PELLEGRINAGGIO ZONALE ALLA CATTEDRALE DI CREMONA
(23 settembre 2007)
In occasione delle celebrazioni del nono centenario
OMELIA
di Don Alberto franzini, parroco di Casalmaggiore
Il convergere alla Chiesa Cattedrale risveglia in tutti noi la domanda: Che
cosa significa credere in Gesù Cristo? E in che modo Gesù si
comunica a noi e ci salva? La risposta di tutta la predicazione di Gesù
e dellintero Nuovo Testamento è unanime: non ci si salva da soli,
non si entra nella comunione con Gesù solo attraverso a strade soggettive
e solitarie, ma partecipando alla vita del Corpo storico di Gesù che
è la Chiesa.
Le letture di oggi (Atti 2, 42-47; Efesini 2, 19-22; Giovanni 17, 11-19) ci
aiutano a capire e soprattutto a vivere in forma convinta e gioiosa lecclesialità
della nostra fede cristiana. La prima lettura ci consegna il primo dei tre
brani degli Atti degli Apostoli dove Luca ci descrive la vita e le costanti
della prima comunità cristiana, che diventa esemplare per tutti noi.
Luca parla anzitutto di una assiduità, di una perseveranza. Una comunità
cristiana non può vivere di sentimenti passeggeri, ma di atteggiamenti
convinti che danno forma a tutto uno stile di vita, che diventa lo stile cristiano
del vivere, che dunque segna anche la differenza fra un modo pagano o non
cristiano di vivere la vita, e un modo cristiano, evangelico, apostolico.
Il Cristianesimo è nato proprio così: non anzitutto come una
dottrina, non come una filosofia, non come un codice morale di precetti, non
come un insieme di riti, ma come una esperienza di Gesù attraverso
la forma di vita che fin dagli inizi si è andata strutturando come
una comunità, che entra in dialogo un dialogo a volte simpatico,
a volte conflittuale con le comunità del mondo. Non esiste cristianesimo
senza comunità. S. Agostino ha al proposito una forma lapidaria: unus
christianus, ullus christianus, il cristiano da solo non è cristiano.
E San Cipriano: Habere non potest Deum Patrem qui Ecclesiam non habet
matrem (Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per
madre). Lecclesialità non è un optional per noi cristiani,
ma fa parte imprescindibile della nostra fede. Non dobbiamo sentire o vivere
lecclesialità, pregiudizialmente, come un ostacolo o un freno,
ma come lo spazio vitale senza del quale il nostro cristianesimo rischia limpoverimento
soggettivistico o la riduzione spiritualistica o la cattura ideologica, oppure
la strumentalizzazione politica. Certo, la Chiesa è fatta da persone
umane con le loro risorse e i loro limiti. Ma Gesù ha voluto rischiare
anche i limiti e la libertà dellumano, pur di non ridurre lesperienza
cristiana solo ad esperienza angelica e quindi disincarnata. Essere cristiani
ci rimanda sempre a una comunità, e la comunità ci rimanda sempre
alle vicende concrete della vita e della storia.
La Chiesa però non è una comunità come le altre: è
una comunità che ha tratti precisi, ha un volto preciso, ha una forma
di vita precisa. E una comunità che, non sulle cose secondarie,
ma su quelle fondamentali esprime la differenza cristiana, come mette ben
in evidenza la famosa Lettera a Diogneto, un testo della seconda metà
del II secolo d.C., che rimane fondamentale anche per noi. E proprio a motivo
di tale differenza, la comunità cristiana è per un verso amata
(godeva la simpatia di tutto il popolo
, così si esprime
il testo degli Atti) e per un altro verso è osteggiata. Del resto,
Gesù lo ha profetizzato: sarete perseguitati. Nel vangelo
di oggi: Voi siete nel mondo, ma non del mondo. E in Gv 15,18:
Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me.
Nel nostro linguaggio di oggi, si direbbe che la comunità cristiana
è alternativa, perché rappresenta una cultura altra, diversa,
rispetto a quella del mondo: altra non nel senso ideologico, ma nel senso
evangelico. Ecco perché la comunità cristiana, quando è
tale, presto o tardi, in un modo o in un altro scatena sempre il sospetto,
il fastidio e lostilità della cultura dominante, ma suscita anche,
come dice Luca, simpatia presso la gente. Ed è ancora così!
