Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
37
Essere cristiani non è mai vivere da soli, perché il Signore
ha voluto che i suoi discepoli vivessero in una comunità, che è
la Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo.
La parrocchia è quella comunità in cui, ascoltando la Parola di
Dio, celebrando i sacramenti della fede e condividendo le situazioni degli altri,
apprendiamo - con la guida dei presbiteri che rappresentano il Vescovo - a vivere
come membri della Chiesa cattolica e a vivere da cristiani nella città
terrena, in attesa di quella futura. E' un grande dono, una grande fortuna l'essere
discepoli di Gesù e l'appartenere alla sua Chiesa.
Le parole dell'apostolo Paolo ci siano di aiuto a vivere insieme la nostra fede
nel Signore risorto:
"La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi
al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi
a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito,
servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti
nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con
quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate
i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte,
piegatevi invece a quelli umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi"
(Rom 12, 9-16)
Per essere membri di una comunità cristiana, bisogna che alcuni atteggiamenti
e alcuni impegni comuni - che ti proponiamo qui di seguito e che sono stati
approvati nella seduta del nostro Consiglio Pastorale Parrocchiale del 15 settembre
scorso - siano vissuti da tutti e abbiano la priorità su tutti gli altri.
Questa "Breve Regola Pastorale", prima di essere stampata e diffusa,
è stata sottoposta al Vescovo per l'approvazione, affinché essa
non appaia in distonia con la Chiesa diocesana e con gli orientamenti del suo
Pastore: una parrocchia, infatti, non è un'isola autoreferenziale, e
può vivere solo nella Catholica, ossia in quel Corpo di Cristo che è
l'intera Chiesa, governata dai suoi pastori, successori degli apostoli. Solo
così, come ci insegna la retta fede cattolica, abbiamo la certezza di
essere in comunione col Signore Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio
Pilato e ora risorto nei cieli, seduto alla destra del Padre.
Pubblichiamo di seguito: la approvazione del nostro Vescovo, mons. Dante Lafranconi;
il testo della Regola Pastorale; il mio commento a ciascuna delle dieci regole.
Don Alberto
Casalmaggiore, 4 ottobre 2003
Festa di S. Francesco d'Assisi
Breve Regola Pastorale
1. Vivi intensamente il Giorno del Signore, partecipando, possibilmente in parrocchia,
alla celebrazione dell'eucaristia ogni domenica e nelle solennità dell'anno
liturgico, e, se puoi, anche al vespro e vivendo fraternamente le relazioni
in famiglia e con chi si trova nel bisogno.
2. Quando ti è possibile, partecipa alla messa anche nei giorni feriali, soprattutto in occasione di qualche ricorrenza significativa per la tua vita, per la vita della tua famiglia e per la vita della parrocchia : ad es. in occasione delle novene (dei morti e del Natale), dei funerali di persone conosciute e del ricordo dei defunti della parrocchia ogni lunedì. Prima della messa, unisciti alla preghiera del Rosario, per alimentare la devozione alla Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa.
3. Celebra il sacramento della riconciliazione almeno in occasione delle grandi feste dell'anno liturgico e ogni volta che, con il peccato grave, viene spezzata la comunione col Signore e con i fratelli.
4. Mettiti ogni giorno in ascolto del Signore attraverso la lettura meditata della Parola di Dio, soprattutto dei testi del Vangelo e delle lettere degli apostoli. Al mattino e alla sera non dimenticare di aprire e chiudere la tua giornata con la preghiera al Signore, senza trascurare di invocare l'intercessione di Maria, di santo Stefano, nostro patrono, e di tutti i santi testimoni della fede.
5. Partecipa regolarmente e con gioia agli incontri di catechesi, di formazione permanente, di preghiera e a tutte quelle iniziative che la parrocchia ti offre durante l'anno pastorale. Sono occasioni irripetibili di crescita personale e comunitaria. Impegnati anche a guardare con simpatia gli altri membri della parrocchia e a costruire con loro, fin dove è possibile, relazioni fraterne e amichevoli.
6. Incontra qualche volta personalmente un sacerdote per un dialogo sulla tua vita cristiana e qualche sacerdote della tua parrocchia per un confronto costruttivo sulla vita parrocchiale.
7. Dona con gioioso entusiasmo un po' del tuo tempo, delle tue energie e del tuo denaro per le molteplici necessità della nostra parrocchia. Una fede che non coinvolga la vita non è fede cristiana.
8. La tua presenza è preziosa anche negli ambienti dell'Oratorio, per educare i nostri ragazzi e i nostri giovani alla vita cristiana e alla vita sociale e civile.
9. Osserva i comandamenti di Dio e ispirati sempre al messaggio di Gesù nelle scelte fondamentali della tua esistenza e nella vita di tutti i giorni, testimoniando la fede cristiana in famiglia, a scuola, nella professione, nei luoghi dello svago e del divertimento.
