EDUCAR OGGI
Sfide e compiti
della Chiesa italiana alla luce dell'antropologia cristiana
EDUCAR OGGI
Sfide e compiti
della Chiesa italiana alla luce dell'antropologia cristiana
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
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Si è tenuto a Roma, nei giorni 12-14 febbraio 2004 presso la Domus Mariae,
un Convegno Nazionale - promosso dalla Commissione episcopale per l'educazione
e l'università e del Servizio nazionale per il progetto culturale - per
riflettere a tutto campo sulle sfide dell'educare. Oltre duecento le persone
presenti, che rappresentavano il mondo della scuola (presidi, insegnanti, genitori,
responsabili degli uffici diocesani) e il mondo degli educatori di oratori e
di parrocchie.
In questo Fascicolo pubblichiamo la relazione tenuta dal card. Camillo Ruini,
Vicario del Papa per la Città di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana, all'apertura del Convegno.
La relazione mette l'accento sulla questione educativa, da ritenere centrale
e quindi ineludibile nel processo odierno di trasmissione non solo del vangelo
e della fede, ma della stessa trasmissione culturale, chiamando in causa - a
fronte della frammentazione odierna - la necessità di un'azione educativa
unitaria tra famiglia, scuola, territorio e comunità cristiana.
Di fronte alle tante sfide dell'ora attuale, soprattutto di fronte alle derive
funzionalistiche e alle riduzioni tecnicistiche e addestrative della cultura
contemporanea - dalle quali non è esente la trasmissione dei saperi all'interno
della scuola - l'impegno educativo è chiamato più che mai a riprendere
in mano "le grandi domande di senso e l'apertura alla trascendenza".
In questo quadro i cristiani sono chiamati a portare una dote preziosa, che
è appunto la visione profondamente unitaria dell'uomo forgiata da venti
secoli di storia. "Si tratta di un contributo culturale insostituibile
- precisa il presidente della CEI - che ha lo scopo di contribuire a fondare,
ad aggiornare e a rimotivare l'impegno educativo, per sconfiggere la cultura
della banalità, purtroppo diffusa anche nel mondo della scuola".
Al centro della questione antropologica - basilare in ogni processo educativo
- sta la questione della verità, che non può essere affidata,
per la sua risoluzione, al sapere scientifico e tecnologico, necessariamente
riduttivo perché settoriale, ma va riconsegnata ad una visione globale
dell'esistenza umana quale può essere garantita soltanto dalla filosofia
e dalla teologia. Da qui l'impegno culturale e politico dei cattolici italiani:
"Non si serve il Paese vivendo la cittadinanza a prescindere dalla fede,
ma offrendo il proprio patrimonio di valori per la costruzione del bene comune".
E' una prospettiva, questa, che non contraddice il pluralismo sociale e culturale
dell'Italia di oggi, ma lo rende autentico: perché eludere la domanda
di senso ed occultare la propria identità culturale e religiosa alla
fine non è altro che cedere all'omologazione oggi assai diffusa, frutto
di un relativismo e di uno scetticismo che vedono nella rivendicazione della
verità, testimoniata dalla rivelazione cristiana, un ostacolo al retto
pluralismo e perfino ad una corretta democrazia. Come se la democrazia dovesse,
per principio, prescindere dalla questione della verità e dal riconoscimento
dei fondamentali valori del vivere.
C'è un passaggio, nella relazione di Ruini, che riguarda anche la vita
delle nostre parrocchie: è in grado oggi la parrocchia - è la
domanda del cardinale - di ricuperare la dimensione educativa e culturale nell'annuncio
del Vangelo? Sì, risponde Ruini, a patto che non rimanga prigioniera
di due tendenze in parziale contrasto tra loro: quella di concepirsi come comunità
autoreferenziale e quella di ridursi ad una "stazione di servizio"
per l'amministrazione dei sacramenti. La prima tendenza collocherebbe infatti
la comunità cristiana fuori dal mondo e dalla testimonianza storica;
la seconda la consegnerebbe alla logica della mondanità, rendendola alla
fin fine irrilevante, perché privata di quella "differenza"
che le proviene dalla chiamata di Dio e che ne costituisce il senso, orientandone
anche le stesse modalità di presenza nella società. Insomma: la
parrocchia non può essere solo lievito senza pasta, ma neppure pasta
senza lievito.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 25 febbraio 2004
Mercoledì delle Ceneri, Inizio della Quaresima
La persona al centro dell'azione educativa
1. L'importanza del tema dell'educazione, in riferimento alle sfide e alle
prospettive poste dalla modernità e dal trapasso culturale in atto, è
crescente. Nel corso degli ultimi anni la Chiesa italiana ha seguito con particolare
attenzione la complessa vicenda della riforma scolastica, con l'intento di cogliere
gli orientamenti e le coordinate culturali ad essa sottese.
