TOTALITARISMO
E DISSENSO
IN UNIONE SOVIETICA
TOTALITARISMO
E DISSENSO
IN UNIONE SOVIETICA
Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
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Pubblichiamo in questo Fascicolo l'introduzione che la dr.sa Marta Dell'Asta,
ricercatrice presso il Centro "Russia Cristiana" di Seriate - fondato
e diretto da padre Scalfi - ha scritto per il proprio volume, recentemente edito
con i tipi della Casa di Matriona, dal titolo "Una via per incominciare".
Il dissenso in URSS dal 1917 al 1990".
Se non possiamo non fare "memoria" dell'Olocausto ebraico perpetrato
dal nazismo - e la data odierna ne è la convinta conferma da parte nostra
- è doveroso non cadere più nelle trappole ideologiche che hanno
finora impedito una conoscenza approfondita e documentata degli orrori del comunismo
sovietico e delle epurazioni staliniane, che hanno causato decine di milioni
di morti nei campi di concentramento sovietici, descritti in quell'opera memorabile
di Solzenicyn, l'Arcipelago Gulag, pubblicato a Parigi nel 1973: il "libro
del secolo", come è stato definito, che impose all'attenzione del
mondo il fenomeno dei lager sovietici.
Nella storiografia dell'Occidente, si fa ancora fatica a recepire gli esiti
degli studi di Hannah Arendt e di Ernst Nolte, che avrebbero avuto il torto
di "revisionare" - ponendoli sulla stessa radice totalitaria - la
vulgata corrente dell'interpretazione del nazismo e del comunismo, sbilanciati
per troppo tempo - a causa della persistenza della egemonia culturale di certa
sinistra basata sull'antifascismo antirevisionista - a tutto favore della rivoluzione
bolscevica, uscita quasi indenne dalle condanne storiografiche e culturali nel
nostro Paese. Come se nazismo e comunismo, Stalin e Hitler non fossero stati,
anche storicamente, legati perfino da un patto scellerato (il patto Molotov-von
Ribbentrop dell'agosto 1939) - minimizzato o falsamente interpretato sui manuali
dei nostri licei - che voleva la spartizione dell'Europa per consolidare l'egemonia
delle due superpotenze totalitarie.
Mentre nella Germania nazista - anche a causa della brevità della dittatura
hitleriana - il dissenso non ha avuto il tempo di organizzarsi per esplicare
tutte le sue potenzialità, nelle Repubbliche sovietiche il dissenso -
lungo lo spazio di un settantennio - si è andato irrobustendo e consolidando
attraverso una lunga storia di testimoni. Tant'è che, mentre il nazismo
è stato spazzato via da fattori sostanzialmente esterni (ossia da un
evento bellico, dal quale gli anglo-americani sono usciti non solo come vincitori,
bensì come liberatori dalle dittature nazifasciste dell'Europa), il comunismo
sovietico invece si è frantumato al suo interno, e proprio grazie alla
storia del dissenso da parte degli stessi cittadini sovietici, che ne hanno
denunciato i crimini e ne hanno rivelato non solo la natura antidemocratica,
bensì soprattutto antiumana.
Il volume della Dall'Asta - che vivamente consigliamo di leggere - racconta
non solo la trama dei principali dissenzienti, ma soprattutto le ragioni che
ne hanno sostenuto l'impegno: ragioni certo ben radicate nella profondità
della loro coscienza e nella solidità della loro tradizione culturale,
cristiana e umanistica, se hanno saputo infondere il coraggio della perseveranza
fino alla persecuzione e al martirio.
