapportarsi. Certo
c'è anche all'interno del mondo protestante una frattura, in primo luogo
tra luterani e riformati, ai quali si associano metodisti e presbiteriani, mentre
la chiesa anglicana tenta di formare una via di mezzo tra cattolici ed evangelici;
a ciò si aggiunge poi anche la differenza tra cristianesimo sotto la forma
di una chiesa di stato, che diventa contrassegno dell'Europa, e chiese libere,
che trovano il loro spazio di rifugio nel Nordamerica, sulla qual cosa dovremo
tornare a parlare.
Facciamo attenzione in primo luogo al secondo evento, che
caratterizza essenzialmente la situazione dell'epoca moderna di quella che un
tempo era l'Europa latina: la scoperta dell'America. All'allargamento verso est
dell'Europa in virtù della progressiva estensione della Russia verso l'Asia
corrisponde la radicale uscita dell'Europa fuori dai suoi confini geografici,
verso il mondo che sta aldilà dell'Oceano, che ora riceve il nome di America;
la suddivisione dell'Europa in una metà latino-cattolica e una metà
germanico-protestante si trasferisce e si ripercuote su questa parte della terra
occupata dall'Europa. Anche l'America diventa in un primo tempo una Europa allargata,
una colonia, ma essa si crea contemporaneamente con il sommovimento dell'Europa
ad opera della Rivoluzione Francese il suo proprio carattere di soggetto: dal
XIX secolo in poi essa, sebbene forgiata nel profondo dalla sua nascita europea,
sta tuttavia di fronte all'Europa come un soggetto proprio.
Nel tentativo di
conoscere la più profonda, interiore identità dell'Europa attraverso
lo sguardo sulla storia abbiamo adesso preso in osservazione due fondamentali
svolte storiche: come prima la dissoluzione del vecchio continente mediterraneo
ad opera del continente del Sacrum Imperium, collocato più verso nord,
in cui si forma a partire dall'epoca carolingia la Europa come mondo occidentale-latino;
accanto a questo la continuazione della vecchia Roma a Bisanzio, con il suo protendersi
verso il mondo slavo. Come secondo passo avevamo osservato la caduta di Bisanzio
e il conseguente spostamento da una parte dell'Europa verso nord e verso est dell'idea
cristiana di impero, e dall'altra parte l'interna divisione dell'Europa in un
mondo germanico-protestante e un mondo latino-cattolico, e oltre a ciò
la fuoriuscita verso l'America, a cui si trasferisce questa divisione e che alla
fine si costituisce come un soggetto storico proprio, che sta di fronte all'Europa.
Ora noi dobbiamo porci davanti agli occhi una terza svolta, il cui fanale ben
visibile fu formato dalla Rivoluzione Francese. È vero che il Sacrum Imperium
come realtà politica già a partire dal tardo Medioevo era concepito
in dissolvimento ed era divenuto sempre più fragile anche come valida e
indiscussa interpretazione della storia, ma soltanto adesso questa cornice spirituale
va in frantumi anche formalmente, questa cornice spirituale senza cui l'Europa
non avrebbe potuto formarsi. Questo è un processo di portata considerevole,
sia dal punto di vista politico, sia da quello ideale. Dal punto di vista ideale
questo significa che la fondazione sacrale della storia e dell'esistenza statuale
viene rigettata : la storia non si misura più in base ad un'idea di Dio
ad essa precedente e che le dà forma; lo Stato viene oramai considerato
in termini puramente secolari, fondato sulla razionalità e sul volere dei
cittadini.
Per la prima volta in assoluto nella storia sorge lo Stato puramente
secolare, che abbandona e mette da parte la garanzia divina e la normazione divina
dell'elemento politico , considerandole come una visione mitologica del mondo
e dichiara Dio stesso come affare privato, che non fa parte della vita pubblica
e della comune formazione del volere. Questa viene ora vista solamente come un
affare della ragione, per la quale Dio non appare chiaramente conoscibile: religione
e fede in Dio appartengono all'ambito del sentimento, non a quello della ragione.
Dio e la sua volontà cessano di essere rilevanti nella vita pubblica.
In
questa maniera sorge, con la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, un nuovo
tipo di scisma, la cui gravità noi percepiamo ora sempre più nettamente.