Il denominatore comune delle problematiche sottostanti alle riforme prospettate
è sicuramente l'esigenza di ripensare e rimettere l'uomo al centro della
politica, dell'economia, della cultura e, perciò, anche dell'azione educativa.
Per questo è indispensabile, oggi, investire in educazione, anche sotto
il profilo pastorale, secondo linee progettuali chiare in ordine ai fini da
perseguire, ai valori da promuovere e ai protagonisti da sostenere.
2. Nel percorso del progetto culturale si è parlato delle possibilità,
da parte della fede cristiana, non già di arrestare i cambiamenti in
atto, ma di orientarli e indirizzarli. Si è cominciato ad affrontare,
in questa ottica, il problema del nostro futuro, in ordine alla costruzione
di un "progetto di vita buona", il problema della trasmissione di
generazione in generazione della cultura e della fede, dimensioni non riducibili
l'una all'altra e tuttavia profondamente interconnesse.
Il problema della trasmissione della fede non è risolvibile soltanto
all'interno della comunità cristiana, senza porsi il problema del divenire
della società e della sua cultura e delle nostre capacità di orientare
questo divenire, nelle sue manifestazioni ma anzitutto nei suoi presupposti
e fattori dinamici. Su questo versante la consapevolezza delle trasformazioni
culturali e del loro impatto sulla vita e sui processi di costruzione dell'identità
personale e sociale sta portando la comunità ecclesiale nel nostro paese
a interrogarsi sulla necessità di dare il primato all'evangelizzazione
anche e soprattutto nei percorsi di iniziazione alla fede, coinvolgendo in questo
radicale ripensamento anche la parrocchia.
Ma il Vangelo di Gesù altro non è che il Vangelo che è
Gesù. In lui appare a noi il volto di Dio e nel contempo l'uomo è
rivelato a se stesso. In lui si rivela e si compie l'umanità nuova, l'uomo
nuovo. Non basta quindi ripetere verbalmente la formula del kerygma ("Cristo
è morto ed è risorto") senza un adeguato sforzo di ritraduzione
del messaggio e di una sua intelligente e creativa inculturazione. L'irrinunciabile
dovere della proposta della Chiesa di dire in Cristo la verità sull'uomo
chiede oggi di essere adempiuto mediante un rinnovato e convinto annuncio accompagnato
dal dialogo con la cultura odierna (spesso pesantemente condizionata da visioni
unilaterali) allo scopo di superare la separazione tra Vangelo e cultura.
Studiare le condizioni dell'essere e del diventare cristiani oggi è pertanto
compito intrinseco della nuova evangelizzazione, proprio perché la persona
e la comunità cristiana in Italia si trovano al centro di un complesso
di trasformazioni che "si risolvono tutte in trasformazioni dell'ethos
civile". Occorre rendere il percorso formativo ecclesiale centrato sull'annuncio,
prestando attenzione alle sue condizioni di possibilità e di esercizio,
per metterci in grado di proporre stili di vita cristiani praticabili e plausibili.
3. D'altra parte, quello di imprimere un diverso orientamento al divenire della
società e della cultura non è un problema soltanto della Chiesa:
sembra essere infatti una necessità per la società stessa, se
intende assicurare le condizioni per un proprio futuro che sia umanamente migliore
del passato e del presente. Tale è anche la questione educativa che questo
Convegno intende approfondire nei termini di una sfida riguardante la stessa
possibilità di trasmissione culturale tra generazioni, che chiama in
causa la famiglia, la scuola, le associazioni operanti nella società
civile, i media e le stesse comunità ecclesiali ai vari livelli. In effetti
l'educazione, in quanto trasmissione della cultura di un popolo da una generazione
all'altra, consiste nel rendere partecipi le nuove generazioni di ciò
che sta alla radice della vita comune, vale a dire del senso profondo e ultimo
del vivere, così come si trova inscritto nelle forme di vita personali
e sociali della generazione adulta.
