Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
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Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
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Introduzione
La "Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica", pubblicata dalla Congregazione
per la dottrina della fede con la data del 24 novembre 2002 e resa nota il 16
gennaio 2003, oltre ad esporre l'insegnamento costante della Chiesa sul comportamento
del cristiano nella sfera politica, fa chiarezza su un punto nevralgico del
dibattito culturale e politico contemporaneo nel dialogo tra "cattolici"
e "laici": il pluralismo - culturale e politico - è altra cosa
dal pluralismo e dal relativismo etico; la "laicità" è
altra cosa dal "laicismo"; la democrazia ha tutto da guadagnare dalla
pluralità delle opinioni e delle formazioni politiche - una pluralità
legittima e necessaria per tutti i cittadini, compresi i cittadini cattolici
-, ma ha tutto da perdere da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo
morale, per il fatto che la natura umana è una, e dunque uno e unico
è il patrimonio etico fondamentale che sta alla base di ogni antropologia
e di ogni ordinamento civile e sociale. Scriveva Giovanni Paolo II nella Centesimus
Annus e ripeteva lo stesso Papa nel suo Discorso al Parlamento italiano il 14
novembre scorso: "una democrazia senza valori si converte facilmente in
un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia".
Il clima culturale odierno alimenta un codice confusivo, quando sostiene che
il pluralismo etico è la condizione per un'autentica democrazia. In realtà
l'alleanza tra democrazia e relativismo etico finisce per privare la convivenza
civile di ogni sicuro punto di riferimento morale. E senza il riconoscimento
di una verità ultima, ogni democrazia, proprio in nome della tolleranza,
anzi del tollerantismo - è il nuovo dogma di questi nostri tempi - rischia
di oscurare il diritto dei più deboli per lasciare spazio ad ogni tipo
di tirannia, che notoriamente diventa la bandiera dei più forti. I quali,
all'interno delle nostre libere società, mandano avanti l'idea che chi
fa riferimento ad un credo religioso sia da bandire come un pericoloso fondamentalista
confessionale, mentre chi dipende da una ideologia qualunque - sia essa di matrice
laicista o marxista o neoliberista o quant'altro - sia da considerare persona
libera. Se sul piano della fede ci si deve guardare dalla idolatria, dalla quale
anche e soprattutto la Sacra Scrittura prende le distanze, credo che sul piano
sociale e civile metta conto di guardarsi anche dalla ideolatria, che è
una forma di feticismo dell'ideologia.
La "Nota" è rivolta particolarmente ai cattolici impegnati
direttamente nella vita politica, ma offre un notevole apporto di riflessione
e di chiarificazione a tutti i cattolici, impegnati comunque nella vita di ogni
giorno a rendere testimonianza al vangelo, con l'ausilio di una coscienza illuminata
e in un comunione serena e sincera con il magistero della Chiesa.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 25 gennaio 2003
Festa della conversione di San Paolo, apostolo
NOTA DOTTRINALE
circa alcune questioni riguardanti
l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica
La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente "Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica". La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche.
I. Un insegnamento costante
1. L'impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso
seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all'azione
politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli,
"partecipano alla vita pubblica come cittadini".[1] La Chiesa venera
tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro
generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi,
S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, seppe testimoniare
fino al martirio la "dignità inalienabile della coscienza".[2]
Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso,
e senza abbandonare "la costante fedeltà all'autorità e alle
istituzioni legittime" che lo distinse, affermò con la sua vita
e con la sua morte che "l'uomo non si può separare da Dio, né
la politica dalla morale".[3]
Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono
resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4]
richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica
da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono
contribuire attraverso il voto all'elezione dei legislatori e dei governanti
e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle
scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5]
La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente
senza l'attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, "sia
pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti
e responsabilità".[6]
Mediante l'adempimento dei comuni doveri civili, "guidati dalla coscienza
cristiana",[7] in conformità ai valori che con essa sono congruenti,
i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente
l'ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia,[8] e cooperando
con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità.[9]
Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è
che "i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla
"politica", ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale,
legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente
e istituzionalmente il bene comune",[10] che comprende la promozione e
la difesa di beni, quali l'ordine pubblico e la pace, la libertà e l'uguaglianza,
il rispetto della vita umana e dell'ambiente, la giustizia, la solidarietà,
ecc.
La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l'intero insegnamento della
Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri
della coscienza cristiana che ispirano l'impegno sociale e politico dei cattolici
nelle società democratiche.[11] E ciò perché in questi
ultimi tempi, spesso per l'incalzare degli eventi, sono emersi orientamenti
ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione di
aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione.