Esso non ha in tedesco alcun nome, poiché qui si è ripercosso più
lentamente. Nelle lingue latine viene delineato come divisione tra cristiani e
laici. Questa lacerazione negli ultimi due secoli è penetrata nelle nazioni
latine come una frattura profonda, mentre il cristianesimo protestante in un primo
tempo ebbe vita facile nel concedere spazio alle idee liberali e illuministe all'interno
di sé, senza che la cornice di un ampio consenso cristiano di fondo dovesse
in tal modo venir distrutta. L'aspetto di politica realistica della dissoluzione
dell'antica idea di impero consiste in questo, che ora definitivamente le nazioni,
gli stati che sono divenute identificabili come tali in virtù della formazione
di ambiti linguistici unitari, appaiono come i veri e unici portatori della storia,
e dunque ottengono un rango che ad essi in precedenza non spettava così
tanto. La drammaticità esplosiva di questo soggetto storico ora plurale
si mostra nel fatto che le grandi nazioni europee si sapevano depositarie di una
missione universale, che necessariamente doveva portare a conflitti fra di loro,
il cui impatto mortale noi abbiamo dolorosamente sperimentato nel secolo ora trascorso.
3. L'universalizzazione della cultura europea e la sua crisi
Infine dobbiamo
qui considerare ancora un ulteriore processo, con cui la storia degli ultimi secoli
trapassa chiaramente in un mondo nuovo. Se la vecchia Europa precedente all'epoca
moderna nelle sue due metà aveva conosciuto essenzialmente solo un dirimpettaio,
con il quale doveva confrontarsi per la vita e per la morte, ossia il mondo islamico;
se la svolta dell'epoca moderna aveva portato l'allargamento verso l'America e
in parti dell'Asia senza propri grandi soggetti culturali, così ora ha
luogo la fuoriuscita verso i due continenti sinora toccati solo marginalmente
: l'Africa e l'Asia, che adesso parimenti si tentò di trasformare in succursali
dell'Europa, in colonie. Fino ad un certo punto questo è anche riuscito,
in quanto adesso anche Asia e Africa inseguono l'ideale del mondo forgiato dalla
tecnica e del suo benessere, cosicché anche là le antiche tradizioni
religiose entrano in una situazione di crisi e strati di pensiero puramente secolare
dominano sempre più la vita pubblica.
Ma c'è anche un effetto
contrario: la rinascita dell'Islam non è solo collegata con la nuova ricchezza
materiale dei paesi islamici, bensì è anche alimentata dalla consapevolezza
che l'Islam è in grado di offrire una base spirituale valida per la vita
dei popoli, una base che sembra essere sfuggita di mano alla vecchia Europa, la
quale così, nonostante la sua perdurante potenza politica ed economica,
viene vista sempre più come condannata al declino e al tramonto.
Anche
le grandi tradizioni religiose dell'Asia, soprattutto la sua componente mistica
che trova espressione nel buddismo, si elevano come potenze spirituali di contro
ad un'Europa che rinnega le sue fondamenta religiose e morali. L'ottimismo circa
la vittoria dell'elemento europeo, che Arnold Toynbee poteva sostenere ancora
all'inizio degli anni sessanta, appare oggi stranamente superato: "di 28
culture che noi abbiamo identificato ... 18 sono morte e nove delle dieci rimaste
- di fatto tutte tranne la nostra - mostrano che esse sono già colpite
a morte". Chi ripeterebbe oggi ancora le stesse parole? E in generale - cos'è
la nostra cultura, che è ancora rimasta? La cultura europea è forse
la civiltà della tecnica e del commercio diffusa vittoriosamente per il
mondo intero? O non è questa forse piuttosto nata in maniera post-europea
dalla fine delle antiche culture europee? Io vedo qui una sincronia paradossale:
con la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l'universalizzazione
del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si collega in tutto il
mondo, ma specialmente nei mondi strettamente non- europei dell'Asia e dell'Africa,
l'impressione che il mondo di valori dell'Europa, la sua cultura e la sua fede,
ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia propriamente
già uscito di scena; che adesso sia giunta l'ora dei sistemi di valori
di altri mondi, dell'America pre-colombiana, dell'Islam, della mistica asiatica.