10. Accogli e condividi le situazioni delle persone che Dio ti fa incontrare sul tuo cammino, soprattutto quelle che stanno vivendo momenti di difficoltà, affinché anche tu possa chiedere e ricevere consolazione e amicizia nei momenti della solitudine e della tribolazione.
don Alberto don Guido don Davide
insieme ai membri del
Consiglio Pastorale Parrocchiale
Commento
1.
Il Giorno del Signore è anzitutto un dono: è Dio che, all'interno
del tempo creato per la felicità dell'uomo, ci offre la possibilità,
nel giorno a Lui consacrato, di vivere la comunione con Lui. E' la relazione
con Dio che dà senso e compimento a tutti gli altri giorni della settimana.
Per gli ebrei il Sabato è il giorno memoriale della creazione e degli
interventi salvifici di Dio a favore del suo popolo. Per noi cristiani, la domenica
è il giorno memoriale della Pasqua di Gesù. Fin dai primi tempi,
i cristiani si sono sempre ritrovati alla domenica per celebrare la Cena pasquale
del Signore e per vivere intensamente una vita comunitaria.
Celebrare il Giorno del Signore significa rinnovare e ritrovare il nostro rapporto
con il tempo. Si parla molto oggi di ecologia, come recupero di un'armonia con
lo spazio; ma bisogna recuperare anche l'armonia con il tempo, come dimensione
e dinamica fondamentale dell'esistenza umana. L'ebraismo e il cristianesimo
sono rivelazioni-religioni costitutivamente basate sul tempo, più che
sullo spazio. Mentre gli dei delle genti sono legati ad un luogo, ad un santuario,
ad un monte
, il Dio di Israele, il Dio di Gesù è legato
ad un popolo e ne condivide la vicenda storico-temporale.
E' stato detto significativamente che la grande costruzione di Israele in realtà
non è stata il tempio di Gerusalemme, ma l'architettura del tempo, e
che il sabato è la grandiosa cattedrale di Israele. Il fondamento biblico
del sabato si trova in due testi classici, che spiegano il ritmo settimanale
ebraico, legandolo ai due atti con Dio si rapporta al mondo: l'atto della creazione
(Gen 2, 1-3, ripreso in Es 20, 8-11 e 31, 13-17) e l'atto della redenzione-liberazione
dalla schiavitù egiziana (Dt 5, 12-15).
Il sabato è anzitutto il memoriale della creazione, perché ne
celebra il fine, il compimento. Il sabato è distinto, separato e diverso
dagli altri giorni, perché è il sacramento dell'agire e del tempo
di Dio dentro all'azione e al tempo dell'uomo. In quanto il sabato della creazione
è un giorno senza tramonto, esso diventa il giorno escatologico, il giorno
che prefigura il mondo a venire, la nuova creazione.
Il sabato è anche memoriale della liberazione dalla schiavitù
d'Egitto, acquistando così un valore pasquale, redentivo. E' la celebrazione
di un passaggio: dalla schiavitù degli idoli pagani alla libertà
dell'alleanza con Dio.
Ecco perché, dopo sei giorni, bisogna santificare il settimo: per affermare
la sovranità di Dio sulla nostra vita e per rigettare le altre sovranità
che ci tengono nella schiavitù dell'idolatria.
La Domenica cristiana accoglie e porta a compimento il sabato ebraico. Essa
nasce infatti come "il primo giorno dopo il sabato": è l'espressione
più frequente negli scritti del NT. Fin dalle prime generazioni, i cristiani
hanno denominato questo primo giorno della settimana come "dies dominicus",
giorno del Signore. Esso fa memoria dell'alleanza eterna e definitiva di Dio
in Cristo risorto, primogenito della creazione. Questa alleanza è rinnovata
soprattutto nella celebrazione eucaristica, che fin dai primi secoli caratterizza
la vita dei cristiani.
La domenica è un giorno particolare ed irrinunciabile per i cristiani.
Giovanni Paolo II, nella sua Lettera apostolica Dies Domini (31 maggio 1998),
scrive: " Alle soglie del terzo millennio, la celebrazione della domenica
cristiana, per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto
ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell'identità
cristiana" (n. 30).
Dunque non ci può essere domenica senza assemblea, senza il "convenire
in unum", senza il ritrovarsi insieme in uno stesso luogo - che in concreto
è la nostra chiesa parrocchiale - per la celebrazione eucaristica. Nel
passaggio dalle nostre case al luogo della comunità siamo chiamati a
vivere un passaggio molto più incisivo e profondo: dalla dispersione
all'unità, dal privato al comunitario, dall'esilio alla casa paterna.
Ecco perché non è possibile celebrare individualmente il giorno
del Signore. La partecipazione all'assemblea domenicale non è questione
di precettistica, ma di appartenenza ecclesiale e di identità cristiana.