Questo Convegno rappresenta dunque una tappa nel comune cammino di riflessione
civile ed ecclesiale circa i modi con cui l'uomo vive e trasmette la sua cultura,
con cui concretamente costruisce il suo futuro.
L'educazione come trasmissione di un "senso"
4. La possibilità stessa dell'educare, nel suo significato di "generare",
implica il ricupero di una prospettiva realistica, attraverso cui far rivivere
una cultura delle istituzioni (in specie di quelle educative) come luoghi di
mediazione degli interessi e di trasmissione di un "senso", in alternativa
a una vita pubblica che sembra ormai irrimediabilmente scissa tra le progettualità
di vertice e la quotidianità feriale delle relazioni personali. Proprio
per questo il Convegno odierno vede convocati, ad un livello articolato per
Regione, non solo il mondo della scuola (direttori generali degli uffici scolastici
regionali - dirigenti, docenti, genitori), ma anche quello della famiglia (dove
l'atto del generare educativo trova il suo punto più radicale e in un
certo senso decisivo), quelli delle associazioni (professionali e non) di ispirazione
cristiana, dei media e anche delle parrocchie (itinerari formativi dell'educazione
cristiana, oratori, sale della comunità
). E' possibile ricomporre
la frammentazione individualistica e la frattura tra pubblico e privato, evidenziare
possibili percorsi di continuità educativa tra famiglia, scuola, territorio
e comunità cristiane? Nel contesto culturale odierno è urgente
chiedersi come attivare le migliori condizioni per garantire l'unità
dell'atto educativo che, nella coscienza della persona e nelle istituzioni,
permetta di porre in rapporto di continuità dinamica e critica le dimensioni
della fede, quelle della cultura e quelle della vita.
I lavori del Convegno si soffermeranno su alcuni contenuti tematici o luoghi
dove la trasmissione culturale tra generazioni evidenzia un'accentuata divaricazione:
quelli della bioetica, della rivoluzione digitale nel campo delle tecnologie
informatiche, della costruzione dell'identità, della formazione alla
professionalità in relazione alle trasformazioni dell'economia e dei
processi lavorativi, dell'educazione interculturale e interreligiosa. Il Convegno
potrà offrire pertanto un contributo prezioso anche per concrete iniziative
culturali, nel contesto dei rapporti tra scuola, formazione professionale, famiglia
e associazioni, oltre che per quel "discernimento comunitario" che
coinvolge la comunità ecclesiale in tutte le sue componenti.
Mi soffermerò dunque su alcune prospettive particolarmente significative,
che riguardano le relazioni, basilari per l'educazione, tra i soggetti operanti
nel territorio: la famiglia, il sistema di istruzione e di formazione, la comunità
cristiana.
5. Nelle società di massa l'appropriazione del patrimonio culturale
non avviene spontaneamente, ma è affidata alle istituzioni appositamente
deputate (il sistema scolastico e formativo in particolare), come è ben
comprensibile data la complessità delle dinamiche socio-culturali in
atto. L'appropriazione non può dar luogo però ad una più
profonda assimilazione se non coinvolge l'identità personale e quelle
questioni, collegate al senso ultimo della vita, che rimandano al vissuto e
alle realtà di riferimento della generazione giovanile. Un sapere educativo
che concorra alla crescita personale non può prescindere da essa senza
rimanere inefficace per la stessa crescita culturale.
La famiglia è attualmente oggetto di un processo di marginalizzazione
nel privato e in un certo senso lo sono anche le comunità cristiane.
La famiglia infatti appare tendenzialmente espropriata delle sue fondamentali
competenze in ordine alla trasmissione della cultura. Allo stesso modo anche
l'esperienza della comunicazione e della crescita nella fede tende a non essere
riconosciuta nella sua valenza sociale e culturale. Se non appare chiara alla
coscienza dei giovani questa ragione di coerenza tra i modelli proposti dalle
istituzioni (in primis la scuola) e la "verità" annunciata
dall'esperienza relazionale primaria della famiglia, l'appropriazione di quei
modelli rimarrà solo un fatto esteriore e non darà luogo ad un
processo di identificazione. L'apporto della scuola e delle istituzioni deputate
all'educazione è d'altronde necessario perché si compia adeguatamente
il processo di trasmissione culturale.