L'Europa,
proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra diventata vuota dall'interno,
paralizzata in un certo qual senso da una crisi del suo sistema circolatorio,
una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata per così dire a trapianti,
che poi però non possono che eliminare la sua identità. A questo
interiore venir meno delle forze spirituali portanti corrisponde il fatto che
anche etnicamente l'Europa appare sulla via del congedo.
C'è una strana
mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come
una minaccia per il presente; essi ci portano via qualcosa della nostra vita,
così si pensa. Essi non vengono sentiti come una speranza, bensì
come un limite del presente. Il confronto con l'Impero Romano al tramonto si impone:
esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già
di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più
alcuna energia vitale.
Con questo siamo giunti ai problemi del presente. Circa
il possibile futuro dell'Europa ci sono due diagnosi contrapposte. C'è
da una parte la tesi di Oswald Spengler, il quale credeva di poter fissare per
le grandi espressioni culturali una specie di legge naturale: c'è il momento
della nascita, la crescita graduale, la fioritura di una cultura, il suo lento
appesantirsi, l'invecchiamento e la morte. Spengler arricchisce la sua tesi in
modo impressionante, con documentazioni tratte dalla storia delle culture, in
cui si può intravedere questa legge del decorso naturale. La sua tesi era
che l'Occidente sarebbe giunto alla sua epoca finale, che corre inesorabilmente
incontro alla morte di questo continente culturale, nonostante tutti i tentativi
di scongiurarla. Naturalmente l'Europa può trasmettere i suoi doni ad una
cultura nuova emergente, come è già accaduto nei precedenti declini
di una cultura, ma in quanto soggetto essa ha ormai il suo tempo di vita alle
sue spalle.
Questa tesi bollata come biologistica ha trovato appassionati oppositori
nel tempo tra le due guerre mondiali specialmente in ambito cattolico; in maniera
impressionante le si è mosso contro anche Arnold Toynbee, certo con postulati
che oggi trovano poco ascolto. Toynbee mette in luce la differenza tra progresso
materiale-tecnico da una parte, e dall'altra progresso reale, che egli definisce
come spiritualizzazione. Egli ammette che l'Occidente - il mondo occidentale -
si trova in una crisi, la cui causa egli la vede nel fatto che dalla religione
si è decaduti al culto della tecnica, della nazione, del militarismo. La
crisi significa per lui, ultimamente: secolarismo.
Se si conosce la causa della
crisi, si può indicare anche la via della guarigione: deve essere nuovamente
introdotto il fattore religioso, di cui fa parte secondo lui l'eredità
religiosa di tutte le culture, ma specialmente quello "che è rimasto
del cristianesimo occidentale". Alla visione biologistica si contrappone
qui una visione volontaristica, che punta sulla forza delle minoranze creative
e sulle personalità singole eccezionali.
La domanda che si pone è:
è giusta questa diagnosi? E se sì - è in nostro potere introdurre
nuovamente il momento religioso, in una sintesi di cristianesimo residuale ed
eredità religiosa dell'umanità? Ultimamente la questione tra Spengler
e Toynbee rimane aperta, perché noi non possiamo vedere nel futuro. Ma
indipendentemente da ciò si impone il compito di interrogarci su che cosa
può garantire il futuro, e su che cosa è in grado di continuare
a far vivere l'interiore identità dell'Europa attraverso tutte le metamorfosi
storiche. O ancora più semplicemente: che cosa anche oggi e domani promette
di donare la dignità umana e un'esistenza conforme ad essa.
Per trovare
una risposta a ciò dobbiamo gettare lo sguardo ancora una volta dentro
il nostro presente e al tempo stesso tener presenti le sue radici storiche. In
precedenza eravamo rimasti fermi, in effetti, alla Rivoluzione Francese e al XIX
secolo. In questo tempo si sono sviluppati soprattutto due nuovi modelli europei.