La partecipazione all'eucaristia rimane il gesto più significativo della
domenica cristiana, perché nella messa noi ci mettiamo in ascolto della
Parola di Dio e diventiamo commensali del Pane di vita eterna che è Cristo
stesso. Da qui comprendiamo la necessità di partecipare all'unica mensa
della Parola e del Pane, perché Gesù ha donato la sua vita predicando
e spiegando la Scrittura, e ha spiegato la Scrittura consegnando il suo corpo
e il suo sangue. L'eucaristia è sempre e insieme annuncio e gesto, è
Parola e Pane spezzato. Così è la nostra vita: senza la Parola
di Dio non possiamo cambiare mentalità, e senza il Pane spezzato non
ce la facciamo a cambiare la nostra vita.
Facciamo di tutto per non venir mai meno a questo incontro domenicale, anteponendolo
ad ogni altro impegno: anzitutto, non arrivando mai tardi alla messa, e poi
partecipando ai vari momenti della celebrazione con l'attenzione dovuta, affinché
le nostre liturgie domenicali siano celebrazioni del Cristo risorto, non del
Cristo morto! Le nostre celebrazioni sono chiamate anche a favorire il senso
della comunità, non ad alimentare la divisione e il frazionamento: da
qui la necessità di non moltiplicare le messe.
Se appena ci è possibile, concludiamo il giorno domenicale con la celebrazione
del vespro: è la preghiera della Chiesa all'avvicinarsi della sera.
Infine, viviamo il tempo della domenica non nella noia e nella apatia (magari
abbandonandoci per ore ai programmi televisivi) e nemmeno - al contrario - nella
ricerca ossessiva di cose da fare, ma nella ripresa serena e distensiva delle
relazioni coniugali e familiari, nell'incontro con gli altri (la visita agli
amici, alle persone anziane e bisognose, ai parenti
), nella partecipazione
alle iniziative della parrocchia, nella lettura di qualche buon libro che aiuti
la nostra riflessione e incrementi la nostra cultura.
La domenica diventa, in tal modo, un giorno fecondo e diverso dagli altri, perché
svela l'essenza delle cose e il senso della bellezza e dello stupore; libera
la nostra esistenza dall'utilitarismo e ci affranca dall'efficienza produttiva;
ci fa gustare la gratuità e la gioia dei rapporti veri, non imposti dai
ruoli, ma scaturiti dalla libertà delle persone; recupera un senso celebrativo
della vita che impedisce l'atrofia e la banalizzazione dell'esistenza; ci aiuta
a riflettere sul nostro rapporto col tempo e a ritrovare una relazione pacificata
col tempo, in una società in cui "non abbiamo più tempo per
nessuno e per nulla", e in cui il "tempo libero" è ormai
completamente occupato e lottizzato dall'industria del divertimento; ci apre,
infine, all'attesa del mondo che verrà, donandoci il senso ultimo del
tempo e della storia.
Proprio perché è un dono di Dio - è il suo Giorno dentro
agli altri giorni affidati all'uomo - la domenica rimane essenziale anche per
l'umanizzazione dell'uomo, per guidarlo verso una più dignitosa qualità
della vita, per ricordargli da dove viene e verso dove è diretto. La
sparizione del giorno domenicale non sarebbe solo la sparizione di una reliquia
del passato, ma la perdita di una possibilità strutturale della società
stessa di evocare la dimensione trascendente ed eterna della nostra esistenza
umana.
E' stato detto che non è Israele ad aver salvato il sabato, ma è
stato il sabato ad aver salvato Israele. Ma questo vale anche per noi cristiani:
se non vogliamo essere assimilati al mondo, e dunque diventare insignificanti
come cristiani, dobbiamo vivere in pienezza il giorno del Signore, per testimoniare
che siamo di Dio, a Lui apparteniamo, verso di Lui camminiamo e da Lui siamo
salvati dal peccato e redenti dalla morte.
2.
Se l'eucaristia domenicale ha una centralità unica nel ciclo settimanale,
la Chiesa celebra tutti i giorni l'eucaristia. Certo, l'orario della celebrazione
feriale privilegia soltanto i pensionati, che non sono pochi nella nostra parrocchia.
A loro soprattutto viene rivolto l'invito a partecipare qualche volta anche
alla messa feriale. In modo particolare ogni lunedì viene celebrata la
santa messa per tutti i defunti della nostra parrocchia. E ogni primo lunedì
del mese vengono ricordati i benefattori defunti della San Vincenzo parrocchiale.