II. Alcuni punti nodali nell'attuale dibattito culturale e politico
2. La società civile si trova oggi all'interno di un complesso processo
culturale che mostra la fine di un'epoca e l'incertezza per la nuova che emerge
all'orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori provocano a
verificare il positivo cammino che l'umanità ha compiuto nel progresso
e nell'acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di responsabilità
nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente un segno
di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene comune.
Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli
a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza,
i comportamenti delle future generazioni.
È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti
segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce
la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale
naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare
in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo
etico è la condizione per la democrazia.[12] Avviene così che,
da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più
completa autonomia mentre, dall'altra, i legislatori ritengono di rispettare
tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi
dell'etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti
culturali o morali transitori,[13] come se tutte le possibili concezioni della
vita avessero uguale valore. Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore
della tolleranza, a una buona parte dei cittadini - e tra questi ai cattolici
- si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri
Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono
umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l'ordinamento
giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della
comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la
ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi
relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura
stessa dell'essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione
dell'uomo, del bene comune e dello Stato.
3. Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha a che vedere con la
legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni
politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo
il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La libertà
politica non è né può essere fondata sull'idea relativista
che tutte le concezioni sul bene dell'uomo hanno la stessa verità e lo
stesso valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta per
volta alla realizzazione estremamente concreta del vero bene umano e sociale
in un contesto storico, geografico, economico, tecnologico e culturale ben determinato.
Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze
scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che
debbono però essere moralmente accettabili. Non è compito della
Chiesa formulare soluzioni concrete - e meno ancora soluzioni uniche - per questioni
temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno,
anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà
temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale.[14]
Se il cristiano è tenuto ad "ammettere la legittima molteplicità
e diversità delle opzioni temporali",[15] egli è ugualmente
chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo
morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti
veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il
loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono "negoziabili".
Sul piano della militanza politica concreta, occorre notare che il carattere
contingente di alcune scelte in materia sociale, il fatto che spesso siano moralmente
possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale
di fondo, la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni principi
basilari della teoria politica, nonché la complessità tecnica
di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto che generalmente vi
possa essere una pluralità di partiti all'interno dei quali i cattolici
possono scegliere di militare per esercitare - particolarmente attraverso la
rappresentanza parlamentare - il loro diritto-dovere nella costruzione della
vita civile del loro Paese.[16] Questa ovvia constatazione non può essere
confusa però con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi morali
e dei valori sostanziali a cui si fa riferimento. La legittima pluralità
di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l'impegno dei
cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale
e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici sono
tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione
alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le
realtà temporali.
La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte,
esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche,
dall'altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una
retta concezione della persona.[17] Su questo principio l'impegno dei cattolici
non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero
meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza
interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno
intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento
la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro,
a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio
Vaticano II, la tutela "dei diritti della persona umana è condizione
perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare
attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica".[18]
4. A partire da qui si estende la complessa rete di problematiche attuali che
non hanno avuto confronti con le tematiche dei secoli passati. La conquista
scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza
e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e
solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti
delle conseguenze che derivano per l'esistenza e l'avvenire dei popoli nella
formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l'intangibilità
della vita umana. I cattolici, in questo frangente, hanno il diritto e il dovere
di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla
responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa. Giovanni Paolo II,
continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha più volte ribadito
che quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno
il "preciso obbligo di opporsi" ad ogni legge che risulti un attentato
alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l'impossibilità
di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad
alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto.[19]
Ciò non impedisce, come ha insegnato Giovanni Paolo II nella Lettera
Enciclica Evangelium vitae a proposito del caso in cui non fosse possibile scongiurare
o abrogare completamente una legge abortista già in vigore o messa al
voto, che "un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto
fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno
a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti
negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica".[20]
In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana
ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l'attuazione
di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali
della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative
o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un'unità
inscindibile, non è logico l'isolamento di uno solo dei suoi contenuti
a scapito della totalità della dottrina cattolica. L'impegno politico
per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente
ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico
può pensare di delegare ad altri l'impegno che gli proviene dal vangelo
di Gesù Cristo perché la verità sull'uomo e sul mondo possa
essere annunciata e raggiunta.
Quando l'azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono
deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l'impegno dei cattolici si fa
più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze
etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che
è in gioco l'essenza dell'ordine morale, che riguarda il bene integrale
della persona. E' questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di
eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all'accanimento terapeutico, la
quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto
primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale.
Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti
dell'embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la
promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di
sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte
delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente
equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono
ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia
della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un
diritto inalienabile, riconosciuto tra l'altro nelle Dichiarazioni internazionali
dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale
dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù
(si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non
può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa
e lo sviluppo per un'economia che sia al servizio della persona e del bene comune,
nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana
e di quello di sussidiarietà, secondo il quale "i diritti delle
persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti".[21]
Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace.
Una visione irenica e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore della
pace mentre, in altri casi, si cede a un sommario giudizio etico dimenticando
la complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre "frutto
della giustizia ed effetto della carità";[22] esige il rifiuto radicale
e assoluto della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e
vigile da parte di chi ha la responsabilità politica.
III. Principi della dottrina cattolica su laicità e pluralismo
5. Di fronte a queste problematiche, se è lecito pensare all'utilizzo
di una pluralità di metodologie, che rispecchiano sensibilità
e culture differenti, nessun fedele tuttavia può appellarsi al principio
del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che
compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali
per il bene comune della società. Non si tratta di per sé di "valori
confessionali", poiché tali esigenze etiche sono radicate nell'essere
umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le
difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa
le conferma e le tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla
verità sull'uomo e al bene comune delle società civili. D'altronde,
non si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che
sono dotati di valore assoluto proprio perché sono al servizio della
dignità della persona e del vero progresso umano.
6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla "laicità"
che dovrebbe guidare l'impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione non
solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della società
politica nulla ha a che vedere con il "confessionalismo" o l'intolleranza
religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia
della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non
da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa
e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[23]
Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti
da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. "Assai
delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa,
o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la
distinzione tra le competenze della religione e quelle della società
politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente
soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili
diritti umani".[24] Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente
religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti,
dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose
e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né
deve intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli,
salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili
e politici e l'erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati
a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini.
Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici,
come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità
e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti
la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli
altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano
anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la
"laicità" dell'impegno di coloro che in esse si riconoscono,
indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente
dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino.
La "laicità", infatti, indica in primo luogo l'atteggiamento
di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale
sull'uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello
stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità
è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici
in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde
dall'insegnamento morale e sociale della Chiesa.
Con il suo intervento in questo ambito, il Magistero della Chiesa non vuole
esercitare un potere politico né eliminare la libertà d'opinione
dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece - come è
suo proprio compito - istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto
di quanti si dedicano all'impegno nella vita politica, perché il loro
agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del
bene comune. L'insegnamento sociale della Chiesa non è un'intromissione
nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza
per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria.
"Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte,
la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze;
e dall'altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia,
di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore
dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita
laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come "luogo storico"
del rivelarsi e del realizzarsi dell'amore di Gesù Cristo a gloria del
Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni
impegno concreto - come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel
lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il
servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della
cultura - sono occasioni provvidenziali per un "continuo esercizio della
fede, della speranza e della carità"".[25] Vivere ed agire
politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube
adagiarsi su posizioni estranee all'impegno politico o su una forma di confessionalismo,
ma l'espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché
attraverso la politica si instauri un ordinamento sociale più giusto
e coerente con la dignità della persona umana.
Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate
liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero
vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza
un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità
di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene
comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva,
infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della
fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un'etica naturale.
Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un'anarchia morale che non potrebbe
mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione
del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione.
La marginalizzazione del Cristianesimo, d'altronde, non potrebbe giovare al
futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi
insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà.[26]
IV. Considerazioni su aspetti particolari
7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all'interno di alcune
associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti
a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali
hanno espresso posizioni contrarie all'insegnamento morale e sociale della Chiesa.
Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari
della coscienza cristiana, non sono compatibili con l'appartenenza ad associazioni
o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare
che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori
in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando
sul senso dell'autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione
i principi a cui si è fatto riferimento.
La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso "la via, la verità
e la vita" (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior
impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga
il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità
di presentare in termini culturali moderni il frutto dell'eredità spirituale,
intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un'urgenza non
procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei
cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura esperienza
di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo sviluppare,
specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale, non possono
porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre proposte
che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari. È
insufficiente e riduttivo pensare che l'impegno sociale dei cattolici possa
limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla
base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare
le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno
sempre su fragili fondamenta.