Uno sguardo alla direzione in cui sembrano andare la cultura e i costumi rafforza
le motivazioni di una simile attenzione alla formazione della persona. "Sono
impressionato dal sentimento di paura che dimora sovente nel cuore dei nostri
contemporanei", ha detto il Papa nel discorso del 12 gennaio scorso al
Corpo Diplomatico, rinnovando e per così dire "aggiornando"
la diagnosi che aveva proposto 24 anni prima nell'enciclica Redemptor hominis
(nn. 15-16). Il Papa aggiunge giustamente che tutto questo può cambiare,
in quanto "ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale
di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli
altri". Proprio le capacità di sviluppare questo potenziale appaiono
tuttavia gravemente ostacolate, anzitutto a quel livello sorgivo che riguarda
le attitudini a riflettere e valutare. Così, in questi ultimi mesi, si
è scritto di un "anno zero" del pensiero, inutilmente occultato
dalla moltitudine degli annunci di novità, di proposte e di opinioni.
Questa situazione, che non facilita una responsabile presa di coscienza riguardo
a noi stessi e alla realtà che ci circonda, rende ancora più difficile
l'autentico processo di trasmissione culturale. Essa richiede pertanto un consapevole
impegno pastorale che abbini alla proposta di fede la cura per la maturazione
delle capacità critiche della persona, e uno sforzo a tutto campo per
incidere sull'attuale sistema informativo e formativo.
Per conferire valenza educativa al processo di trasmissione culturale appare
dunque necessario dar vita ad un patto che metta in rete sul territorio l'apporto
delle istituzioni, e al contempo riconoscere il ruolo imprescindibile delle
primarie relazioni familiari e delle appartenenze religiose.
Una sfida alla parrocchia
6. In particolare, per quanto riguarda l'attuale sforzo per rinnovare lo slancio
missionario delle nostre comunità parrocchiali, si tratta di trovare
il filo che possa garantire la continuità della tradizione della fede
all'interno del mutamento culturale che caratterizza il nostro tempo. Non quindi
una resa di fronte al processo di frammentazione presente nell'esperienza religiosa,
ma la consapevolezza che questa esperienza è pienamente umana solo se
è anche socialmente condivisa, storicamente rilevante.
La domanda che ci poniamo è la seguente: è in grado la parrocchia
di accogliere e attuare quella grande svolta che va sotto il nome di conversione
missionaria della nostra pastorale, o è invece destinata a rimanerne,
purtroppo, sostanzialmente al di fuori, restando prigioniera di due tendenze,
tra loro parzialmente contrastanti, ma entrambe poco aperte alla missionarietà:
quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella
quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una "stazione
di servizio" per l'amministrazione dei sacramenti, che continua a dare
per scontata in coloro che li richiedono una fede spesso assente?.
La domanda ci sprona a capire se la parrocchia, nella sua forma e nelle sue
modalità attuali, è all'altezza di affrontare la sfida della cosiddetta
secolarizzazione e di un "ritorno del sacro" non esente da ambiguità;
ci invita a discernere se le comunità locali siano realmente capaci di
alimentare nei loro membri, soprattutto laici, quello zelo apostolico e quella
urgenza di annunziare Cristo che sono richiesti dalla nuova evangelizzazione,
instancabilmente richiamata dal Santo Padre.
Servire l'educazione non è compito solo della scuola. Lo è anche
della Chiesa e in particolare della sua azione pastorale, oggi tesa all'evangelizzazione
anche attraverso l'iniziazione cristiana e la catechesi. Si avverte l'esigenza
di ricuperare la dimensione educativa e culturale dell'annuncio della salvezza,
in quanto centrato sulla persona.
Le grandi domande di senso
7. Tre aspetti sembrano particolarmente significativi. La definizione dei contenuti
che dovranno tradurre nell'azione educativa quanto prospettato dalla riforma
della scuola. Si tratta di saperi che devono concorrere alla funzione critico-educativa
della cultura e quindi non possono essere semplicemente piegati alle esigenze
informativo-addestrative; occorre realizzare la promozione della razionalità,
della libertà e della responsabilità, evitando i rischi di un
impianto funzionalistico. Un'educazione così intesa non può ignorare
le grandi domande di senso e l'apertura alla trascendenza.