La partecipazione all'eucaristia è il modo più fecondo per aiutare
i nostri defunti attraverso la preghiera di suffragio, come ci ricorda anche
il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Fin dai primi tempi, la Chiesa ha
onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare
il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla
visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze
e le opere di penitenza a favore dei defunti" (n. 1032)
Mezz'ora prima della messa viene recitato ogni giorno il santo Rosario. Anche
questo appuntamento viene raccomandato per nutrire la nostra devozione alla
Vergine Maria, sempre raccomandata dalla Chiesa, come insegna il Concilio Vaticano
II: "Maria, esaltata per la grazia di Dio, dopo suo Figlio, al di sopra
di tutti gli angeli e gli uomini, perché è la Madre santissima
di Dio, che ha preso parte ai misteri di Cristo, viene dalla Chiesa giustamente
onorata con culto speciale. Dai tempi più antichi la beata Vergine è
venerata col titolo di 'Madre di Dio', sotto il cui presidio i fedeli pregandola
si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità" (Lumen
Gentium, n. 66). Attraverso il Rosario, veniamo introdotti nella contemplazione
dei misteri cristiani e apprendiamo l'arte della preghiera, come ci ricorda
Giovanni Paolo II nella sua Lettera Rosarium Virginis Mariae: "Il motivo
più importante per riproporre con forza la pratica del Rosario è
il fatto che esso costituisce un mezzo validissimo per favorire tra i fedeli
quell'impegno di contemplazione del mistero cristiano che ho proposto nella
Lettera apostolica Novo millennio ineunte come vera e propria 'pedagogia della
santità': 'C'è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto
nell'arte della preghiera'. Mentre nella cultura contemporanea , pur tra tante
contraddizioni, affiora una nuova esigenza di spiritualità, sollecitata
anche da influssi di altre religioni, è più che mai urgente che
le nostre comunità cristiane diventino autentiche scuole di preghiera.
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione
cristiana. Sviluppatosi in Occidente, esso è preghiera tipicamente meditativa
e corrisponde, in qualche modo, alla 'preghiera del cuore' o 'preghiera di Gesù'
germogliata sull'humus dell'Oriente cristiano" (n. 5).
3.
Se con il battesimo e gli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana (cresima
ed eucaristia) abbiamo ricevuto la vita nuova di Cristo risorto, tuttavia "se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non
è in noi" (!Gv 1,8). Ossia: la vita nuova ricevuta nei sacramenti
pasquali non sopprime la fragilità e la debolezza della nostra umana,
né quella inclinazione al peccato che il linguaggio della tradizione
chiama concupiscenza. Del resto, la vita cristiana è un combattimento
in vista della conversione, aiutati dalla grazia di Cristo. E in questa lotta
non sempre si esce vincitori. Il peccato è la nostra sconfitta più
grave, perché è una disobbedienza a Dio, che ha conseguenze anche
sul nostro rapporto con gli altri. Rompere la comunione con Dio è anche
e sempre un attentato alla comunione con la Chiesa e una profonda lacerazione
all'interno di noi stessi.
Nella cultura attuale, che ha trovato nella società, negli altri, soprattutto
nei responsabili della cosa pubblica ad ogni livello, il capro espiatorio, ossia
la causa colpevole di tutti i mali, interiori d esteriori, facciamo sempre più
fatica a percepire e a riconoscere il senso del peccato e dunque a riconoscere,
davanti a Dio, le nostre personali responsabilità. Il venir meno del
senso di Dio e la deresponsabilizzazione personale sono tra le cause principali
dell'appannamento del senso del peccato e quindi anche della pratica della confessione.
Gesù, che conosce profondamente il cuore umano, ha istituito il sacramento
della Penitenza per tutti i membri peccatori della Chiesa. In primo luogo per
coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave. Il sacramento della
Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di ricuperare
la grazia della salvezza. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento
"come la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta"
(Tertulliano).
Anche se privi di colpe gravi, è sommamente conveniente accostarsi al
sacramento della Penitenza, almeno in occasione delle grandi feste dell'anno
liturgico (il Natale, la Pasqua, la Pentecoste): per accogliere la grazia sanante
di Cristo; per camminare più spediti sulla strada della conversione;
per rompere con il peccato e con il male, che sta sempre accovacciato presso
la porta della nostra esistenza; per ricevere consigli e aiuti sulla propria
vita cristiana.
Non si trascurino anche le altre forme della penitenza cristiana. La Scrittura
e i Padri della Chiesa insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera,
l'elemosina, che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto
a Dio e in rapporto agli altri. Così come non va dimenticato che "la
conversone si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione,
attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la difesa della giustizia
e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione
fraterna, la revisione di vita, l'esame di coscienza, la direzione spirituale,
l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa
della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù
è la via più sicura della penitenza" (Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 1435). Infine, anche la partecipazione all'eucaristia, che rende
presente il sacrificio di Gesù che ci ha riconciliati con il Padre, diventa
sorgente di conversione.
In occasione delle feste di Natale e di Pasqua, sempre la nostra parrocchia
offre la possibilità di celebrazioni comunitarie, che ci preparano per
la confessione individuale. Ogni sabato, dalle 16 alle 18, e ogni giorno, un'ora
prima della messa vespertina, è sempre possibile trovare un sacerdote
per il colloquio spirituale e per la celebrazione del sacramento della penitenza.
4.