Ecco qui allora nelle nazioni latine il modello laicistico: lo Stato è
nettamente distinto dagli organismi religiosi, che sono attribuiti all'ambito
privato. Lo Stato stesso rifiuta un fondamento religioso e si sa fondato solamente
sulla ragione e sulle sue intuizioni. Di fronte alla fragilità della ragione
questi sistemi si sono rivelati fragili e facili a cadere vittima delle dittature;
essi sopravvivono, propriamente, solo perché parti della vecchia coscienza
morale continuano a sussistere anche senza i precedenti fondamenti e rendono possibile
un consenso morale di base. Dall'altra parte, nel mondo germanico, esistono in
maniera differenziata i modelli di Chiesa di Stato del protestantesimo liberale,
nei quali una religione cristiana illuminata, essenzialmente concepita come morale
- anche con forme di culto garantite dallo Stato - garantisce un consenso morale
e un fondamento religioso ampio, al quale le singole religioni non di Stato devono
adeguarsi. Questo modello in Gran Bretagna, negli stati scandinavi e in un primo
tempo anche nella Germania dominata dai prussiani ha garantito per lungo tempo
una coesione statuale e sociale. In Germania, tuttavia, il crollo del cristianesimo
di Stato prussiano ha creato un vuoto, che poi parimenti si offrì come
spazio vuoto per una dittatura. Oggi le chiese di Stato sono dappertutto cadute
vittima del logoramento: da corpi religiosi che sono derivazioni dello Stato non
proviene più alcuna forza morale, e lo Stato stesso non può creare
forza morale, ma la deve invece presupporre e costruire su di essa.
Tra i due
modelli si collocano gli Stati Uniti del Nord-America, che da una parte - formatisi
sulla base delle chiese libere - prendono le mosse da un rigido dogma di separazione,
dall'altra parte, aldilà delle singole denominazioni, vengono plasmati
tuttavia da un consenso di fondo cristiano-protestante non forgiato in termini
confessionali, il quale si collegava con una particolare coscienza della missione,
nei confronti del resto del mondo, di tipo religioso e così dava al fattore
religioso un significativo peso pubblico, che in quanto forza pre-politica e sovra-politica
poteva essere determinante per la vita politica. Certo non ci si può nascondere
che anche negli Stati Uniti il dissolvimento dell'eredità cristiana avanza
incessantemente, mentre al tempo stesso il rapido aumento dell'elemento ispanico
e la presenza di tradizioni religiose provenienti da tutto il mondo cambia il
quadro. Forse si deve qui osservare anche che gli Stati Uniti promuovono ampiamente
la protestantizzazione dell'America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa
cattolica ad opera di forme di chiese libere, per la convinzione che la Chiesa
cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, in
quanto dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che
il modello delle chiese libere renderà possibile un consenso morale e una
formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelli caratteristici
degli Stati Uniti. Per complicare ulteriormente il quadro si deve ammettere che
oggi la Chiesa cattolica forma la più grande comunità religiosa
negli Stati Uniti, che essa nella sua vita di fede sta decisamente dalla parte
dell'identità cattolica, che però i cattolici a riguardo del rapporto
tra Chiesa e politica hanno recepito le tradizioni delle chiese libere, nel senso
che proprio una Chiesa non confusa con lo Stato garantisce meglio le fondamenta
morali del tutto, cosicché la promozione dell'ideale democratico appare
come un dovere morale profondamente conforme alla fede. In una posizione simile
si può vedere a buon diritto una prosecuzione, adeguata ai tempi, del modello
di papa Gelasio, di cui ho parlato sopra.
Torniamo all'Europa. Ai due modelli
di cui parlavo prima se ne è aggiunto ancora nel XIX secolo un terzo, ossia
il socialismo, che si suddivise presto in due diverse vie, quella totalitaria
e quella democratica. Il socialismo democratico è stato in grado, a partire
dal suo punto di partenza, di inserirsi all'interno dei due modelli esistenti,
come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali,
le ha arricchite e corrette. Esso si rivelò qui anche come qualcosa che
andava al di là delle confessioni: in Inghilterra esso era il partito dei
cattolici, che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore,
né in quello liberale. Anche nella Germania guglielmina il centro cattolico
poteva sentirsi più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici
rigidamente prussiane e protestanti. In molte cose il socialismo democratico era
ed è vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmente
contribuito alla formazione di una coscienza sociale.