Un'ultima annotazione. Leggendo il volume della Marta Dell'Asta, non si può
non rimanere stupiti e affascinati dalla posizione culturale dei dissidenti:
una posizione che, come riassume l'Autrice, riposava sulla "certezza che
una cultura poteva essere per l'uomo, solo se era spirituale, se cioè
riconosceva allo spirito il primato assoluto, di fronte al quale dovevano giustificarsi
tutti gli altri valori, tutti gli aspetti della vita". Insomma: la storia
del dissenso in Unione Sovietica non è solo un capitolo interessante
per la ricostruzione integrale del "secolo breve", ma diventa un metodo
di vita, una lezione anche per noi, nell'oggi della nostra stagione, dove laicismo,
relativismo e nichilismo rischiano non solo di censurare, ma addirittura di
spegnere quella struttura spirituale, quella luce interiore che è alla
radice della dignità e della libertà della persona umana. Anche
il nichilismo, infatti, è una forma di totalitarismo. Fra le più
subdole e fra le più perniciose. Anche oggi è tempo di dissidenza.
Dovremmo saperlo noi cristiani, per primi, che abbiamo ricevuto in dono la rivelazione
della vera sapienza, che smaschera le potenze seduttrici di questo mondo.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 27 gennaio 2004
Memoria liturgica di S. Angela Merici e
Giornata della memoria dell'Olocausto ebraico
TOTALITARISMO E DISSENSO IN UNIONE SOVIETICA
Il dissenso sovietico appartiene alla storia recente, ma pochi se ne ricordano
ancora: "I giovani, dicono, non si interessano più di queste cose,
e bisogna pensare ai giovani. Io, invece, insisto nel dire che non esiste un
limite: bisogna parlare sempre delle stesse cose, finché non venga a
galla ogni sventura e ogni lacrima, finché non diventino chiare le ragioni
di ciò che è stato e continua ad essere" (N. Mandel'stam,
Le mie memorie).
Il secolo XX ha portato con sé tanti fenomeni nuovi, come i totalitarismi,
la violenza di massa pianificata, i lager e altre tragedie ancora, che hanno
innalzato significativamente il limite della violenza umana, ma fra questi fenomeni
negativi ce n'è stato uno di natura positiva, il dissenso in Unione Sovietica,
di cui normalmente ci sfugge l'importanza, mentre meriterebbe tutta la nostra
attenzione poiché ha avuto un ruolo davvero unico nella storia.
In sostanza il dissenso è stato la risposta più adeguata alla
minaccia moderna del totalitarismo; una risposta assolutamente incoraggiante
perché ha saputo trovare una via minima ma sempre percorribile di fronte
a un pericolo che si presentava globale e talmente invasivo da intaccare l'anima
stessa dell'uomo.
Solzenicyn ha detto: in ogni situazione c'è sempre una via per incominciare.
Nell'Unione Sovietica primo Stato comunista, regno dell'ideologia più
compiuta, superpotenza mondiale e colosso repressivo, il dissenso, incominciando
praticamente dal nulla, ha trovato la via non per rovesciare il potere, ma per
cambiare la mentalità vigente a tal punto che il sistema non ha avuto
più nulla su cui reggersi, e quando ha cercato di riformarsi (con la
perestrojka) lo ha fatto pescando nelle parole d'ordine del dissenso, ad esempio
lanciando quella glasnost' che i dissidenti avevano messo tra le loro prime
rivendicazioni.
Il libro ripercorre per sommi capi la storia di questo movimento di liberazione,
la storia di questo movimento di liberazione unico nel suo genere; la nostra
non ha la pretesa di essere una storia completa (troppi nomi, troppi episodi
sono stati forzatamente trascurati), né vuole essere un bilancio critico
del fenomeno; l'una e l'altro sono già stati tentati, ma attendono ulteriori
elementi dall'apertura degli archivi. Abbiamo voluto piuttosto fissare alcuni
punti di riferimento generali per valutare come merita l'importanza del fenomeno,
inserendolo nel suo contesto e impedire così che se ne disperda la memoria.