La fede cristiana nasce dall'ascolto della Parola di Dio, che si trova contenuta
nella Sacra Scrittura e nella vivente Tradizione della Chiesa. Già le
prime comunità cristiane erano assidue nell'ascoltare l'insegnamento
degli apostoli (cf. Atti 2,42), in ciò imitando la spiritualità
ebraica, che si fonda sullo "Shema, Israel" ("Ascolta, Israele:
il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo
":
Dt 6, 4 ss.). Il Dio nel quale credono gli ebrei e i cristiani è un Dio
che è uscito dal suo anonimato, entrando nella vicenda storica di cui
narra la Bibbia. Senza la conoscenza della Parola di Dio, senza la conoscenza
della storia della salvezza, si rischia l'idolatria. Diventa dunque essenziale,
per il cristiano, l'accostamento frequente alla Parola di Dio, soprattutto ai
testi della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa. Il Concilio Vaticano II
ha salutarmente rimesso al centro dell'esistenza e della spiritualità
cristiana la Parola di Dio, esortando "con forza e insistenza tutti i fedeli
ad
apprendere 'la sublime scienza di Gesù Cristo' (Fil 3,8), con la frequente
lettura delle divine Scritture" (Dei Verbum, n. 25). E viene citato un
bella espressione di San Gerolamo: "L'ignoranza delle Scritture è
ignoranza di Cristo".
Deve diventare abituale, per il discepolo di Gesù, leggere e meditare,
possibilmente ogni giorno, un brano della Sacra Scrittura, o almeno del Nuovo
Testamento. Un metodo molto semplice è di meditare le letture bibliche
che ogni giorno vengono proclamate nella liturgia; o almeno di riandare alle
letture bibliche della domenica. Ogni cristiano dovrebbe tenere in casa, oltre
che la Bibbia, un messalino: per meditare anche sulle orazioni, sui prefazi,
sui testi della liturgia, per conoscere la vita dei santi.
Anche al mattino e alla sera siamo chiamati ad un momento di preghiera: per
aprire e chiudere le nostre giornate davanti al Signore. Fra gli impegni, il
lavoro, la faccende familiari, le preoccupazioni della vita quotidiana, è
bello sostare alla presenza di Dio: per ringraziarLo, per lodarLo, per chiederGli
aiuto, consolazione e perdono. Gesù lo aveva raccomandato agli apostoli:
"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'"(Mc
6,31). La nostra parrocchia ha anche pubblicato, qualche mese fa, un piccolo
sussidio dal titolo: Preghiere del cristiano. Esso contiene i testi di tantissime
preghiere della tradizione cristiana, compreso qualche salmo. Usalo e fanne
dono a qualche persona di tua conoscenza!
Durante i tempi forti dell'Avvento e della Quaresima, al mattino, la parrocchia
ti offre la possibilità di celebrare le lodi del giorno: è la
preghiera della Chiesa, la stessa che i sacerdoti, i missionari, le suore e
i monaci recitano ogni giorno in ogni parte del mondo. Se non hai impedimenti,
non mancare anche a questo appuntamento.
5.
La formazione permanente è un tuo diritto, prima ancora che un tuo dovere.
Le numerose proposte che la parrocchia mette in cantiere, vivile come una gioiosa
opportunità, e non semplicemente come un obbligo faticoso o, peggio,
come un fastidio. Oggi più che mai il cristiano, raggiunto da tante informazioni
e da tante proposte, è chiamato a "rendere ragione della speranza"
che porta in sé, davanti a tutti, come ci ricorda San Pietro (cf. 1Pt
3, 15). Ma in che modo camminare spediti sul piano della formazione? Certo,
il cristiano adulto è chiamato anche all'autoformazione: i mezzi non
mancano. Ma sappiamo quanto sia difficile, per i più, trovare il tempo,
le opportunità, gli strumenti, i criteri. La nostra parrocchia ti offre
preziose occasioni.
Ogni martedì sera, da ottobre a maggio, la comunità parrocchiale
vive un incontro di formazione. In genere, ogni primo martedì del mese
ci ritroviamo per un incontro di preghiera nella chiesa di San Francesco: davanti
all'Eucaristia, cantiamo il vespro, meditiamo su qualche salmo o su qualche
cantico dell'Ufficio delle ore, ci viene proposto un po' di silenzio per l'adorazione
personale e si conclude con la benedizione eucaristica. Non c'è bisogno
di raccomandare l'importanza della preghiera nella nostra vita. E' Gesù
stesso che ci rivolge l'invito: "Vegliate e pregate in ogni momento"
(Lc 21, 36). E San Paolo: "Pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere
e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza"
(Ef 6, 18). Una comunità che non prega o che prega male, non vive o vive
male la propria fede nel Signore.
Il secondo e il terzo martedì del mese sono dedicati alla lettura, commentata
e meditata, della Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha riaffidato all'intera
Chiesa quel prezioso tesoro che è la Sacra Scrittura. Noi cristiani la
leggiamo? La conosciamo? La meditiamo? Da qui la necessità di essere
"assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli", come ci dicono
gli Atti (2, 42). In questi anni abbiamo già commentato alcuni brani
dei Vangeli, la lettera ai Romani, l'Apocalisse, la lettera agli Ebrei, i primi
undici capitoli della Genesi. Quest'anno leggeremo insieme la lettera agli Efesini.