Il modello totalitario,
invece, si collegava con una filosofia della storia rigidamente materialistica
e ateistica: la storia viene compresa deterministicamente come un processo di
progresso che passa attraverso la fase religiosa e quella liberale per giungere
alla società assoluta e definitiva, in cui la religione come relitto del
passato viene superata e il funzionamento delle condizioni materiali può
garantire la felicità di tutti. L'apparente scientificità nasconde
un dogmatismo intollerante: lo spirito è prodotto della materia; la morale
è prodotto delle circostanze e deve venir definita e praticata a seconda
degli scopi della società; tutto ciò che serve a favorire l'avvento
dello stato finale felice è morale. Qui il capovolgimento dei valori che
avevano costruito l'Europa è completo. Ancor più, qui si realizza
una frattura nei confronti della complessiva tradizione morale dell'umanità:
non ci sono più valori indipendenti dagli scopi del progresso, tutto può,
in un dato momento, essere permesso e persino necessario, può essere morale
nel senso nuovo del termine. Anche l'uomo può diventare uno strumento;
non conta il singolo, ma unicamente il futuro diventa la terribile divinità
che dispone sopra tutti e sopra tutto.
I sistemi comunisti frattanto sono naufragati
innanzitutto per il loro falso dogmatismo economico. Ma si trascura troppo volentieri
il fatto che essi sono naufragati , più a fondo ancora, per il loro disprezzo
dei diritti umani, per la loro subordinazione della morale alle esigenze del sistema
e alle sue promesse di futuro. La vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato
alle loro spalle non è di natura economica; essa consiste nell'inaridimento
delle anime, nella distruzione della coscienza morale. Io vedo come un problema
essenziale della nostra ora per l'Europa e per il mondo questo, che non viene
mai contestato il naufragio economico, e perciò i vetero-comunisti sono
diventati senza esitazione liberali in economia; invece la problematica morale
e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa.
Pertanto la problematica lasciata dietro di sé dal marxismo continua a
esistere anche oggi: il dissolversi delle certezze primordiali dell'uomo su Dio,
su se stessi e sull'universo - la dissoluzione della coscienza dei valori morali
intangibili, è ancora e proprio adesso nuovamente il nostro problema e
può condurre all'autodistruzione della coscienza europea, che dobbiamo
cominciare a considerare - indipendentemente dalla visione del tramonto di Spengler
- come un reale pericolo.
4. A che punto siamo oggi?
Così ci troviamo davanti alla questione: come devono andare avanti le cose? Nei violenti sconvolgimenti del nostro tempo c'è un'identità dell'Europa, che abbia un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutto noi stessi? Non sono preparato per entrare in una discussione dettagliata sulla futura Costituzione europea. Vorrei soltanto brevemente indicare gli elementi morali fondanti, che a mio avviso non dovrebbero mancare.
1. Un primo elemento è l' "incondizionatezza"
con cui la dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come
valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali
non vengono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini, "ma
piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte
del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore"
Questa validità della dignità umana previa ad ogni agire politico
e ad ogni decisione politica rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può
stabilire valori che si fondano sull'essenza dell'uomo e che sono intangibili.
Che ci siano valori che non sono manipolabili per nessuno è la vera e propria
garanzia della nostra libertà e della grandezza umana; la fede cristiana
vede in ciò il mistero del Creatore e della condizione di immagine di Dio
che egli ha conferito all'uomo.
Ora oggi quasi nessuno negherà direttamente
la precedenza della dignità umana e dei diritti umani fondamentali rispetto
ad ogni decisione politica; sono ancora troppo recenti gli orrori del nazismo
e della sua teoria razzista. Ma nell'ambito concreto del cosiddetto progresso
della medicina ci sono minacce molto reali per questi valori: sia che noi pensiamo
alla clonazione, sia che pensiamo alla conservazione dei feti umani a scopo di
ricerca e di donazione degli organi, sia che pensiamo a tutto quanto l'ambito
della manipolazione genetica - la lenta consunzione della dignità umana
che qui ci minaccia non può venir misconosciuta da nessuno. A ciò
si aggiungono in maniera crescente i traffici di persone umane, le nuove forme
di schiavitù, l'affare dei traffici di organi umani a scopo di trapianti.