Nel tratteggiare il quadro del dissenso abbiamo cercato di mettere in evidenza
alcuni elementi: l'estensione delle trasformazioni prodotte nella società
sovietica dalla mentalità del dissenso; l'ambito di partenza di queste
trasformazioni che fu innanzitutto umano, culturale, etico e religioso e non
politico; infine il peso decisivo che questo rinnovamento ebbe a sua volta nella
transizione verso un nuovo ordinamento politico.
Nel ripercorrere i dati e i fatti di questa storia ci è sembrato indispensabile
dare spazio alla voce dei protagonisti per ricreare il pathos morale che era
l'anima stessa del loro impegno; altrimenti non si potrebbe capire adeguatamente
un fenomeno che fu prima di tutto personale.
"Non si può fare raccolta di icone e di altri ricordini russi finché
non sarà ricordata ogni donna che ha seguito il marito nel lager o è
restata a casa e ha taciuto, mordendosi la lingua. Chiedo che tutti assistano
al mio incubo di mezzo secolo" (N. Mandel'stam).
Quello del dissenso, si diceva, è stato un momento decisivo della grande
storia del XX secolo, uno degli elementi fondamentali che hanno contribuito
al crollo del più duraturo fra i sistemi totalitari. E questo elemento
decisivo ha come sua specifica caratteristica di essere stato prodotto da persone
per la persona: non c'è stato momento o fase in cui l'organizzazione
o il gruppo abbiano avuto la prevalenza sulla responsabilità e la libertà
del singolo. Nulla veniva prima della persona né poteva esigere di sacrificarla
a un astratto "bene della causa", nulla poteva fare violenza alla
libertà della coscienza individuale, nessun principio massificante, nessuna
"andata al popolo" per convertirlo all'Idea, nessuna disciplina di
partito ma solo la responsabilità personale: questi i punti essenziali
della posizione culturale comune al dissenso, che si possono configurare come
un nuovo umanesimo che andava in direzione opposta di quello tradizionale, secolarizzato.
"Noi abbiamo visto come il male ha trionfato dopo che i valori dell'umanesimo
sono stati disprezzati e ridotti in cenere. Tutto questo è stato possibile
perché questi valori si fondavano solo sull'esaltazione dell'intelletto
umano: penso che oggi debbano ricevere un fondamento migliore" (N. Mandel'stam,
L'epoca e i lupi).
Dopo un'esperienza del materialismo così devastante come quella sovietica,
il dissenso ha accomunato laici e credenti nella certezza che una cultura poteva
essere "per l'uomo" solo se era spirituale, se cioè riconosceva
allo spirito il primato assoluto, di fronte al quale dovevano giustificarsi
tutti gli altri valori, tutti gli aspetti della vita. Il ceco Vàclav
Hevel, esponente di punta del dissenso laico, ha trovato una formulazione precisa
a questa posizione: "Dove si attinge questa strana legge morale definibile
come 'bene', evidentemente poco pratica e irreale? Questo stravagante concetto
di 'responsabilità per il mondo' può averlo solo chi in qualche
modo (consapevolmente o inconsapevolmente) partecipa realmente nell'intimo all''orizzonte
assoluto dell'essere', chi vi si rapporta o magari ci lotta, chi vi attinge
il senso, la speranza, la fede
" (La crisi dell'io).
Questo orizzonte assoluto i dissidenti lo hanno condiviso (magari solo inizialmente,
ma non è importante) come fonte del loro impegno personale, e lo hanno
attinto, consapevolmente o meno, a quell'ampio alveo della cultura cristiana
da cui era uscita la Russia moderna. Ci si potrà chiedere quale legame
potesse mai esistere fra una cultura cristiana disconosciuta e denigrata già
prima della rivoluzione, e dei cittadini sovietici per lo più atei o
al massimo agnostici. Pensiamo ad Andrej Sacharov, agnostico, massimo esponente
del dissenso laico, che diceva di sé: "A tredici anni [1934], influenzato
dal clima generale dell'epoca e da mio padre, decisi, sia pure apertamente,
che non ero credente
Ora, in tutta sincerità, non so bene quale
sia in realtà la mia posizione. Non credo nei dogmi, non mi piacciono
le Chiese ufficiali
Al tempo stesso non posso immaginarmi, non riesco
a immaginarmi l'universo e la vita umana senza un principio che dia loro un
significato, senza una fonte di 'calore' spirituale esistente al di là
della materia e delle sue leggi. Forse un tal modo di sentire può definirsi
religioso" (Memorie).
