Secondo una tendenza culturale diffusa, la vita degli altri però, non
è degna di considerazione e rispetto come la propria. In particolare
non riscuote un rispetto sacro la vita nascente, nascosta nel grembo d'una
madre; né quella già nata ma debole; né la vita di chi
non ha i genitori oppure li ha, ma sono assenti e aspetta di averli col rischio
di aspettare molto a lungo, forse addirittura di non averli mai. Così
chi attende di nascere, rischia di non vedere mai la luce; e chi attende in
un Istituto l'abbraccio di due genitori, rischia di vivere per tutta la vita
con il desiderio di un evento che mai accadrà.
Scontiamo modi di pensare e di vivere che negano la vita altrui, che non si
fidano della vita perché diffidano degli altri, chiunque essi siano.
E invece: "Non è bene che l'uomo sia solo!" (Gen 2,18): lo
scopo dell'esistenza sta nella relazione. Con l'Altro, che ci ha creati, ci
ama da sempre e per sempre, e per noi ha in serbo la vita eterna. E con gli
altri, a cominciare da chi più ha fame e sete di vita e di relazione:
come il bambino non ancora nato o i molti bambini senza genitori.
C'è il bambino non ancora nato, icona e speranza di futuro: entrare
in relazione con lui, considerandolo da subito ciò che egli è,
una persona, è la più straordinaria avventura di due genitori.
In questo senso, l'aborto, quando è compiuto con consapevole rifiuto
della vita, superficialmente o in obbedienza alla cultura dell'individualismo
assoluto, è la più terribile negazione dell'altro, la più
gelida affermazione dell'individuo che ignora l'altro, perché riconosce
soltanto se stesso.
In non poche circostanze, in verità, l'aborto è una scelta tragica,
vissuta nel tormento e con angoscia, sbocco di povertà materiale o
morale, di solitudine disperata, di triste insicurezza: in queste situazioni
a negare l'altro è, in ultima analisi, tutta una società, cieca
nei riguardi dei bisogni delle persone e insensibile al rispetto del figlio
e della madre.
Anni di esperienza inducono a ritenere che la via maestra per vincere la cultura
dell'individualismo, ma anche per superare la fragilità che durante
una gravidanza può nascere dalla paura di non farcela, consiste nel
fare compagnia alle madri in difficoltà, aiutandole a capire che gli
altri esistono, ti aiutano, non ti lasciano sola e portando assieme a te il
tuo peso, lo rendono sopportabile, fino a farti scoprire che non di un peso
si tratta, ma della gioia più grande.
Ci sono poi molti bambini e ragazzi che trascorrono la loro infanzia in un
istituto, perché i loro genitori li hanno abbandonati o per i più
svariati motivi non sono in grado di tenerli con sé. Il loro futuro
è incerto e insicuro, perché tra pochi mesi questi istituti
saranno definitivamente chiusi. Si aprirà così per le famiglie
italiane - sia per quelle che godono già del dono di figli propri,
sia per quelle che vivono la grande sofferenza della sterilità biologica
- una grande opportunità per dilatare la loro fecondità attraverso
l'adozione o l'affido temporaneo.
Se una famiglia si dimostra disponibile, non va lasciata sola. Deve avvertire
attorno a sé una rete di solidarietà concreta, fatta non solo
di complimenti ed esortazioni, ma di tante forme di aiuto e di solidarietà.
E chi si rende disponibile per l'adozione o l'affido, deve sentirsi parte
di un'avventura collettiva, in cui gli altri ci sono, vivi e presenti.
Risuonano perciò particolarmente suadenti in questo momento, per le
famiglie e per le comunità, le parole di Gesù: "Chi accoglie
questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui
che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti
voi, questi è grande" (Lc 9,48).
Perché dunque non fidarsi della vita rispondendo a una sfida che viene
dagli eventi? Ne guadagnerebbero le famiglie nel vivere la esaltante avventura
di una fecondità coraggiosa che fa sperimentare che "vi è
più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35). Ne guadagnerebbero
molti figli nel trovare finalmente l'affetto e il calore di una famiglia e
la sicurezza di un futuro. Ne guadagnerebbe l'intera società nel mettere
in evidenza segni convincenti che le farebbero prendere il largo nella civiltà
dell'amore.
La vita vincerà ancora una volta? Osiamo sperarlo e per questo chiediamo
a tutti una preghiere unita a un atto di amore accogliente e solidale.
Roma, 4 ottobre 2004 - Festa di S. Francesco di Assisi
Il Consiglio Episcopale Permanente