Ma il problema della definizione dei contenuti nella nuova scuola si pone tenendo
conto del fatto che questa responsabilità ricadrà anche sulle
singole scuole, in forza dell'autonomia ad esse riconosciuta. In seguito alla
riforma del Titolo V della Costituzione per la prima volta, e in maniera formale,
le istituzioni scolastiche e formative sono riconosciute autonome dalla nostra
Costituzione e non solamente da una legge ordinaria, come la legge n. 57/1997.
Inoltre gli articoli 117 e 118 della Costituzione permettono ulteriori precisazioni,
nella direzione soprattutto della sussidiarietà. Anzitutto, l'attività
scolastica e formativa è espressione della società civile, entro
le norme generali di competenza dello Stato e le leggi ordinarie di iniziativa
regionale. In questo quadro anche le istituzioni scolastiche non statali che
operano nel rispetto delle norme generali devono godere di piena libertà
ed essere accessibili a tutti. Ciò significa che il processo di riforma
va nella direzione di una maggiore responsabilità educativa e culturale
affidata alle comunità locali. Di qui l'importanza di porre il tema educativo
al centro di una rete di relazioni e di soggetti operanti nel territorio.
L'introduzione di un percorso graduale e continuo di formazione professionale,
parallelo a quello dell'istruzione liceale e universitaria dai 14 ai 21 anni,
che porti all'acquisizione di qualifiche e titoli, fa sì che la formazione
professionale non venga più concepita come un addestramento finalizzato
esclusivamente all'insegnamento di destrezze manuali. Essa diventa piuttosto
un percorso capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona,
secondo un approccio specifico fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione,
e quindi è in grado di intervenire nel processo di costruzione dell'identità
personale. E' questo un ambito significativo di incontro tra scuola e mondo
del lavoro.
Una chiara visione antropologica
8. Il primato dell'educazione di fronte a queste sfide significa anche testimoniare
in un contesto fortemente pluralistico una chiara visione antropologica, tesa
a impedire al pluralismo di smarrirsi nella confusione. Si tratta di un contributo
culturale insostituibile, che ha lo scopo di contribuire a fondare, ad aggiornare
e a rimotivare l'impegno educativo, soprattutto per quanto riguarda le mete
ultime, le grandi domande di senso, l'apertura alla trascendenza, per sconfiggere
la cultura della banalità, purtroppo diffusa anche nel mondo della scuola.
Ad esempio, nella legge di riforma appare utilizzata per la prima volta l'espressione
"convivenza civile", assunta come sintesi di vari tipi di educazione
(alla cittadinanza, ambientale, stradale, alla salute, alimentare, all'affettività).
Tutto ciò significa che la scuola si assume, tra i suoi compiti educativi,
anche i comportamenti e gli atteggiamenti degli alunni. Non si tratta di una
nuova disciplina, ma di un compito che vede impegnati tutti i docenti. L'obiettivo
si presenta nobile e degno: la scuola è interessata anche alla saggezza
del vivere e dell'agire bene. Nello stesso tempo, però, il compito appare
assai problematico, se pensiamo al disorientamento della società in cui
viviamo e al clima di relativismo diffuso che si respira. Si può paventare,
lecitamente, che non si vada oltre la definizione di un galateo sociale. Perciò,
nella realizzazione di questo nuovo compito educativo della scuola i cristiani
possono e devono essere presenti con quell'apporto originale che è loro
possibile, "rendendo ragione della speranza che è in loro".
Da questo punto di vista risulteranno utili i lavori di queste giornate di Convegno,
che possono avvalersi anche dei frutti di alcuni seminari che hanno visto riuniti
pedagogisti e teologi attorno a quattro tematiche riconducibili ad alcune delle
istanze più controverse del dibattito in corso: Manipolazione, artificializzazione,
educazione (28/29 marzo 2003), La costruzione dell'identità (20-21 giugno
2003), Economia, lavoro, educazione (26/27 settembre 2003), Interculturalità
e educazione (7/8 novembre 2003).
9. Il punto di partenza, e al tempo stesso l'obiettivo, per contribuire alla
ricomposizione della cultura, e quindi del senso, è proprio la comunicazione
del Vangelo, intenzionalmente posta al centro degli Orientamenti pastorali per
questo primo decennio del duemila.