E' essenziale che la nostra fede cristiana si fondi sulle radici della Parola
di Dio, perché, diversamente, è esposta a tanti impoverimenti
e anche a non poche falsificazioni.
Nell'ultima settimana del mese, in genere al venerdì sera, si tiene l'incontro
di agorà, che affronta, con l'aiuto di persone esperte, temi di attualità,
per capire la realtà in cui viviamo e ricevere, da cittadini cristiani,
qualche strumento di riflessione e di giudizio. "Gli esami non finiscono
mai", diceva il grande Eduardo de Filippo. Il pericolo di essere talmente
catturati dalla routine della vita quotidiana e dal lavoro da morirci dentro,
è grande. L'incontro con persone esperte, che ci aprano ai grandi temi
della vita e dell'attualità, è un occasione di crescita umana
e culturale, che riscatta il tempo della nostra vita dalla banalità,
dalla superficialità e anche dalla noia.
Senza dimenticare, infine, di incontrare con atteggiamento di simpatia gli altri:
sia ogni volta che la parrocchia ce ne offre l'opportunità (in occasione
di incontri e di feste, soprattutto al termine delle celebrazioni eucaristiche
domenicali
.), sia costruendo rapporti più fraterni e meno anonimi
con i nostri vicini di casa e di condominio.
6.
Non possiamo essere cristiani da soli: abbiamo aperto così l'introduzione
alla Regola Pastorale. Questo vale anche per la nostra vita spirituale. Sarebbe
rischioso affrontare tutte le prove - interne ed esterne - a cui ci impegna
la testimonianza del vangelo, facendo leva solo sulle nostre personali risorse.
Da qui il ricorso ad una guida che la tradizione cristiana chiama "padre
spirituale", che ci accompagna nel nostro cammino di vita cristiana con
il dono del consiglio. Può essere il nostro confessore abituale, può
essere uno dei sacerdoti della parrocchia, può essere qualunque altro
presbitero che goda della nostra fiducia e della nostra stima. L'importante
è che ci lasciamo guidare con saggezza e amorevolezza, senza rinunciare
alla nostra libertà e alla nostra responsabilità. Se lo Spirito
Santo rimane il nostro Maestro interiore, abbiamo anche bisogno di maestri umani
che ci aiutino a sentirne la presenza.
Così come, da membri della nostra comunità parrocchiale, è
sommamente conveniente che intratteniamo con i nostri sacerdoti rapporti fraterni
e leali, per il bene stesso della nostra comunità. Le critiche fatte
a terzi non solo non costruiscono nulla, ma sono di danno per lo sviluppo di
una autentica vita comunitaria.
7.
Siamo invitati a donare, con gioia, un po' del nostro tempo, delle nostre energie
e del nostro denaro per la vita della nostra parrocchia. Senza coinvolgimento
personale, non si costruiscono rapporti stabili e duraturi. La vita della parrocchia
ha bisogno di tutti. E tutti hanno bisogno che la parrocchia sia una famiglia
viva, dove si impara a conoscere e ad amare il Signore e dove si cammina insieme
condividendo gioie e tribolazioni, come si legge nel brano di San Paolo ai Romani,
posto nella introduzione. Le necessità della parrocchia sono molteplici
e ciascuno può trovare quei settori e quelle attività che sono
congeniali anche alla propria indole e per i quali è stato dotato di
particolari doni o ha maturato particolari competenze.
Anche "sovvenire alle necessità della Chiesa" è un preciso
dovere di ogni cristiano. Le celebrazioni liturgiche, le attività pastorali,
il sostentamento dei presbiteri, la cura degli edifici hanno bisogno della nostra
continua carità anche economica. Un tempo le parrocchie erano dotate
di "benefici": ma c'erano le parrocchie "ricche" e le parrocchie
"povere". Oggi, con il nuovo sistema introdotto dalla revisione del
Concordato del 1984, tutti i beni delle parrocchie sono stati incamerati dall'"Istituto
diocesano sostentamento clero", che provvede in parte ad una giusta e perequata
distribuzione delle risorse per il sostentamento dei sacerdoti. Anche l'otto
per mille nella denuncia dei redditi è una opportuna forma per "sovvenire
alle necessità della Chiesa".
La nostra parrocchia, come tutte le altre, non ha grandi risorse, se non quelle
che derivano dalla nostra generosità. In questi anni abbiamo affrontato
insieme non poche spese, assolutamente necessarie: la nuova caldaia del Duomo,
l'impianto di amplificazione, la rinnovata sala della catechesi, la cucina dell'Oratorio,
la revisione delle otto campane, il nuovo impianto di illuminazione del Duomo
e della cripta. Si sta ultimando il rifacimento del salone del bar del nostro
Oratorio. Per non parlare delle spese della gestione ordinaria, già pesanti.