La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici,
consapevole che la dimensione storica in cui l'uomo vive impone di verificare
la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli. Sotto
questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti
che si ispirano a una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione
della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il
messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena
che annulla o ridimensiona la tensione cristiana verso la vita eterna.
Nello stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà
senza la verità. "Verità e libertà o si coniugano
insieme o insieme miseramente periscono", ha scritto Giovanni Paolo II.[27]
In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca
di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di
libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi
alla tutela del bene della persona e della società intera.
8. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre
oggi viene percepita o formulata esattamente nell'opinione pubblica corrente:
il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà
religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano
II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun
modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali
umani.[28] In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che "il Concilio,
in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto
che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore
più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona
umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono
ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell'adesione
ad essa".[29] L'affermazione della libertà di coscienza e della
libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell'indifferentismo
e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica,[30] anzi con
essa è pienamente coerente.
V. Conclusione
9. Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota intendono illuminare uno dei
più importanti aspetti dell'unità di vita del cristiano: la coerenza
tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal Concilio Vaticano II.
Esso esorta i fedeli a "compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi
guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi
non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano
di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che
invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo
la vocazione di ciascuno". Siano desiderosi i fedeli "di poter esplicare
tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici,
professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con
i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a
gloria di Dio".[31]
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell'Udienza del 21 novembre 2002 ha approvato
la presente Nota, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e
ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre
2002,
Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo.
+ JOSEPH CARD. RAZTINGER, Prefetto
+ TARCISIO BERTONE, S.D.B., Segretario
[1] LETTERA A DIOGNETO, 5, 5. Cfr. anche Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 2240.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Motu Proprio data per la proclamazione di
San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, n. 1, AAS 93 (2001)
76-80.
[3] Ibid, n. 4.
[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 31; Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 1915.
[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.
[6] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81 (1989)
393-521. Questa nota dottrinale si riferisce ovviamente all'impegno politico
dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e il dovere di proporre i principi
morali anche sull'ordine sociale; "tuttavia, la partecipazione attiva nei
partiti politici è riservata ai laici" (GIOVANNI PAOLO II, Esort.
Apost. Christifideles laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO,
Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33.
[7] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[8] Cfr. ibid, n. 36.
[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 7; Cost. Dogm.
Lumen gentium, n. 36 e Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 31 e 43.
[10] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42.
[11] Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è
occupato delle principali questioni riguardanti l'ordine sociale e politico.
Cfr. LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc.
Immortale Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas praestantissimum,
ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO
XV, Lett. Enc. Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett.
Enc. Quadragesimo anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit brennender Sorge,
AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO
XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi
1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961) 401-464;
Lett. Enc. Pacem in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum
progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63
(1971) 401-441.
[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 46, AAS 83 (1991)
793-867; Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 101, AAS 85 (1993) 1133-1228; Discorso
al Parlamento Italiano in seduta pubblica comune, n. 5, in: L'Osservatore Romano,
15-XI-2002.
[13] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 22, AAS 87 (1995)
401-522.
[14] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[15] Ibid, n. 75.
[16] Cfr. ibid, nn. 43 e 75.
[17] Cfr. ibid, n. 25.
[18] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 73.
[19] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 73.
[20] Ibid.
[21] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.
[22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304.
[23] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[24] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale
della Pace 1991: "Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo",
IV, AAS 83 (1991) 410-421.
[25] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59. La citazione
interna è del Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem,
n. 4.
[26] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, in: L'Osservatore Romano, 11/I/2002.
[27] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 90, AAS 91 (1999) 5-88.
[28] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1: "Il Sacro
Concilio anzitutto professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano
la via, attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo divenire
salvi e beati. Crediamo che questa unica vera religione sussista nella Chiesa
cattolica". Ciò non toglie che la Chiesa consideri con sincero rispetto
le varie tradizioni religiose, anzi riconosce presenti in esse "elementi
di verità e di bontà". Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Dogm.
Lumen gentium, n. 16; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2; GIOVANNI
PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55, AAS 83 (1991) 249-340; CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 2; 8; 21, AAS 92 (2000)
742-765.
[29] PAOLO VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, in: "Insegnamenti
di Paolo VI" 14 (1976), 1088-1089.
[30] Cfr. PIO IX, Lett. Enc. Quanta cura, ASS 3 (1867) 162; LEONE XIII, Lett.
Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885) 170-171; PIO XI, Lett. Enc. Quas primas, AAS
17 (1925) 604-605; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108; CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 22.
[31]CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43. Cfr. anche GIOVANNI
PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59.