Molte delle problematiche che toccano più da vicino l'evangelizzazione,
la pastorale tutta e i rapporti tra fede, vita e cultura, ruotano oggi intorno
alla cosiddetta questione antropologica, cioè alla domanda su chi sia,
realmente, l'uomo, con tutte le conseguenze che la risposta, o meglio le diverse
risposte a questa domanda portano con sé. Ciò che sembra particolarmente
rilevante è la progressiva caduta del ruolo di "orientamento"
che la cultura, intesa come appartenenza a un complesso di idee e di valori,
ha sempre svolto nella storia dell'umanità. In più occasioni e
con diverse motivazioni siamo chiamati a confrontarci con la valenza multiculturale
del contesto in cui viviamo. Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio, ha denominato
questo fenomeno "frammentazione del senso". Mi soffermerei in particolare
su due aspetti tematici: quello che si riferisce alla concezione dell'uomo alla
luce dell'antropologia cristiana e quello che riguarda il rapporto tra le culture
in un contesto educativo pluralistico.
Il prezioso contributo dei cittadini cattolici
10. Il pensiero antropologico cristiano rifiuta il dualismo, inteso come scissione
tra le componenti della persona. Riprendere la prospettiva unitaria dell'antropologia
cristiana significa proporre all'uomo d'oggi adeguate interazioni fra la dimensione
conoscitiva e intellettuale, quella affettiva e quella volitiva dell'esistenza.
L'Italia offre la possibilità di una presenza significativa dei cattolici
ed è dovere dei credenti vivere la fede in un modo che sia incarnato
nella storia e nella cultura del popolo italiano. Non si serve il Paese vivendo
la cittadinanza a prescindere dalla fede, ma offrendo il proprio patrimonio
di valori per la costruzione del bene comune. Le questioni di primaria importanza
che toccano la vita, la tutela e la promozione della famiglia fondata sul matrimonio,
l'educazione e la scuola, il lavoro e la solidarietà, prima ancora della
formulazione legislativa, pongono un problema culturale. Quale visione abbiamo
dell'uomo e del suo destino? Quale uso fare delle innovazioni tecnologiche e
delle scoperte scientifiche, soprattutto sul versante della vita umana? Quale
significato dare alla natura umana e alla struttura sessuata della persona?
Come intendere il significato dei rapporti sociali?
Un particolare settore dove concentrare l'attenzione e il discernimento è
quello della ricerca scientifica sull'uomo e del vasto campo delle neuroscienze
e delle loro applicazioni tecnologiche. Certamente va data una valutazione positiva
dello sforzo delle scienze per l'esplorazione del fenomeno umano, ma esso dev'essere
accompagnato dal necessario discernimento sui limiti della ricerca stessa. Infatti,
essa attiene alla comprensione analitica dei fenomeni e ha competenza nella
costruzione di una visione globale solo in un contesto interdisciplinare, in
cui filosofia e teologia garantiscano il punto di vista dell'intero e del senso.
Una delle radici più profonde e determinanti del problema dell'uomo,
come oggi si presenta, va ricercata nel modo attuale di concepire la verità.
La nostra cultura ha spostato drasticamente l'accento dalla filosofia verso
le scienze (positivismo), anzi verso le tecniche applicate. Ciò fa sì
che il problema umano sia già all'inizio gravemente pregiudicato, perché
si decide che la verità umana in quanto tale (la domanda di senso, di
valore, di progetto intenzionale, di relazione vissuta, la libertà che
produce storia e significati umani) sia sottoposta al giudizio prevalente, se
non esclusivo, del sapere scientifico-tecnologico.
Questa cultura è ulteriormente sostenuta dalla comunicazione mass-mediale,
che tende ad omologare verso il basso atteggiamenti e comportamenti di ogni
genere. Si nota, di conseguenza, un degrado dell'aspetto propriamente umano
dell'esperienza diffusa della gente. Questa riduzione dell'umano porta con sé
una privazione che oscura ogni riferimento "alto" alla destinazione
del vivere (scelte incondizionate, ideali liberanti e impegnativi, relazioni
fedeli e segnate dalla gratuità
, ecc.) e si traduce in uno stato
diffuso di sofferenza, per cui "si vive male", come è ampiamente
attestato dalla cultura occidentale sotto tutte le sue forme: filosofica, letteraria,
artistica
. (cfr Pier Angelo Sequeri, L'apprendista al timone. Il ministero
ordinato per la nuova evangelizzazione, in: La rivista del Clero Italiano, 10
(2002), pp. 642-654).