Tutte queste opere sono state realizzate grazie alla generosità dei fedeli.
In che modo sovvenire alle tante necessità della nostra parrocchia?
Anzitutto con un 'offerta generosa in chiesa ogni domenica durante la messa.
Amo ripetere: almeno l'equivalente di un pacchetto di sigarette o di un cappuccino
con brioche. Questo è possibile alla stragrande maggioranza dei fedeli.
Se non avvertiamo la gioia di offrire alla nostra parrocchia almeno un
cappuccino alla settimana, vuol dire che il tasso della nostra partecipazione
alla vita della famiglia parrocchiale è inesistente. E dobbiamo abituare,
anzi educare anche i nostri ragazzi a fare la propria piccola offerta in chiesa,
togliendola dalla mancia settimanale.
In secondo luogo, in occasione di momenti particolari (ad es. la busta natalizia
e pasquale) e di eventi particolari (un battesimo, un matrimonio, un funerale,
la benedizione della casa
) è bene che ci ricordiamo in modo più
consistente della parrocchia e sentiamo tutta la bellezza di un gesto finalmente
generoso! Per evitare di cadere nella grettezza e nella meschinità, che
danneggiano anzitutto la nostra persona, prima ancora che la vita della parrocchia.
Un esempio per tutti. E' capitato - e non una sola volta - che per un matrimonio
abbia ricevuto l'offerta di 50 euro. Ma quanto si è speso per i fiori?
Per l'album delle fotografie? Per il pranzo? Per il viaggio di nozze? Alla chiesa
non si può dare solo l'elemosina! Vuol dire che il sacramento e la vita
parrocchiale contano molto meno di tutto il resto! Un tempo esistevano le "tariffe".
Oggi non ci sono più. Ma è cresciuto il senso di responsabilità
delle persone? E come fare per farlo crescere? Il discorso è aperto
8.
L'Oratorio, ossia l'ambiente parrocchiale più frequentato dopo la chiesa,
non è e non deve essere solo l'ambiente dei ragazzi, ma della comunità
parrocchiale. I nostri ragazzi hanno bisogno di "vedere" la presenza
di una comunità di adulti che ama il Signore, che ama la vita, che ama
la Chiesa. Un'educazione alla fede e alla vita non può essere trasmessa
solo con qualche incontro formale o lasciata solo agli ambienti del bar e al
campo sportivo. Un'educazione passa se ci sono delle persone adulte e delle
famiglie che concretamente vivono un'esperienza gioiosamente cristiana di vita!
Ricordiamo una celebre espressione di Paolo VI: oggi il mondo ha bisogno più
di testimoni che di maestri, e se ha bisogno di maestri, bisogna che i maestri
siano anzitutto dei testimoni. L'Oratorio non può certo sostituirsi alla
famiglia nell'educazione dei figli. Ma non può essere gestito solo dal
"don" di turno. In questi anni, che hanno visto una forte crisi non
solo di numero, ma anche di identità del nostro Oratorio, ci si è
attivati per lanciare qualche proposta significativa, dal doposcuola alle attività
estive. Nell'ultimo Consiglio Pastorale è stato discusso anche un documento
che offriva preziose riflessioni sulla situazione giovanile della nostra parrocchia
e della nostra Città. Al di là delle iniziative da proporre appositamente
ai nostri ragazzi e ai nostri giovani, emerge sempre la necessità di
una presenza educativa degli adulti e delle nostre famiglie negli ambienti oratoriani.
Questa è la via maestra per il rinnovamento della pastorale giovanile.
9.
La maggioranza dei cristiani forse ricorda ancora a memoria, dai tempi del catechismo,
il Decalogo o i Dieci Comandamenti. Ma non sempre conosce le proposte più
significative del messaggio di Gesù, il quale è giunto fino a
noi spesso in versioni parziali o distorte. Anche fra gli stessi praticanti
non sempre risulta luminosamente chiara la predicazione di Gesù. La coscienza
morale odierna è fortemente segnata dal relativismo e dall'indifferentismo,
che provocano nel cuore di tante persone non poche lacerazioni interiori e non
pochi disordini anche nei comportamenti esteriori. Il Vangelo è grazia
e salvezza per tutti gli uomini e agisce anche nel campo morale, offrendo a
tutti gli uomini i criteri fondamentali per distinguere il bene dal male, la
verità dall'errore. Nei campi fondamentali della vita umana Dio infatti
non ha lasciato soli i suoi figli e, lungo la storia della salvezza che si è
compiuta sommamente in Gesù Cristo, ha donato al suo popolo e all'intera
umanità - attraverso la coscienza, la legge naturale, la sua Parola rivelata
- una sapienza anche morale, capace di illuminare il cammino della nostra vita
e soprattutto ha donato la forza - attraverso la Pasqua del suo Figlio che opera
in noi mediante la fede e i sacramenti - di praticare il bene che sembra una
meta così difficile da raggiungere. Difficile, anzi impossibile per le
sole forze umane, ma possibile grazie alla forza stessa di Dio. Se il Vangelo
fosse impossibile da praticare e da vivere, esso rimarrebbe "utopia",
ossia una proposta ideale talmente alta ed esigente da risultare di fatto al
di fuori della portata concreta dell'esperienza umana. Il Signore Gesù,
invece, si è incarnato per portarci una proposta di vita certamente alta
e impegnativa, ma realizzabile, come ci insegna la vita di tanti santi testimoni
lungo il corso di questi due millenni cristiani.