I capi del popolo in genere sono infastiditi dalla presenza dei cristiani,
mentre i cristiani, quando sono tali, sono amati dal popolo. Così è
successo ai santi.
Questa specificità della Chiesa viene declinata secondo quelle nervature
fondamentali che Luca ci consegna nel brano degli Atti. Si tratta di quattro
perseveranze, di quattro atteggiamenti abituali, legati luno allaltro.
1. La perseveranza nellascoltare linsegnamento degli apostoli.
Che dice insieme almeno due caratteristiche di questa comunità. Dice
insegnamento, il cui contenuto non viene dagli uomini, ma da Dio stesso. E
dice anche chi nella Chiesa è autorizzato a trasmettere con autorità
tale insegnamento, a difenderlo da ogni possibile manipolazione, a promuoverne
lattuazione nelle varie circostanze della vita: si tratta degli apostoli
e di coloro che, nella Chiesa, ne hanno preso il posto. La comunità
cristiana non è una comunità che si autoconvoca e decide di
volta in volta quel che vuole. La Chiesa non nasce dal basso, per le affinità
culturali o sociali o politiche dei suoi membri. La Chiesa non nasce per la
volontà dei cristiani di mettersi insieme. La Chiesa nasce per volontà
di Dio. E noi rispondiamo ad una sua chiamata. Allora la comunità cristiana
deve perseverare in ciò che essa non produce, bensì in ciò
che riceve: è la parola, è il pensiero, è lazione
di Dio. Ma questa parola del Signore arriva fino a noi attraverso la testimonianza
degli apostoli. La Chiesa nasce così: dalla Parola del Signore accolta
e trasmessa dagli apostoli. Nessuno di noi può costruirsi un Gesù
modellato a proprio piacimento, fabbricato sulla misura dei propri bisogni.
Quante volte nella storia anche i cristiani sono stati tentati di proiettare
su Gesù le proprie ideologie. Quanti Cristi abbiamo inventato: il Cristo
maestro spirituale, il Cristo asceta, il Cristo socialista, il Cristo rivoluzionario,
oppure il Cristo pacifista, il Cristo romantico
.. No! Il Cristo non
lo possiamo fabbricare noi a nostra immagine e somiglianza: il Cristo lo possiamo
soltanto accogliere dalla tradizione degli apostoli. San Paolo ce lo ricorda:
Se un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che
vi abbiamo predicato noi, sia anatema! (Gal 1, 8).
Linsegnamento apostolico non solo ci trasmette con autenticità
lunica parola che conta, ed è quella di Dio, ma attualizza veracemente
nella storia, di fronte alle nuove situazioni, leterna parola del vangelo.
Ecco perché nella Chiesa non ci possono essere altri pulpiti al di
fuori di quelli che il Signore ci ha donato (Chi ascolta voi ascolta
me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che
mi ha mandato, Lc 10, 16). Ed ecco perché linsegnamento
dei nostri pastori non può essere considerato alla stregua di una opinione
fra le altre, ma è un insegnamento da accogliere con simpatia e obbedienza,
anche quando non risultasse sempre conforme ai nostri gusti personali, perché
gode di una autorevolezza che si radica nellautorità stessa di
Dio. Oggi invece rischiamo anche noi cristiani di cedere alle mode e perfino
ai personalismi: ossia, siamo tentati di scegliere le opinioni, gli insegnamenti
e le posizioni di quegli uomini di Chiesa che più sono in sintonia
con le nostre idee, trasformando lobbedienza ecclesiale in una sorta
di partecipazione ad un club qualsiasi, dove valgono le simpatie e le affinità
soggettive, anziché la comunione oggettiva alla verità, come
ci ricorda il vangelo di oggi: Consacrali nella verità. La tua
parola è verità. Ma anche questo termine, verità,
è uno di quelli che sembrano non trovare molto credito anche fra noi
cristiani.
