"Nel martirio di Stefano
si attualizza il martirio di Gesù"
L'omelia del vescovo monsignor Erminio De Scalzi nella festa patronale di Santo Stefano

26 dicembre 2002


 

 

Desidero anzitutto salutare tutti e ciascuno, a partire dai sacerdoti concelebranti e dalle autorità civili. Saluto il Signor Sindaco e tutti voi. Mi sia permesso un saluto tutto particolare al vostro carissimo monsignor Prevosto, don Alberto: quando io ero giovane prete in un oratorio alla periferia di Milano, lui era un giovane studente liceale al seminario di Cremona. Abbiamo trascorso insieme anni belli, perché si era molto giovani e perché don Alberto ha un carattere felice e simpatico. Quindi sono venuto qui per celebrare insieme a voi la Festa del vostro Patrono, per vedere questa distinta Città, di cui avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto, e anche per non perdere il senso di amicizia con don Alberto. L'amicizia è cosa importante, va coltivata. Bisogna avere degli amici, e fra questi io annovero don Alberto.
Ci ritroviamo dunque per onorare santo Stefano, il vostro patrono. Mi sono chiesto sempre chiesto perché al natale di Cristo faccia subito seguito il martirio di Stefano. Forse la Chiesa nella sua saggia pedagogia l'ha fatto per liberare il Natale da ogni giustapposizione solamente sentimentale. Il Bambino che noi abbiamo contemplato in questi giorni è il Cristo che dovrà morire sulla croce. La festa di oggi, allora, ci dice subito che così è per il cristiano: chi vuol seguire Gesù che nasce, deve seguirlo fino alla croce - parola troppo difficile!-, fino al dono di sé; deve essere persona che vive nei confronti degli altri il dono di sé. Il cristianesimo è dunque discorso serio, impegnativo, come d'altronde ogni cosa bella e grande - lo dicono anche i genitori ai loro ragazzi - costa, si deve pagare. Niente di bello, di grande, di importante nella vita è a poco prezzo.
Leggendo il racconto del martirio di Sante Stefano si ha l'impressione che il miracolo dello Spirito non stia tanto nella forza che Egli dona al martire per affrontare la morte, ma in quella sorta di trasparenza che fa del martirio di questo discepolo di Gesù una memoria attuale, una contemporaneità col martirio di Gesù. Credo che a nessuno sia sfuggita la sovrapposizione - quando abbiamo sentito la prima lettura - fra il martirio di Stefano e quello di Gesù. Nel martirio di Stefano si riattualizza quello di Gesù. Il racconto della passione di Stefano è modellato da san Luca sul racconto della passione di Cristo. E noi ne vediamo l'attuazione nella pagina evangelica, quando Gesù dice: "Quando vi consegneranno nelle mani dei persecutori, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi" (Matteo 10, 19-20). Stefano, docile alla voce dello Spirito, può dire parole che non sono degli uomini, ma appartengono al vocabolario stesso di Dio. Sono proprio queste le parole che Gesù ha detto e sono queste le parole che Stefano dice mentre lo uccidono: "Signore, non imputare loro questo peccato. Signore Gesù, accogli il mio spirito" (Atti 7, 59-60). Ricordate le parole di Gesù sulla croce: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Luca 23, 34); "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23, 46). Questo dice come la santità cristiana è viva imitazione di Cristo. La legge del cristiano non è più scritta su tavole di pietra. Non si tratta più di realizzare una norma, di obbedire ad una legge, ma di conformarsi in tutto a Cristo, di seguire Cristo. Unica legge del cristiano è la sequela di Gesù. E Stefano è il primo e fedele seguace di Gesù.
La figura di Stefano ci dà anche alcuni suggerimenti semplicissimi.

1. Anzitutto la serietà della vita cristiana. Molto spesso il nostro cristianesimo - e mi ci metto anch'io dentro per primo - si riduce magari a dire qualche preghiera (si può dire le preghiere anche senza pregare, per assuefazione, per abitudine…), a compiere alcuni gesti. Altre volte il nostro cristianesimo è un po' à la carte: scelgo quello che mi fa comodo, come quando vado al ristorante e ho la libertà di scegliere quello che mi piace. Spesso siamo buoni solo perché non siamo cattivi. E invece il cristianesimo è una realtà esigente, seria, e insieme gioiosa, perché quando uno conquista qualcosa di importante, sente anche la gioia di ciò che ha conquistato. Io faccio a me e a voi oggi, festa di Santo Stefano, questa domanda: che cosa ti costa l'essere cristiano? E' una domanda che vorrei lasciare nel vostro cuore.