Nella nostra vita di tutti i giorni, soprattutto quando siamo di fronte a delle
scelte difficili e impegnative, quando siamo nell'incertezza sul da farsi, domandiamoci:
il Signore Gesù che cosa mi sta chiedendo in questo momento? Nel Vangelo
e nella Bibbia quale Parola di Dio è in grado di illuminare la mia situazione
di vita? E chiediamo luce anche alla Chiesa, al Catechismo della Chiesa Cattolica,
ai nostri sacerdoti. La Chiesa, che è Madre e Maestra, non ci lascia
mai senza consigli e senza risposte per le ore liete e difficili della nostra
vita.
10.
Viviamo tutti in uno spazio comunitario. Gli "altri" non sono l'"inferno",
come diceva Sartre, ma sono dei grandi doni di Dio. Ciascuno di noi è
nato, è cresciuto e vive in un contesto di relazioni che costituiscono
l'ossatura della nostra esistenza. Senza relazioni, la persona umana muore,
perché ciascuno di noi è stato costruito per amare. Nella sua
prima enciclica, la Redemptor hominis (1979), Giovanni Paolo II scriveva: "L'uomo
non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile,
la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non
si incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi
partecipa vivamente". Ogni persona umana è chiamata all'incontro
con gli altri: e non solo per un dovere di carità, ma anzitutto per una
esigenza innata e dunque insopprimibile. L'apertura agli altri, che si apprende
a vivere gradualmente nella propria famiglia e poi si estende ai molteplici
campi della vita umana, costituisce il cammino di maturazione di ognuno di noi
e conduce alla piena maturità della persona. Il Vangelo ne ha fatto anche
un comando: insieme e inseparabilmente all'amore per Dio, Gesù raccomanda
di amare gli altri come si ama se stessi (cf. Mt 22, 34-40). Nella storia della
Chiesa, sono fiorite tantissime esperienze di amore agli altri, che - a partire
dal comando di Gesù e dall'inno alla carità di San Paolo (cf.
1Cor 13) - si sono concretizzate in svariate opere di carità e di accoglienza
verso le persone che si trovano in qualunque genere di necessità. Senza
mai dimenticare - questo va detto anche nei nostri ambienti cristiani, in genere
impregnati di predicazione affannosamente altruistica - che la prima necessità
siamo noi stessi: prima che gli altri abbiano bisogno di me, sono io ad aver
bisogno degli altri. I poveri non sono anzitutto gli altri da soccorrere: sono
io il povero, sono io che ha bisogno di soccorso, di aiuto e di amicizia. E
anche quando mi accosto all'altro per aiutarlo in una situazione di indigenza,
sono io per primo che ne sono arricchito. Il riconoscimento della mia radicale
povertà è la condizione per essere di aiuto a coloro che incontro.
L'altro, insomma, non è mai un fastidio, ma è sempre una risorsa,
perché il valore di una persona non dipende anzitutto dalla situazione
che sta vivendo, ma dal fatto che è, semplicemente, una persona.
Qui si apre il vastissimo campo della carità, che si colora anche delle
sfumature, delle ricchezze e perfino delle debolezze di ciascuno di noi. Dio
non ci chiede chissà quali imprese. Ci chiede di vivere in un certo modo
le relazioni con le persone che incontriamo ogni giorno sulla strada della nostra
vita: a partire dalla famiglia, e poi negli ambienti del lavoro e della professione,
della scuola, della sanità, dello sport e del divertimento. Gesù,
quando parla del giudizio finale, ci ricorda che perfino un bicchiere d'acqua
donato a chi ha sete, ci mette in relazione con Lui e dunque ci apre la porta
della vita eterna. Quante occasioni, nella nostra vita di tutti i giorni, il
Signore ci offre per vivere la condivisione e la fraternità! E proprio
qui, nell'amore praticato quotidianamente, nell'espropriazione da noi stessi
e dai nostri progetti a cui ci obbliga la presenza e l'accoglienza dell'altro,
scopriamo e viviamo il mistero dell'amore di Dio, che ci conduce sempre oltre
i nostri piccoli disegni e le nostre anguste libertà, per portarci nel
mare aperto della sua salvezza, nel suo "regno e universale: regno di verità
e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore
e di pace" (dal prefazio della solennità di Cristo Re).