2. La perseveranza nella comunione. Se abbiamo in comune Gesù Cristo
e la sua parola, allora abbiamo in comune le cose più importanti della
vita, da quelle spirituali a quelle materiali. Il Vaticano II è stato
provvidenziale su questo punto: dalla Chiesa come società perfetta
alla Chiesa mistero di comunione e popolo di Dio. Oggi certo diventa difficile
parlare e vivere nella comunione reciproca, perché siamo inseriti in
una cultura della frammentazione e della divisione, in una cultura che esalta
la libertà solo in termini individuali. Tuttavia oggi siamo continuamente
richiamati anche nelle nostre parrocchie alla condivisione delle scelte e
delle responsabilità. Il nostro Vescovo ogni anno nelle Linee Pastorali
insiste sullo spirito di comunione fra i preti e i laici nella vita pastorale.
3. La perseveranza nella frazione del pane. Ciò fa riferimento a tutta
una ritualità cristiana che è quella dei sacramenti e, fra i
sacramenti, alleucaristia soprattutto domenicale. I cristiani sono coloro
che sine dominico non possunt, come dissero i martiri di Abitene
contravvenendo alle disposizioni imperiali che vietavano il culto domenicale.
I cristiani non possono vivere senza la domenica, perché la domenica
è il giorno santo, il giorno consacrato a Dio, il giorno
che è proprietà di Dio, il giorno memoriale della creazione
di Dio e della risurrezione di Cristo, il giorno che dà senso e prospettiva
al tempo delluomo, il giorno dunque che può liberare luomo
dai falsi idoli e dalla noia derivante dalla insignificanza del tempo. Le
nostre liturgie domenicali devono diventare sempre più i luoghi in
cui si compie e si vive latto di fede: per il numero delle celebrazioni,
per le modalità esecutive, per il senso del mistero, per la significatività
dellassemblea e dei vari ministeri
Limportanza della domenica
è stata ribadita anche da numerosi documenti magisteriali e ultimamente
anche da Papa Benedetto XVI a Vienna.
4. La perseveranza nella preghiera. E il riconoscimento della nostra
dipendenza da Dio, è la confessione che il mistero santo di Dio è
la realtà più importante della nostra vita, è il dare
a Dio il peso che Egli ha nella storia degli uomini. La preghiera
è la sconfessione di tutti gli altri dei e dunque fa parte della lotta
salutare allidolatria che è sempre in agguato, in mille forme,
anche nella nostra vita, quando adoriamo ciò che non val la pena adorare,
quando ci inginocchiamo davanti agli dei, che hanno bocca ma non parlano,
hanno occhi ma non vedono, hanno piedi ma non camminano (salmo 113).
Certo, di fronte ad una mentalità efficientistica, scientista e tecnocratica,
la preghiera appare scandalosamente inutile. E invece è il respiro
della vita, perché apre al mistero di Dio, che è il senso ultimo
del nostro destino. Con la preghiera si aprono tutte le porte, perché
entra nella nostra vita il mistero stesso di Dio, che è il grande mare
nel quale affluiscono i piccoli rivoli della nostra esistenza terrena. Con
la preghiera noi siamo in grado di dare a Cesare ciò che è di
Cesare, proprio perché diamo a Dio ciò che è suo. A Cesare
appartengono le cose di questo mondo che ne portano limmagine: il denaro,
con annessi e connessi. Ma luomo appartiene, può appartenere
solo a Dio, perché solo luomo ne è limmagine e la
rifrazione in questo mondo. Con la preghiera dunque luomo raggiunge
il suo traguardo, la sua pienezza, che è Dio. Ecco perché nulla
di ciò che è inferiore a Dio può saziare il cuore delluomo.
Ed ecco perché la preghiera è lazione umana più
grande e feconda: luomo non è mai così grande come quando
cade in ginocchio (gli animali non si inginocchiano
) nella adorazione
e nella implorazione, davanti a Dio, sommo Amore e somma Verità.
Preghiamo allora in questa celebrazione giubilare nella nostra Cattedrale:
perché il nostro esser cristiani ci faccia riscoprire la bellezza della
nostra appartenenza alla Chiesa, che è appartenenza a Dio, lUnico
che ci può amare senza annullarci, lUnico che può appagare
la nostra sete di amore, di verità e di libertà.