Ma più a fondo di questo generico senso religioso, il legame con i valori
cristiani tradizionali era ben presente nella posizione integralmente umana
di Sacharov e degli altri dissidenti. La memoria della cultura ha rimesso in
moto la coscienza personale, infine la coscienza e la cultura insieme a loro
volta hanno rimesso in moto la storia, che dopo la rivoluzione del 1917 si era
trasformata in un movimento meccanico e ripetitivo, che non teneva conto della
realtà e sembrava non avere più possibilità di cambiamenti
reali.
Era stato un poeta profondamente religioso come Osip Mandel'stam, morto in lager
negli anni '30, ad intuire cosa rendeva possibile recuperare la possibilità
dell'avvenimento: dovunque, nella storia, nella cultura, nell'arte, egli cercava
la filiazione. Diceva che l'unica alternativa al movimento meccanico dell'orologio,
movimento che nasce dal nulla, è il rapporto filiale: "l'avvenimento
è impensabile senza la filiazione".
La libertà spirituale che alla fine degli anni '50 ha portato in piazza
i primi giovani non è nata per generazione spontanea dopo la morte di
Stalin, ma si è coagulata ed è rifiorita attorno a delle persone,
o al ricordo di alcune persone scomparse, che questa libertà interiore
avevano saputo conservare anche nei momenti più bui; di qui il ruolo
essenziale dei "maestri".
E' stato dunque dentro un rapporto filiale con la tradizione russa che il dissenso
ha riportato l'URSS nella storia, e ha fatto sì che qualcosa di nuovo
(un radicale cambiamento di mentalità) accadesse anche in Unione Sovietica.
Senza il dissenso, probabilmente, il regime avrebbe potuto proseguire ad oltranza
gli aggiustamenti e le razionalizzazioni, in un "cattivo infinito"
a lato del tempo storico.
La filiazione dalla più autentica filiazione cristiana si vede anche
nella radicale non violenza del movimento, che rispettava la persona come un
mistero, nel suo attaccamento alla realtà, nel recupero della memoria,
nell'idea di sacrificio come fonte di rinnovamento, nella esperienza della libertà
come servizio alla verità. E la si vede, questa filiazione, anche nella
generosità di molti protagonisti, in cui si riconoscono alcuni aspetti
dello spirito cristiano: la fedeltà agli amici, lo spirito di carità
verso i perseguitati, il senso di responsabilità verso tutto e tutti,
il rispetto assoluto per l'altro, non escluso il persecutore. L'attenzione all'uomo
concreto è stata una norma di vita per numerosi dissidenti, quasi una
sorta di ascesi; Zoja Krachmal'nikova e Feliks Svetov hanno nominato l'origine
di questa comune militanza spirituale: "Ogni giorno dimenticare sé
per gli altri: misericordia, assistenza, aiuto concreto ai condannati, agli
offesi, ai perseguitati; la difesa dei diritti dell'uomo nel loro più
alto significato cristiano. Nella vita e nelle opere di persone così
rinasce in Russia la tradizione della grande misericordia cristiana".
Il primo passo del cambiamento è stato riconoscere la propria corresponsabilità
nel sistema di ingiustizia instaurato nel paese. "Sul primo Stato comunista
del mondo sventolavano stuoli di bandiere rosse
L'ideologia comunista
non era per noi qualcosa di esterno, di imposto con la forza; al contrario,
si era annidata nel profondo della nostra coscienza e l'alimentava, informando
un ordine che regolava tutti gli aspetti della vita sovietica. E che ci appariva
inconfutabile, addirittura naturale
Soltanto qualche solitario si ribellava
e pagava cara la sua ribellione. L'arena della lotta, il campo di battaglia
erano soprattutto la coscienza, l'anima di ognuno
C'è voluto qualche
decennio, e l'avvicendarsi di diverse generazioni, perché nascesse il
sospetto che il sangue versato era troppo, che troppo rosso ci circondava"
(V. Sentalinsij, I manoscritti non bruciano).