Sempre vengono addotte finalità buone, per giustificare quello che non
è giustificabile. In questi settori ci sono nella Carta dei diritti fondamentali
alcuni punti fermi di cui rallegrarsi, ma in importanti punti essa rimane troppo
vaga, mentre invece proprio qui ne va della serietà del principio che è
in gioco.
Riassumiamo: la fissazione per iscritto del valore e della dignità
dell'uomo, di libertà, eguaglianza e solidarietà con le affermazioni
di fondo della democrazia e dello stato di diritto, implica un'immagine dell'uomo,
un'opzione morale e un'idea di diritto niente affatto ovvie, ma che sono di fatto
fondamentali fattori di identità dell'Europa, che dovrebbero venir garantiti
anche nelle loro conseguenze concrete e che certamente possono venir difesi solamente
se si forma sempre nuovamente una corrispondente coscienza morale.
2. Un secondo punto in cui appare l'identità europea è il matrimonio e la famiglia. Il matrimonio monogamico, come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a partire dalla fede biblica. Esso ha dato all'Europa, a quella occidentale come a quella orientale, il suo volto particolare e la sua particolare umanità, anche e proprio perché la forma di fedeltà e di rinuncia qui delineata dovette sempre nuovamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze. L'Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse essenzialmente cambiata. La Carta dei diritti fondamentali parla di diritto al matrimonio, ma non esprime nessuna specifica protezione giuridica e morale per esso e nemmeno lo definisce più precisamente. E tutti sappiamo quanto il matrimonio e la famiglia siano minacciati - da una parte mediante lo svuotamento della loro indissolubilità ad opera di forme sempre più facili di divorzio, dall'altra attraverso un nuovo comportamento che si va diffondendo sempre di più, la convivenza di uomo e donna senza la forma giuridica del matrimonio. In vistoso contrasto con tutto ciò vi è la richiesta di comunione di vita di omosessuali, che ora paradossalmente richiedono una forma giuridica, la quale più o meno deve venir equiparata al matrimonio. Con questa tendenza si esce fuori dal complesso della storia morale dell'umanità, che nonostante ogni diversità di forme giuridiche del matrimonio sapeva tuttavia sempre che questo, secondo la sua essenza, è la particolare comunione di uomo e donna, che si apre ai figli e così alla famiglia. Qui non si tratta di discriminazione, bensì della questione di cos'è la persona umana in quanto uomo e donna e di come l'essere assieme di uomo e donna può ricevere una forma giuridica. Se da una parte il loro stare assieme si distacca sempre più da forme giuridiche, se dall'altra l'unione omosessuale viene vista sempre più come dello stesso rango del matrimonio, siamo allora davanti ad una dissoluzione dell'immagine dell'uomo, le cui conseguenze possono solo essere estremamente gravi.
3. Il mio ultimo
punto è la questione religiosa. Non vorrei entrare qui nelle discussioni
complesse degli ultimi anni, ma mettere in rilievo solo un aspetto fondamentale
per tutte le culture: il rispetto nei confronti di ciò che per l'altro
è sacro, e particolarmente il rispetto per il sacro nel senso più
alto, per Dio, cosa che è lecito supporre di trovare anche in colui che
non è disposto a credere in Dio. Laddove questo rispetto viene infranto,
in una società qualcosa di essenziale va perduto. Nella nostra società
attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine
di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano
e le convinzioni di fondo dell'Islam. Laddove invece si tratta di Cristo e di
ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà
di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare
o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale. La libertà
di opinione trova però il suo limite in questo, che essa non può
distruggere l'onore e la dignità dell'altro; essa non è libertà
di mentire o di distruggere i diritti umani.
C'è qui un odio di sé
dell'Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa
di patologico; l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno
di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria
storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo,
mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande
e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova - certamente critica
e umile - accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità,
che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta
soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga
dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza
costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa
sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è
sacro. Di essa fa parte l'andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell'altro,
ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a
noi stessi. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è
sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro
dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro
e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che ha compassione
dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio
che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo
sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza.
Se
non facciamo questo, non solo rinneghiamo l'identità dell'Europa, bensì
veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere.
Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando
in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che
un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità
ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi.
Come andranno le cose in Europa
in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere
un primo passo, un segno che l'Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la
sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società
dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire
se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l'Europa riacquisti
nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell'intera
umanità.
- Fine.