2. Il mondo oggi crede di più ai testimoni che ai maestri, o, se crede ai maestri, crede a quei maestri che non solo hanno il magistero della parola, ma anche il magistero della vita. Questo è importante anche per dei genitori. Carissimi genitori, voi dovete avere il magistero della parola, e qualche volta bisogna dire alcune parole serie e forti, insieme a quelle dolci, ai vostri figli. Ma bisogna soprattutto avere il magistero della vita, cioè la coerenza della testimonianza. In questi giorni un papà mi diceva di aver fatto un'osservazione al figlio: "guarda che io alla tua età non ho mai detto bugie". Il figlio gli ha risposto: "Papà, a che età hai cominciato?". I ragazzi esigono questo magistero della vita e credo che Paolo abbia custodito per tutta la vita il ricordo bruciante delle persecuzioni a cui aveva partecipato. Abbiamo ascoltato nella prima lettura: "I testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo" (Atti 7,58).Paolo ha visto uccidere un uomo a colpi di pietra. E da quel giorno si sarà sempre posto questa domanda: ma da dove sarà venuta a Stefano questa forza di morire perdonando, di morire affidandosi a Dio? Anche oggi la più parte delle conversioni vengono dalla testimonianza di qualcuno. Ci sono ancora tante persone che vivono in modo tale da far sorgere delle domande a chi sta loro vicino. La gente che vi sa essere cristiani, che vi vede venire alla chiesa - lo dico anche per me - è portata a scoprire che nella mia vita c'è un segreto che custodisco gelosamente e che è la mia fede? C'è uno sguardo - per stare a quel che dice la prima lettura - fisso al cielo? O sono così "terra terra" da non far neppure credere che esista il cielo, un aldilà? Noi veniamo spesso alla messa. E la messa dura al massimo un'ora quando è solenne, ma credere - intendetemi bene - non vuole dire venire in chiesa. In chiesa questa mattina noi siamo venuti a vivere comunitariamente la nostra fede, perché siamo il popolo di Dio. Ma la fede inizia quando usciamo da quella porta, perché la fede è la mia vita, il mio modo di amare, di spendere i soldi, il mio modo di educare i figli, il mio modo di rapportarmi agli altri, cambiato dall'incontro con il Signore. E se questa eucaristia non diventa, al di là della porta della Chiesa, "umanità", attenzione agli altri, solidarietà, forse non è celebrata completamente bene. La testimonianza più grande che oggi il mondo vuole dal cristiano è duplice. Anzitutto che lo veda pregare, perché non è sufficiente dire "basta voler bene ai fratelli che si vuol bene a Dio". No, perché Dio è Dio! La testimonianza della preghiera anzitutto in famiglia: perché quando un figlio vede il papà e la mamma che pregano, questa è una delle testimonianze fondamentali per vivere la vita dando il primato a Dio, e non alle cose effimere del mondo. E in secondo luogo la testimonianza della carità, perché la carità è il nome non ancora pronunciato di Dio. Quando uno vede un gesto di carità gratuito, immeritato, capisce che cosa vuol dire voler bene.
Io auguro alla vostra comunità che oggi festeggia Santo Stefano di essere una comunità degna della sua testimonianza. Oggi la comunità cristiana è in minoranza nella nostra società. Questo potrebbe rattristarci per un verso, ma per un altro si può dire che forse questo "essere minoranza" potrebbe essere per il cristianesimo una chanches, se questa minoranza fosse una minoranza convinta, una minoranza dalla fede testimoniante. Questo vale per la comunità cristiana. E vale per la comunità familiare. Ho parlato spesso della famiglia, perché la parrocchia è una grande famiglia di famiglie. Ma certamente la famiglia viene prima della Chiesa, viene prima della scuola, viene prima dello Stato. Ciò che un ragazzo sa, lo può sapere dalla scuola ,dagli amici, da tante altre agenzie, ma ciò che un ragazzo è, lo deve anzitutto alla sua famiglia, e per la fede lo deve alla famiglia grande della comunità cristiana.
Chiediamo a Santo Stefano di essere dei cristiani che non hanno paura di testimoniare la loro fede con umiltà, perché chi ostenta la fede vuol dire che ne ha così poca che ha bisogno di farla vedere; soprattutto dando testimonianza di preghiera - perché Dio è Dio e va pregato - e dando testimonianza di carità.

(Il testo è stato trascritto dalla registrazione e non è stato rivisto dall'autore)