Nel momento in cui si prendeva coscienza della propria corresponsabilità
nasceva l'esigenza di un cambiamento personale: per dirla con un termine cristiano
che è perfettamente aderente ai fatti, la metanoia (conversione) è
stata l'esperienza fondamentale sul cammino di molti dissidenti di qualsiasi
corrente e posizione. "Io disprezzavo l'uomo sovietico. Non quello raffigurato
sui manifesti e nella letteratura, ma quello vero, reale, privo di onore, di
orgoglio, di senso di responsabilità
che tradirebbe e venderebbe
suo padre pur di non essere colpito dal pugno del suo superiore. La tragedia
è che egli risiede in ognuno di noi, e finchè non ci riuscirà
di vincere dentro di noi quest'uomo sovietico, nulla muterà nella nostra
vita" (V. Bokovskij, Il vento va, e poi ritorna).
Questa presa di coscienza ha dato frutti là dove non è rimasta
un puro riconoscimento intellettuale ma si è tradotta in un atteggiamento
nuovo verso la vita. Questo spiega l'incredibile e temerario coraggio con cui
i dissidenti, formiche di fronte al muro del sistema, si sono avventurati in
uno scontro addirittura pazzesco tanto era impari. Eppure, in tre decenni di
apparenti sconfitte hanno verificato sperimentalmente la bontà dell'affermazione
che "l'autocoscienza dell'uomo determina il volto delle epoche" (L.
Regel'son L'ideale della sobornost' e la personalità umana). Resta fondamentale
per capire il segreto del successo di una minoranza sull'intero sistema totalitario
il fatto che il dissenso non è nato con lo scopo di abbattere il regime,
ma per affermare una vita che tornava a rivendicare le sue ragioni. Se si fosse
trattato di una semplice opposizione politica, come esiste in tutti i paesi,
il dissenso non sarebbe stato quel fenomeno interessante ed unico che è
stato.
Il senso di responsabilità ha spinto i dissidenti verso l'impegno civile
e politico; ma il modo di "fare politica" dei dissidenti è
stato assolutamente anomalo, e se ne capisce la logica soltanto tenendo presente
tutto quanto abbiamo ricordato fin qui: l'importanza primaria data alla persona,
la libertà della coscienza, il riconoscimento della natura spirituale
della realtà, il gusto per la vita, il rapporto filiale verso dei maestri.
Ma non basta, quello che è successo poteva anche non accadere: l'impulso
che ha dato vita al dissenso e ha decretato la fine del regime non è
stato una "necessità storica" causata dalle imperfezioni del
regime, una fatalità impersonale e meccanica, ma si deve alla decisione
personale e allo spirito di sacrificio di molte persone. Questo ci riporta ancora
al punto di partenza, ai volti e ai nomi delle persone concrete di cui la storia
del dissenso è fatta. Non dimentichiamole perché sono l'apporto
più prezioso che questo movimento ha dato, indicano la possibilità
sempre aperta di un inizio. Di qualsiasi inizio.
"La difesa dell'uomo, la difesa delle sue intenzioni è non solo
la strada più reale ma la strada più coerente: conduce all'essenza
più peculiare della questione
Mi sembra che la 'semplice' difesa
dell'uomo, oggi sia in un certo senso (e non solo nella nostra situazione) un
programma massimale e il più positivo; riporta la politica al punto da
cui soltanto può partire se deve eliminare tutti gli antichi errori:
all'uomo concreto" (V. Havel).