L'educazione in un contesto pluralistico
11. Sulle motivazioni profonde e sui requisiti essenziali della testimonianza
missionaria a cui la Chiesa è chiamata occorre riflettere anche alla
luce del pluralismo sociale e culturale della nostra società.
Un punto essenziale è rendere di nuovo presente e operante nel popolo
cristiano la consapevolezza diffusa che Dio ha preso l'iniziativa di rivelarsi
a noi, nella nostra storia, la quale diventa per ciò stesso storia di
salvezza. Di tutta questa rivelazione salvifica, nella quale Dio, per amore
gratuito, ci fa conoscere se stesso e il mistero della sua volontà -
cioè il suo concreto atteggiamento verso di noi - e ci fa entrare in
comunione con Lui, Gesù Cristo "è insieme il mediatore e
la pienezza" (Dei Verbum, n. 2; cfr n. 4).
È questo il motivo fondamentale per il quale, pur essendo pienamente
aperti e cordialmente partecipi agli sviluppi della cultura e della scienza,
non possiamo adattarci a una mentalità scientista e nello stesso agnostica
e relativista.
Parimenti insoddisfacenti sono però alcune tendenze che hanno le loro
matrici nelle grandi religioni orientali, ma anche - per quanto riguarda il
nostro passato - in larghi strati del pensiero filosofico e religioso ellenistico,
e che oggi sembrano di nuovo diffondersi in Occidente, sulla base di una certa
sintonia con il relativismo e l'agnosticismo presenti nella nostra cultura.
Queste tendenze sottolineano la presenza di Dio, o più esattamente del
divino, al fondo di ogni realtà e insistono però sull'impossibilità,
per la nostra mente limitata, di averne alcuna reale conoscenza. Il divino così
inteso sarebbe alla fine impersonale, identificandosi con la dimensione più
profonda e misteriosa dell'universo.
Al loro confronto il cristianesimo può mantenere intatta anche oggi quella
rivendicazione di verità - di una verità superiore alla nostra
ragione, ma al contempo ad essa profondamente corrispondente - che era stata
un suo fondamentale punto di forza nel confronto con il mondo filosofico e religioso
dell'Antichità. Anche oggi, infatti, l'annuncio che il Verbo di Dio,
la Sapienza creatrice, è all'origine di tutta la realtà e di ogni
suo mutamento o evoluzione - compreso l'emergere di quella realtà unica
che è l'uomo - conserva pienamente e vede semmai accresciuta la sua plausibilità,
dato che l'avanzare delle nostre conoscenze richiama sempre più l'attenzione
sull'intelligibilità dell'universo e della sua stessa evoluzione.
Aprendoci nella fede, sotto l'impulso dello Spirito Santo che opera in noi,
alla rivelazione del vero volto di Dio, siamo contestualmente chiamati ad entrare
in una nuova forma di vita, il cui ethos è incentrato sull'agape, l'amore
puro e generoso che scopre Dio nel prossimo e vede nell'altro il fratello. Su
questa base l'Apostolo Paolo ammonisce la prima generazione cristiana: "Tutto
quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che
è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri"
(Fil 4,8). Dio, infatti, è amore (cfr 1Gv 4,8.16) e quindi ciò
che Egli dona e chiede è anzitutto l'amore.
Anche oggi la fede cristiana, coerentemente vissuta, conserva integra la sua
capacità di toccare nel profondo il cuore degli uomini, proprio perché
riconosce nel comandamento dell'amore la legge suprema e il senso profondo dell'esistenza,
sia personale che sociale.
Su queste basi diventa possibile coniugare l'apertura e l'accoglienza nei confronti
di coloro che provengono da una diversa matrice religiosa e culturale con la
conservazione e la riproposizione attiva e fiduciosa di quella identità
che il popolo italiano ha acquisito e maturato nel corso della sua storia.
12. Concludendo, formulo l'auspicio che il passaggio dall'una all'altra generazione sia basato su una ritrovata capacità di "generare" da parte del mondo adulto, intendendo così la capacità stessa di amare e di donarsi. Le sfide dell'educazione ci richiamano a riflettere sulla carità, sull'amore oblativo come chiave della costruzione del futuro.